Come si dice “chutzpah” in arabo?

La faccia tosta di Erekat che ha detto: “Siamo stufi delle vostre perdite di tempo”

Editoriale del Jerusalem Post

image_2665Come si dice “chutzpah” (insolenza) in arabo? In effetti, il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat ha fatto mostra di uno stupefacente grado di sfacciataggine quando ha dichiarato alla radio israeliana: “Siamo stufi delle vostre perdite di tempo, non crediamo che vogliate davvero la soluzione a due Stati”.
L’idea palestinese di negoziati suona più o meno così: voi accettate la nostra posizione nella sua totalità, dopodiché si potrà parlare delle modalità di attuazione. Un approccio – chi l’avrebbe mai detto? – che non ha dato grandi risultati, per cui ora una frustrata Olp potrebbe decidere di rivolgersi al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per chiedergli di imporre a Israele le richieste dei palestinesi.
Bisognare dare atto a Erekat e al suo presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che oggi le richieste dei palestinesi suonano decisamente più ragionevoli rispetto a quelle del fondatore dell’Olp, Ahmad Shukeiry, il quale nei giorni che portarono alla guerra del ’67 – quando Cisgiordania e striscia di Gaza erano sotto controllo arabo – andava proclamando: “La decisione del popolo arabo è irrevocabile: cancellare Israele dalla carta geografica”. E sono anche migliorate rispetto a ciò che Yasser Arafat, dopo Oslo, sembra abbia detto a una riunione di diplomatici arabi in Europa: “Noi intendiamo eliminare Israele e istituire uno Stato palestinese: renderemo la vita insopportabile agli ebrei con la guerra psicologica”.
Ma ora Erekat e Abu Mazen stanno perdendo tempo silurando la soluzione a due Stati con la loro intransigenza.
Tutta una serie di governi israeliani si sono offerti di riconoscere uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza. Ma Abu Mazen respinse l’offerta avanzata da Ehud Olmert: 93% della Cisgiordania, più altre terre staccate da Israele a compensazione della parte mancante, più tutta la striscia di Gaza e un meccanismo di libero passaggio fra striscia di Gaza e Cisgiordania. In base alla proposta di Olmert, Israele avrebbe annesso i blocchi di insediamenti di valore strategico, ma tutti gli altri insediamenti e avamposti sul versante palestinese del confine sarebbero stati sgomberati e sradicati (come già avvenuto nella striscia di Gaza). Ehud Barak aveva avanzato a Yasser Arafat una proposta appena appena meno generosa, a Camp David nel luglio 2000 e poi ancora a Taba nel gennaio 2001. Barak, come l’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu nel suo discorso programmatico del 14 giugno 2009 all’Università Bar-Ilan, chiedeva che la “Palestina” fosse smilitarizzata affinché non diventasse di nuovo una base di lancio per attacchi di feddayin o il trampolino per un’aggressione iraniana: una preoccupazione concretissima nel caso la Palestina dovesse cadere in mani islamiste (come già avvenuto nella striscia di Gaza).
Israele chiede inoltre che la Palestina assorba all’interno del suo territorio ogni profugo arabo “di ritorno”. Infine Israele vuole che gli arabi lo riconoscano in quanto Stato nazionale del popolo ebraico esattamente come la Palestina verrebbe riconosciuta in quanto Stato nazionale del popolo palestinese.
Qualunque osservatore intellettualmente onesto non può che riconoscere che la posizione israeliana è tutt’altro che irragionevole, soprattutto alla luce della paurosa esperienza all’indomani del disimpegno da Gaza.
Per quanto riguarda Gerusalemme, non è che la città possa essere semplicemente divisa da un decreto dell’Onu giacché le parti nord, sud, est e ovest di Gerusalemme formano un tutto organico. Ci vorrà un’enorme dose di buona volontà per trovare un compromesso accettabile.
Ma torniamo alla chutzpah di Erekat. I palestinesi hanno creato una impasse artificiale sostenendo tutt’a un tratto che non avrebbero (più) negoziato senza un immediato congelamento di tutte le attività edilizie negli insediamenti di Cisgiordania (e a Gerusalemme est). Ora lo stallo che Erekat si è inflitto da sé a quanto pare lo costringe a manovrare presso il Consiglio di Sicurezza per far cestinare, di fatto, la risoluzione 242 – la struttura su cui si regge tutto il processo di pace – e lo spinge a dare il suo imprimatur a una nuova dichiarazione di indipendenza unilaterale palestinese, rivendicando il 100% di Cisgiordania e striscia di Gaza (e poco importa se la striscia di Gaza è ormai un feudo di Hamas) più tutta Gerusalemme est, compresi i luoghi santi ebraici. Per combinazione, proprio in questi giorni ricorre il 21esimo anniversario della (inutile) dichiarazione di indipendenza già proclamata dai palestinesi ad Algeri nel 1988.
È chiarissimo come mai Erekat vuole cestinare la 242 del 1967. Le parole magistralmente elaborate di quella risoluzione insistono su uno scambio di terra per la pace, usando la celebre formula “un ritiro delle forze armate israeliane da territori occupati”: evitando deliberatamente di esigere un ritiro da “tutti” i territori (giacché il confine definitivo doveva e deve ancora essere stabilito col negoziato).
Sicché, invece di trattare in buona fede per arrivare a un accordo concretamente attuabile, Erekat e Abu Mazen preferiscono scommettere su una soluzione imposta dall’esterno: una strada che non porterà né alla riconciliazione, né alla sicurezza reciproca, né alla pace, condannando un’altra generazione di israeliani e di palestinesi a nuovi spargimenti di sangue.
Non sarebbe meglio se i palestinesi tornassero semplicemente al tavolo negoziale, e il più presto possibile?

(Da: Jerusalem Post, 16.11.09)

Nella foto in alto: il capo dei negoziatori palestinesi Saeb Erekat (a sin) e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)

Si veda anche:

Olmert: “Offrii ai palestinesi il migliore accordo possibile. Invano”

https://www.israele.net/articolo,2617.htm

Quando Abu Mazen dice no

https://www.israele.net/articolo,2509.htm

Non vogliono due stati

https://www.israele.net/articolo,2536.htm