Com’è che l’Iran la fa sempre franca?

L'Iran ha l'abitudine di immischiarsi negli altri paesi e avvilupparli nella sua politica, per poi sostenere che qualsiasi tentativo di sganciarlo da lì causerà "instabilità"

Di Seth J. Frantzman

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, il ministro degli esteri britannico, il presidente francese, l’ex segretario di stato americano John Kerry, tutti sembrano prendere le difese dell’accordo sul nucleare iraniano. Il ministro degli esteri di Teheran Mohammad Javad Zarif non ha nemmeno più bisogno di fare il suo lavoro: ha un’intera schiera di personalità in Occidente che parlano a nome dell’Iran, che si fanno in quattro per promuovere il suo punto di vista. “Senza accordo può esserci la guerra”, dicono. Il ministro della difesa francese ha dichiarato martedì che indebolire l’accordo può “aggravare la regione” e che l’accordo è “fonte di pace”.

Nel frattempo il regime iraniano celebra quella che chiama la “vittoria” di Hezbollah nelle elezioni in Libano. L’unico partito armato a partecipare alle elezioni, l’unico importante partito senza una sola donna in lista, ha goduto di privilegi senza precedenti alle elezioni. Così, mentre i leader occidentali lodavano la “pace” e la “stabilità” dell’accordo sul nucleare iraniano, l’Iran appoggiava e sosteneva le liste dell’equivalente libanese di un’organizzazione armata in stile Ku Klux Klan. Quando sono usciti i risultati, i fanatici di Hezbollah hanno marciato per le strade, hanno bruciato i poster dei rivali, hanno danzato sul monumento alla memoria del primo ministro libanese Rafic Hariri assassinato nel 2005. Assassinato da Hezbollah. Ecco la “stabilità” e la “pace”, nella orwelliana visione del mondo di coloro che giustificano la condotta del regime iraniano: più sono le armi e i fanatici oscurantisti e reazionari che vincono le elezioni, più regnano stabilità e pace.

Il presidente iraniano Hassan Rouhani, quello russo Vladimir Putin e quello turco Tayyip Erdogan, lo scorso novembre a Sochi (Russia) per il vertice sulla Siria

Com’è che l’Iran la fa sempre franca? Non solo in Libano. In Iraq, l’Iran ha costruito silenziosamente una rete di surrogati politici e gruppi armati. Ha sfruttato con successo la guerra contro l’ISIS per piazzare i suoi alleati dell’Organizzazione Badr a capo del Ministero degli interni iracheno. Costoro, a loro volta, hanno le loro milizie sciite, chiamate Unità di Mobilitazione Popolare, consacrate come forza paramilitare ufficiale. Tra il 2016, quando il parlamento iracheno ha approvato un’apposita legge, e il 2018 le Unità di Mobilitazione Popolare sono diventate un braccio ufficiale del governo. Quella che doveva essere una milizia organizzata per difendere Baghdad nell’ora più buia del blitzkrieg dell’ISIS, è diventata ancora più riconosciuta e centrale, in Iraq, di quanto sia Hezbollah in Libano. E i leader delle Unità di Mobilitazione Popolare si candidano alle elezioni irachene. Si potrebbe dire: beh, cosa c’è di diverso dagli altri leader militari che si candidando alle elezioni? Vero. Ma negli altri paesi devono prima fare almeno il gesto di levarsi l’uniforme. Il modello iraniano, invece, è il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, vale a dire: militari a tempo pieno della rivoluzione islamica e politici part-time. Nell’ottobre 2017, Zarif ce l’ha ricordato con un tweet: “Siamo tutti Guardiani della Rivoluzione”.

L’Iran sta vincendo anche in Siria e nello Yemen, in modi diversi. Nello Yemen, il sostegno propagandistico e il know-how tecnologico di Teheran hanno assistito gli Houthi nella loro guerra contro un’alleanza guidata dall’Arabia Saudita. Si potrebbe obiettare che nello Yemen gli iraniani stanno semplicemente contrastando Riad. Anche in Siria l’Iran sostiene di essere stato chiamato dal “governo legittimo” a combattere “i terroristi”, o quelli che i mass-media del regime iraniano e dei suoi compari definiscono estremisti takfiri (apostati, miscredenti). Okay, ma l’Iran non sta solo aiutando il feroce regime di Assad: sta anche mettendo radici. E’ in atto un cambiamento demografico. Sciiti pakistani e afghani vengono mandati come carne da cannone, spesso sotto mentite spoglie, a morire per il presidente siriano Bashar Assad; dopodiché le loro famiglie possono ascoltare gli edificanti racconti del martirio dei loro poveri figli su un campo di battaglia di cui non hanno mai saputo nulla, a difendere santuari sciiti che non potranno mai permettersi di visitare.

Le statue dei Musei Capitolini coperte da pannelli bianchi per la visita a Roma del presidente iraniano Hassan Rouhani nel gennaio 2016

L’Iran vince anche reprimendo la sua stessa gente, mentre allunga i suoi tentacoli in tutto il vicinato. All’interno, proibisce Twitter e social network, ma gli esponenti del regime usano Twitter per diffondere propaganda. All’estero, l’Iran si aspetta di essere onorato e trattato con dignità, ridendosela e spassandosela nei think tank e nei campus universitari occidentali. A questo regime che calpesta i diritti delle donne e impicca omosessuali e curdi innocenti, e che fucila coloro che osano darsi al contrabbando per sopravvivere, viene offerto un pulpito nei centri dell’istruzione superiore e della libertà di espressione in Occidente. Questa è l’estrema ipocrisia, e senza mai un ritorno. Nessuna voce critica del regime viene mai fatta parlare a Teheran. Ovviamente no. Noi dobbiamo sorbirci la propaganda iraniana, ma non accade mai che il regime iraniano permetta ai nostri punti di vista di essere ascoltati  nella sua società.

Non è vero che le cose devono andare per forza in questo modo. Non dobbiamo farci sempre ricattare da questo regime con le sue minacce di crisi e di guerra. Non dobbiamo dargli per forza tutto lo spazio sui social network. Sono le nostre società che hanno creato i social network, e potremmo bandirne l’indottrinamento all’odio reazionario e oscurantista del regime di Teheran. Potremmo dare voce e forza agli iraniani comuni che detestano i ceppi ai quali i teocrati li tengono incatenati da decenni. Non c’è motivo perché si debba sempre stendere il tappeto rosso davanti a Zarif.

L’Iran ha l’abitudine di immischiarsi negli altri paesi, e avvilupparli nella sua politica, per poi sostenere che qualsiasi tentativo di sganciarlo da lì causerà “instabilità”. Sarebbe come dire che le navi, per avere stabilità, hanno bisogno di essere avvolte dai tentacoli di una piovra gigante che le trascina verso il fondo. E’ l’Iran quello che destabilizza. Favorisce forze politiche reazionarie e oscurantiste in Iraq, in Libano e altrove, e poi finge che gli estremisti, che rispondono a Teheran, rendano necessaria una maggiore presenza iraniana per “difendere la stabilità”. No. In realtà, ciò di cui la regione ha bisogno è di meno coinvolgimento dell’Iran. E ciò di cui l’Iran ha bisogno è di più pluralismo e di una società più aperta, in modo che la sua popolazione possa finalmente avere voce in capitolo nella propria vita politica. L’Iran ama immischiarsi. È tempo di immischiarsi in Iran.

(Da: Jerusalem Post, 9.5.18)