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Washington biasima la nomina di Lieberman alla Difesa, ma tace sull’elezione ai vertici dell’Iran di un nemico giurato di Israele e Occidente

Di David Horovitz

David Horovitz, autore di questo articolo

David Horovitz, autore di questo articolo

Secondo importanti esponenti politici israeliani anonimi, citati venerdì sera dalla tv Canale 10, il tentativo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di stabilizzare la sua coalizione reclutandovi il partito Yisrael Beytenu e attribuendo al suo leader Avigdor Liberman il Ministero della difesa rischia di sortire l’effetto opposto. Il governo potrebbe persino cadere e Israele “potrebbe andare ad elezioni anticipate nei prossimi sei mesi”, stando all’opinione degli anonimi politici intervistati. Così è fatta la politica israeliana, dove ogni giorno può farsi beffe di quello che credevamo di sapere fino al giorno precedente, per cui sarebbe saggio non lasciarsi trasportare troppo neanche da questi anonimi pronostici.

Ma non è difficile capire la logica sottesa a tale valutazione. La brusca estromissione del capace, misurato e leale Moshe Ya’alon a favore dell’inesperto, intemperante e infido Liberman ha provocato costernazione in tutto lo spettro politico, e non solo negli ambienti dell’opposizione. Il partito di Naftali Bennet, HaBayit HaYehudi, che fa parte della coalizione, ha colto l’occasione per fabbricare una sotto-crisi chiedendo una riforma del meccanismo con cui vengono fornite le informazioni al ristretto “gabinetto di sicurezza” in tempo di guerra e di conflitto, e minaccia in caso contrario di bloccare la nomina di Liberman.

Il ministro per la protezione ambientale Avi Gabbay, del partito Kulanu, ha seguito l’esempio di Ya’alon dimettendosi dal governo per protesta contro quella che gli è parsa una cinica manovra politica di troppo. Come Ya’alon una settimana prima, venerdì Gabbay se n’è andato sbattendo la porta  e avvertendo che, con questa coalizione sempre più sbilanciata, Israele si starebbe incamminato su una strada che conduce alla distruzione. Kulanu, una formazione fondamentale per la maggioranza di Netanyahu alla Knesset, è chiaramente sconcertata dagli avvenimenti in corso e sta cercando di convincere il laburista Isaac Herzog, di Unione Sionista, a entrare nel governo: tentativo bizzarro dal momento che Herzog è stato così scottato dal suo ultimo tentativo di trattare i termini per un accordo di unità nazionale con Netanyahu che la sua leadership nel suo stesso partito è a rischio come non era mai stata prima d’ora.

Avigdor Lieberman, leader di Yisrael Beytenu (in alto) e Naftali Bennett, leader di HaBayit HaYehudi, fotografati durante una sessione della Knesset nel maggio 2015

Avigdor Lieberman, leader di Yisrael Beytenu (in alto) e Naftali Bennett, leader di HaBayit HaYehudi, fotografati durante una sessione della Knesset nel maggio 2015

Tra le stesse fila del Likud di Netanyahu monta l’onda delle critiche. Il parlamentare Benny Begin si è immediatamente detto inorridito dal mercanteggiamento “Ya’alon in cambio di Liberman”. Sabato scorso il vice ministro Ayoub Kara ha dichiarato che l’ex caporale Liberman, che non ha mai prestato servizio in ruoli di combattimento nelle Forze di Difesa israeliane, semplicemente non è adeguato per succedere all’ex capo di stato maggiore Ya’alon.

Herzog ha spiegato d’aver intrattenuto colloqui con Netanyahu a costo di mettere a repentaglio la propria carriera politica, perché ad Israele si presenta in questo momento una rara opportunità di fare progressi verso una pace regionale; ma il primo ministro – secondo Herzog – mollandolo a favore del brusco e ombroso Liberman, “è sfuggito” ai compromessi e alle battaglie politiche interne che avrebbe comportato cogliere questa opportunità.

Anche gli Stati Uniti sono entrati nella mischia, con il Dipartimento di stato che ha dato voce alle preoccupazioni per la direzione intrapresa da Israele. Interpellato a proposito del nuovo ministro della difesa Liberman poche ore dopo l’annuncio della firma, mercoledì, del nuovo accordo di coalizione, il portavoce Mark Toner ha detto che, naturalmente, l’amministrazione Usa avrebbe “lavorato con questo governo come abbiamo fatto con tutti i governi israeliani che l’hanno preceduto, con l’obiettivo di rafforzare la nostra collaborazione”. Ma si è poi concesso un’incursione a gamba tesa in quella che dovrebbe essere considerata politica interna israeliana. “Abbiamo anche visto dei rapporti da Israele che descrivono questa coalizione come quella più a destra nella storia di Israele – ha aggiunto Toner – e sappiamo anche che molti dei suoi ministri si sono detti contrari a una soluzione a due stati. Questo suscita legittimi interrogativi sulla direzione che può aver intrapreso, e sul tipo di politiche che potrebbe adottare, ma in definitiva giudicheremo questo governo in base delle sue azioni”.

Personalmente, nei giorni scorsi, ho scritto due articoli critici verso l’allontanamento di Ya’alon e la sua imminente sostituzione con Liberman, e non sarei sorpreso se questa mossa di Netanyahu finirà con l’essere considerata un punto di svolta, quando l’elettorato sarà chiamato a esprimere la propria opinione sull’operato del primo ministro. Eppure sono rimasto molto colpito dalla critica che Washington ha espresso nonostante il fatto che Liberman, all’atto della firma dell’accordo di coalizione, si fosse dichiarato “impegnato verso una politica equilibrata che porti stabilità alla regione e al nostro paese”, e fosse persino passato all’inglese per esprimere chiaramente il suo impegno “verso la pace e verso un accordo sullo status finale, e verso la comprensione tra noi e i nostri vicini”.

L'ayatollah Ahmad Jannati, accompagnato dal capo di Hamas Khaled Mashaal, arriva ad un cerimonia presso l'Università di Teheran nel febbraio 2009. Nei quadri, il defunto leader ayatollah Ruhollah Khomeini, a sinistra, e la Guida Suprema ayatollah Ali Khamenei

L’ayatollah Ahmad Jannati, accompagnato dal capo di Hamas Khaled Mashaal, arriva a un cerimonia presso l’Università di Teheran nel febbraio 2009. Nei quadri, il defunto leader iraniano ayatollah Ruhollah Khomeini, a sinistra, e l’attuale Guida Suprema ayatollah Ali Khamenei

La cosa forse più eloquente nella reazione di Washington è che sia stata così diversa dalla reazione della stessa amministrazione ai drammatici sviluppi politici in Iran dove, per combinazione proprio il giorno prima, un esponente della linea più dura era stato elevato, in circostanze alquanto diverse, ad una posizione ancora più potente. Infatti martedì scorso, un giorno prima che Netanyahu e Liberman firmassero il loro accordo, l’Assemblea degli Esperti iraniana aveva scelto l’ayatollah Ahmad Jannati come suo nuovo presidente. L’Assemblea degli Esperti è quella che supervisiona gli atti della Guida Suprema Ali Khamenei, ed è quella che un giorno sceglierà il successore di Khamenei. Ciò fa di Jannati una delle figure più potenti in Iran, se non la più potente.

Ahmad Jannati, descritto da tutti come uno dei più estremisti fra gli esponenti religiosi iraniani, non è una persona particolarmente gradevole. Si oppone a qualunque idea di riforma politica in Iran. Sostiene l’esecuzione capitale dei dissidenti politici. Insiste che le donne iraniane debbano restare sempre coperte sotto l’hijab. Manco a dirlo, detesta Israele. E detesta pure gli Stati Uniti.

Ecco Jannati nel 2007: “Alla fin fine, siamo un regime anti-americano. L’America è il nostro nemico, e noi siamo i nemici dell’America. L’ostilità fra noi non è una questione personale, è una questione di principio”. E nel 2008: “Avete gridato: morte allo Shah, ed è morto davvero. Avete gridato: morte a Israele, e ora è sul letto di morte. Gridate: morte all’America e in poco tempo, ad Allah piacendo, su di essa verrà recitata la preghiera per i defunti”. E nel 2014: “Morte all’America è la prima opzione sul nostro tavolo. Questo è lo slogan di tutto il nostro popolo, senza eccezioni. Questo è il nostro slogan numero uno”.

Mark Toner, portavoce del Dipartimento di stato Usa

Mark Toner, portavoce del Dipartimento di stato Usa

Dato che gli Stati Uniti lo scorso anno hanno guidato il processo diplomatico culminato in un accordo per tenere a freno (non smantellare) il fedifrago programma nucleare iraniano; dato che il presidente Barack Obama ha esortato l’Iran a “incamminarsi verso un rapporto più costruttivo con la comunità mondiale”; dato che l’Iran è uno stato sponsor del terrorismo e un fomentatore seriale di violenze in tutta la regione; dato che l’Iran continua a sviluppare il suo aggressivo programma di missili balistici, sarebbe stato logico aspettarsi che la scelta del nemico estremista Jannati suscitasse “legittimi interrogativi sulla direzione” intrapresa dall’Iran “e sul tipo di politiche che potrebbe adottare”. E infatti, un giorno prima che fosse interpellato su Liberman il portavoce del Dipartimento di stato Mark Toner era stato interpellato, nella conferenza stampa quotidiana, circa la nomina di Jannati. Forse che ha espresso sgomento per la scelta di un esponente ferocemente ostile agli Stati Uniti e a Israele per un incarico di tale prestigio? Forse che ha espresso la preoccupazione degli Stati Uniti per il bieco messaggio che la scelta di Jannati rappresenta? Nulla di tutto questo. Ecco la trascrizione del dialogo coi giornalisti.

Un giornalista: “Avrete certamente visto la notizia che Ahmad Jannati, un religioso 90enne anti-occidentale, è stato scelto come capo della nuova Assemblea degli Esperti dell’Iran, che si occupa di selezionare la prossima Guida Suprema. Si tratta di una notizia buona o di una notizia negativa? Questo lascia forse intendere che l’Iran potrebbe spostarsi su una posizione più filo-occidentale, più aperta verso l’Occidente?”

Un altro giornalista: “O vi fidate delle procedure democratiche interne iraniane?” (risate).

Mark Toner: “Fatemi vedere se ho qualcosa di conciso da dire al riguardo”.

Un altro giornalista: “E considerate l’Iran un alleato nella lotta contro il terrorismo?” (risate).

Toner: “State parlando… sì, no. Provateci voi, ragazzi (risate). Noi, come sapete, seguiamo da vicino gli eventi nazionali in Iran, ma non abbiamo alcun commento, a questo punto, sul risultato dell’elezione della dirigenza dell’Assemblea degli Esperti”.

Si sollevano dubbi sulla direzione intrapresa da Israele dopo che Liberman è entrato nella coalizione promettendo impegno per la pace, ma si resta in silenzio sulla direzione intrapresa dall’Iran dopo che Jannati, un uomo che persegue dichiaratamente la distruzione degli Stati Uniti e di Israele, è stato eletto a capo dell’Assemblea degli Esperti. Provateci voi, ragazzi.

(Da: Times of Israel, 29.5.16)