Come porre fine al blocco di Gaza

Il modo migliore è porre fine al regime di Hamas.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2848Crescono le pressioni su Israele perché revochi il blocco sulla striscia di Gaza. Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, un risoluto sostenitore di Hamas, ha condizionato il mantenimento delle relazioni diplomatiche con Israele alla fine del cosiddetto assedio. Il primo ministro britannico David Cameron, enunciando la sua retorica anti-blocco in termini più amabili, ha suggerito a Israele “da amico” di porre fine al blocco giacché avrebbe in realtà rafforzato Hamas. (Due posizioni, per inciso, che si accordano molto fra loro.) E persino gli Stati Uniti, secondo il New York Times, potrebbero premere per la fine del blocco. Già nel giungo 2009 il presidente Barack Obama, nel suo famoso discorso al Cairo, sostenne che questa misura è devastante per le famiglie palestinesi senza servire agli interessi d’Israele.
In verità, Israele non ha alcun desiderio di mantenere il blocco. Nell’agosto 2005, con una mossa estremamente lacerante e controversa, Israele ritirò tutti i suoi militari e sradicò i suoi ottomila civili dalla striscia di Gaza. Purtroppo, anziché veder utilizzata la striscia di Gaza non più occupata come un primo passo verso la formazione di un futuro stato palestinese indipendente e responsabile, si avverarono i timori dei più scettici esperti di sicurezza israeliani.
Incoraggiate della convinzione che la violenza terroristica avesse costretto Israele a sgomberare da Gaza, e non più ostacolate dalla presenza delle Forze di Difesa israeliane su quel territorio, Hamas e altre organizzazioni islamiste estremiste aggirarono la carente sorveglianza egiziana sul Corridoio Philadelphia (lungo il confine col Sinai) introducendo nella striscia di Gaza centinaia di razzi Qassam e altre armi. Anche se la nave Karine A con il suo carico di armamenti iraniani venne intercettata nel gennaio 2002, altre navi cariche di armi ed esplosivi molto probabilmente sono riuscite a passare.
Nel giugno 2006, durante uno dei tanti attacchi contro i soldati israeliani di guardia al confine fra Israele e striscia di Gaza, Hamas sequestrò Gilad Shalit. Nel giugno 2007 Hamas strappò con la violenza il controllo della striscia di Gaza all’Autorità Palestinese guidata da Fatah, e diede poi la caccia ai sostenitori dell’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) andando ad eliminare senza pietà anche quelli feriti fin dentro gli ospedali.
Dentro Gaza, Hamas ha istituito un regime estremista islamista che discrimina i cristiani, fa la guerra agli stili di vita laici e promuove attivamente la misoginia, compresi gli omicidi d’onore. Fuori da Gaza, Hamas ha bombardato per mesi e mesi le località civili israeliane con migliaia di obici e razzi, andando a colpire a poco a poco sempre più in profondità nel territorio israeliano. Alla fine di dicembre 2008 (dopo che Hamas aveva rotto in anticipo una sorta di fragile tregua) Israele fu costretto a lanciare una campagna militare nella striscia di Gaza volta a rintracciare e distruggere i razzi e le officine improvvisate dove questi razzi vengono fabbricati.
Se Israele, sotto la pressione internazionale, sarà costretto a togliere il blocco su Gaza, il timore è che ne possa seguire in tempi brevissimi una nuova guerra. La convinzione di Hamas che il terrorismo paga ne uscirebbe infatti ulteriormente confermata. I terroristi di Hamas verrebbero in possesso di razzi e missili a gittata sempre più lunga, fino ad essere in grado di raggiungere la non lontana Tel Aviv o addirittura i sobborghi di Gerusalemme. In effetti, come ha avvertito questa settimana il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, sono già in possesso di alcune di queste armi.
In teoria Israele potrebbe annunciare che, di fronte alle critiche internazionali, ha deciso di trasferire ogni responsabilità sulla striscia di Gaza alla comunità internazionale stessa. In questo scenario, Israele procederebbe a chiudere completamente i valichi di passaggio fra Israele e striscia di Gaza: rifornimenti, medicinali e altri beni necessari dovrebbero esservi introdotti attraverso il confine con l’Egitto. E, in teoria, Israele non potrebbe più essere incolpato per la supposta “crisi umanitaria” nella striscia di Gaza.
Ma c’è il problema che l’Egitto, che da decenni si rifiuta di assumersi la responsabilità esclusiva di Gaza, non accetterebbe mai questo accomodamento. Un altro problema è che Israele non potrebbe mai contare sul fatto che forze internazionali si adoperino scrupolosamente per impedire il riarmo di Hamas. Il fallimento delle forze Unifil nell’impedire che Hezbollah riempisse di missili iraniani i suoi arsenali nel Libano meridionale è la dimostrazione che questo sistema semplicemente non funziona.
Un’altra opzione, più praticabile, è che Israele ricalibri la lista delle merci incluse nel blocco, specialmente le merci “dual-use” (cioè a doppio uso, sia civile che militare) come il cemento, che può servire per costruire sia edifici civili che bunker a prova di bomba. Già adesso un forum congiunto di organismi israeliani e internazionali si incontra ogni settimana per ridurre al minimo le strozzature e rispondere a singole richieste speciali. Forse, con la collaborazione dell’Egitto e di rispettate organizzazioni d’aiuto internazionali, si potrebbe trovare il modo di garantire che, se cose come il cemento debbono entrare a Gaza, si possa almeno controllare che vengano usate per scopi unicamente pacifici.
Ma, in ogni caso, l’unica vera soluzione per il blocco resta nelle mani della gente di Gaza. Israele ha messo in chiaro che l’assedio verrà tolto non appena la dirigenza politica di Gaza accetterà di riconoscere l’esistenza dello stato ebraico, abbandonare la violenza, rilasciare l’ostaggio Shalit e sottoscrivere gli accordi di pace già firmati in passato fra Israele e Autorità Palestinese (che sono poi le richieste del Quartetto Usa, Ue, Russia, Onu).
Israele non è in guerra con i palestinesi che vivono nella striscia di Gaza, ma con il regime estremista che la controlla e che si adopera attivamente per distruggere ogni presenza di uno stato ebraico. Chi è veramente interessato a portare la pace ed alleviare gli affanni degli abitanti di Gaza dovrebbe puntare a questi obiettivi non tanto facendo pressione su Israele affinché smetta di difendersi, bensì adoperandosi per convincere i palestinesi di Gaza che la via imboccata da Hamas è un vicolo cieco.

(Da: Jerusalem Post, 6.4.10)

Nella foto in alto: manifestanti anti-Hamas con la scritta (che riprende, modificandolo, lo slogan “Free Gaza” dei “pacifisti” filo-Hamas): “Liberare Gaza da Hamas”