Come al solito, la Jihad Islamica palestinese cerca di silurare il cessate il fuoco

Che si tratti dall’ideologia irriducibile del gruppo, della sua lotta di potere con Hamas o dalle direttive che arrivano dal padrone iraniano, il risultato non cambia

Di Yoav Limor

Yoav Limor, autore di questo articolo

Il violento attacco di razzi palestinesi iniziato domenica sera contro le comunità israeliane nel Negev occidentale e attorno alla striscia di Gaza ha costretto Israele in una posizione scomoda, in un momento difficile. Nonostante il suo dichiarato desiderio di mantenere la calma nel sud, Israele ha dovuto reagire, ma con l’evidente intenzione di preservare il cessate il fuoco con Hamas ed evitare un’escalation su larga scala alla vigilia delle elezioni politiche del 2 marzo.

Anche questa volta, dietro allo scoppio di ostilità c’è la Jihad Islamica palestinese, analogamente ai suoi precedenti sforzi dell’ultimo anno e mezzo (e alla vigilia delle ultime elezioni dello scorso settembre) tesi a silurare qualsiasi tentativo delle parti di raggiungere un’intesa. Non importa granché se questi sforzi derivano da una lotta con Hamas per il potere a Gaza, dalla posizione ideologica della Jihad islamica contraria a qualunque parvenza di accordo o dalle direttive del suo padrone iraniano. Il risultato non cambia: la Jihad Islamica palestinese costituisce attualmente la fonte primaria dei mali di Gaza.

Chi pensava che l’uccisione di Baha Abu Al-Ata a novembre avrebbe zittito l’organizzazione è stato smentito in questi ultimi giorni. I successori hanno dimostrato di essere altrettanto arroganti e rabbiosi. Nonostante i palesi sforzi dell’Egitto di mediare un cessate il fuoco, la bellicosità dell’organizzazione non è diminuita. La scorsa settimana, è stata respinta una cellula terroristica al confine meridionale di Gaza. Nelle prime ore di domenica mattina è stata eliminata una seconda cellula i cui membri cercavano di piazzare ordigni esplosivi alla barriera di confine. L’ondata di razzi iniziata domenica è la reazione a questi incidenti.

Un parco giochi per bambini a Sderot centrato lunedì da un razzo palestinese

Ufficialmente la Jihad Islamica palestinese sostiene d’aver reagito a causa dell’“umiliazione” inferta dalla forze israeliane che hanno usato un bulldozer per recuperare il corpo di uno dei terroristi uccisi. Ma non è così. Contrariamente a quanto dicono, non c’è nulla di nuovo in questa tattica israeliana: è ormai da decenni che le forze israeliane recuperano i corpi dei terroristi dal campo di battaglia in vista delle trattative per il rilascio di ostaggi trattenuti dai terroristi. L’unica differenza, domenica, è che l’attrito fra i militari e i palestinesi che cercavano di impedire loro di recuperare il cadavere è stato ripreso in un video e messo on line. Le immagini hanno alimentato le fiamme e fornito un comodo pretesto per la vendetta della Jihad Islamica.

Tra domenica e lunedì non era chiaro se Hamas si sia opposta ai lanci di razzi contro Israele o se abbia intenzionalmente chiuso un occhio. Dopo l’uccisione di al-Ata, Hamas aveva permesso alla Jihad Islamica di vendicarsi e aprire il fuoco, ma si era tenuta fuori dalla mischia. Anche questa domenica Hamas non è stata coinvolta negli scontri a fuoco e la sua condotta nei prossimi giorni determinerà in gran parte in che senso volgeranno le cose. Se rimarrà fuori dai combattimenti, è ragionevole supporre che le ostilità si spegneranno abbastanza rapidamente.

La cosa dipende anche, in buona misura, dalla natura della risposta israeliana. Nessuno in Israele desidera un’operazione militare su larga scala dall’esito incerto, specie alla vigilia delle elezioni. D’altra parte, Israele deve rispondere in qualche modo alla raffica di razzi. Non solo per via delle elezioni, ma soprattutto perché non può permettere che un’ampia porzione della sua popolazione viva sotto tale minaccia, e per via della deterrenza che le Forze di Difesa israeliane cercano di mantenere nel corso del tempo contro la Jihad Islamica palestinese. La domanda, domenica, non era se rispondere, ma come rispondere e soprattutto quanto severamente. Come prevedibile, l’obiettivo principale delle Forze di Difesa israeliane è stata la Jihad Islamica, ma rimane il dilemma se includere o meno fra gli obiettivi Hamas, in quanto entità responsabile della striscia di Gaza, ma in modo da evitare una conflagrazione totale che in Israele nessuno vuole. Poiché il principale interesse israeliano era e rimane quello di a garantire calma e tranquillità a Gaza ed evitare una infausta escalation, ci si può aspettare uno sforzo (palese e occulto) per porre fine a questi eventi il più rapidamente possibile.

Si può presumere che anche Hamas abbia interesse in questo momento al cessate il fuoco. Nei giorni scorsi i capi di Gaza hanno beneficiato di una serie di miglioramenti (come l’aumento del numero di permessi di lavoro in Israele per abitanti di Gaza). Nei prossimi giorni Hamas dovrebbe anche ricevere un’ulteriore rata di aiuti in contanti dal Qatar (a favore della quale, a quanto riferito, Israele ha svolto un ruolo chiave). Un’escalation in questo frangente significherebbe la revoca di tutti questi benefici, il che aggraverebbe la situazione economica di Gaza, che è l’opposto di ciò che Hamas dice di volere.

Gli egiziani, come al solito, saranno chiamati ad aiutare per calmare la situazione, insieme alla missione delle Nazioni Unite a Gaza. Probabilmente hanno già contattato le parti, ma potranno ottenere risultati solo dopo che si sarà calmato il botta e risposta appena iniziato. Ma anche dopo, come abbiamo imparato più volte nei mesi scorsi, ogni eventuale intesa raggiunta dovrà essere presa con le molle. I terroristi di Gaza hanno comunque il grilletto facile e, come si è visto lunedì pomeriggio, non esiteranno a premerlo di nuovo appena lo ritenessero nel loro interesse.

(Da: Israel HaYom, 24.2.20)