Come mai l’Autorità Palestinese rifiuta l’indagine congiunta e nasconde prove forensi basilari?

La morte della giornalista di Al-Jazeera è una tragedia, ma incolpare aprioristicamente Israele servirà solo a fomentare altri attentati e altro sangue

Editoriale del Jerusalem Post

La salma della giornalista Abu Akleh è stata trasportata da migliaia di palestinesi in un caotico corteo funebre, mercoledì, per le vie di Ramallah prima che si procedesse a un serio esame autoptico (clicca per ingrandire)

L’uccisione della giornalista di Al-Jazeera Shireen Abu Akleh durante un violento scontro a fuoco a Jenin tra palestinesi e soldati delle Forze di Difesa israeliane è una tragedia. I giornalisti che svolgono il loro lavoro dovrebbero essere tutelati anche nelle situazioni più pericolose.

La morte della reporter 51enne, un volto familiare per milioni di telespettatori in tutto il mondo arabo, costituisce una tragedia così come la morte di tutti i giornalisti colpiti e uccisi nel fuoco incrociato mentre riferiscono da zone di conflitto e di guerra in tutto il mondo. Abu Akleh aveva cittadinanza americana e l’ambasciatore statunitense in Israele Tom Nides ha chiesto “un’indagine approfondita sulle circostanze” della sua morte. Siamo perfettamente d’accordo.

Ma c’è qualche problema. Innanzitutto, ci sono molti che attribuiscono senza mezzi termini la colpa a Israele ancora prima che sia avviata un’indagine. In secondo luogo, i palestinesi non sono disposti a collaborare con Israele in un’indagine congiunta.

Una giornalista di alto profilo giace morta in una strada dove c’è stato un furibondo scontro a fuoco e la conclusione immediatamente tratta dai palestinesi e dai loro sostenitori, senza porsi domande, è che l’ha uccisa Israele. E che lo ha fatto intenzionalmente.

Il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen si è precipitato a proclamare “la piena responsabilità” delle “autorità di occupazione israeliane”. L’esponente politica palestinese Hanan Ashrawi ha twittato che Abu Akleh è stata “colpita e uccisa dall’esercito di occupazione israeliano”. Il portavoce di Fatah, Osama al-Qawasami, ha dichiarato che Israele ha deliberatamente preso di mira Abu Akleh perché “vuole intimidire i giornalisti di tutto il mondo”. Lolwah al Khater, viceministro degli esteri del Qatar, il paese che sovvenziona Al-Jazeera e Hamas, ha twittato che “il terrorismo sponsorizzato dallo stato israeliano deve cessare” e la tv Al-Jazeera ha già stabilito con assoluta certezza che le Forze di Difesa israeliane hanno sparato alla sua giornalista “intenzionalmente” e “a sangue freddo” (intanto, a 10mila km di distanza, l’attrice americana Susan Sarandon twittava: “Shireen Abu Akleh è stata giustiziata con un colpo alla testa da cecchini israeliani” ndr).

Il tweet immediatamente postato mercoledì pomeriggio dall’attrice americana Susan Sarandon: “Shireen Abu Akleh è stata giustiziata con un colpo alla testa da cecchini israeliani”

Tutte queste dichiarazioni sono state fatte prima di qualsiasi indagine e senza alcuna prova fattuale. Coloro che amano pensare sempre il peggio di Israele saranno pronti ad accettare e credere qualsiasi cosa, compresa l’idea che Israele possa voler uccidere intenzionalmente una famosa giornalista araba.

“In base alle informazioni in nostro possesso al momento – ha affermato il primo ministro israeliano Naftali Bennett – ci sono buone possibilità che Akleh sia stata uccisa da palestinesi che sparavano indiscriminatamente verso le truppe israeliane”. Il suo ufficio ha diffuso un video in cui si sente un miliziano armato palestinese che esclama: “Colpito un soldato, è a terra”. Ma siccome nessun soldato israeliano è stato ferito nello scontro a fuoco, è possibile che i miliziani armati fossero convinti d’aver colpito un soldato e invece si trattava della giornalista, e che dunque siano loro i responsabili della sua morte.

Qui non è questione di sostenere “narrazioni” contrastanti. Si tratta di indagare. Un’indagine anatomopatologica congiunta relativamente semplice – per chiarire esattamente tipo e provenienza del proiettile e il suo angolo di ingresso – contribuirebbe notevolmente a determinare chi ha sparato il colpo fatale. Ma i palestinesi non sono interessati a un’indagine congiunta. Il corpo di Akleh è stato immediatamente sottratto a una possibile autopsia da condurre presenza di israeliani ed enti terzi, è stato fatto sfilare in un caotico corteo mercoledì pomeriggio a Ramallah ed è previsto che venga sepolto venerdì a Gerusalemme senza effettuare una seria autopsia indipendente. “Purtroppo – ha detto Bennett – al momento l’Autorità Palestinese sta impedendo ogni possibilità di un’indagine congiunta o anche solo l’accesso a evidenze forensi basilari necessarie per arrivare alla verità”.

Al corteo funebre di Abu Akleh giovedì a Ramallah, miliziani palestinesi a volto coperto hanno sfilato e sparato in aria con mitra M16: armi identiche a quelle con cui sarebbe stata colpita la giornalista. Clicca la foto per il filmato di Al-Jazeera su MEMRI

Come mai? Evidentemente non hanno interesse ad “arrivare alla verità” e scoprire come è stata uccisa Abu Akleh. Ciò a cui sono interessati è il vantaggio propagandistico che pensano di ricavare dall’uccisione di una nota giornalista nelle strade di Jenin. L’Autorità Palestinese ha già deciso come è morta Abu Akleh e non intende farsi disorientare da un’indagine che potrebbe scombussolare la sua “narrazione”. Ma le persone ragionevoli in tutto il mondo dovrebbero chiedersi, prima di saltare alle conclusioni: perché i palestinesi rifiutano un’indagine congiunta?

Se Abu Akleh è stata davvero colpita dai soldati delle Forze di Difesa israeliane che operano a Jenin, Israele deve assumersi la responsabilità, riesaminare gli ordini dati e studiare cosa si può fare per garantire il più possibile che non vengano colpiti giornalisti e altri civili, pur dovendo continuare a battersi contro l’ondata di terrorismo in corso andando alla controffensiva in tutta la Cisgiordania, Jenin compresa. Ma l’eventuale responsabilità delle Forze di Difesa israeliane va dimostrata.

La morte di Abu Akleh è un evento terribile. Ma purtroppo viene cinicamente usata per incolpare Israele in modo aprioristico, cosa che non mancherà di fomentare ulteriori attacchi terroristici contro lo stato ebraico.

(Da: Jerusalem Post, 12.5.22)

Secondo fonti dell’Autorità Palestinese, il proiettile che ha colpito Abu Akleh alla testa sarebbe un 5.56×45 mm per fucile d’assalto M16: un’arma usata sia dalle forze israeliane che dalle cellule palestinesi in Cisgiordania, per cui l’informazione non è sufficiente per determinare chi ha sparato il proiettile. Secondo i risultati preliminari di un’indagine militare israeliana, Abu Akleh è stata colpita mentre si trovava a circa 150 metri dalle forze israeliane. D’altra parte, secondo un esame del corpo condotta da medici legali palestinesi, il proiettile che ha ucciso la giornalista “è stato sparato da alcuni metri di distanza”. Il dottor Rayyan Al-Ali, capo del dipartimento di medicina legale dell’Università An-Najah di Nablus, ha detto alla tv al-Jarmak che “al momento è impossibile determinare” chi ha sparato.

“Chiunque sostenga che il nostro esercito ha ucciso la giornalista – ha detto il ministro israeliano delle comunicazioni Yoaz Hendel – non lo fa sulla base di un’indagine o di elementi di fatto, ma solo sulla propaganda. Abbiamo detto che indagheremo, ed è quello che stiamo facendo”.

Durante la cerimonia commemorativa tenuta giovedì a Ramallah, il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen ha dichiarato: “Abbiamo respinto un’indagine congiunta con le autorità israeliane [per scoprire chi ha sparato] perché sono loro che hanno commesso il crimine”.

“Mi auguro che l’Autorità Palestinese non intraprenda alcuna azione intesa a ostacolare le indagini o inquinare il processo investigativo in un modo tale da impedire di arrivare alla verità” ha dichiarato giovedì il primo ministro israeliano Naftali Bennett.

(Da: Haaretz, Jerusalem Post, YnetNews, 12.5.22)