Come si falsifica una testimonianza

Questa volta l’Independent si è inventato gli “squadroni della morte israeliani”

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2449Lo scorso primo marzo l’edizione domenicale del britannico Independent, considerato parte di ciò che oggi passa per essere la più prestigiosa stampa Britannica, pubblicava a tutta prima pagina un articolo intitolato: “Gli squadroni della morte d’Israele: il racconto di un soldato”, firmato da Macintyre in collaborazione con il gruppo di attivisti israeliani (dai finanziamenti non del tutto trasparenti) chiamato “Breaking the Silence” (Rompere il silenzio), che si definisce un gruppo dedicato alla raccolta di “testimonianze” che smascherano la “profonda corruzione” delle forze armate israeliane.
Protagonista dell’elaborato di Macintyre è un “ex tiratore scelto con cicatrici psicologiche”, che non può rivelare il proprio nome. Il 22 novembre 2000 questo soldato avrebbe fatto parte di una unità d’elite cui era stato ordinato di arrestare “un militante palestinese chiamato Jamal Abdel Razak” all’incrocio Morag, nella striscia di Gaza. Secondo il racconto dl soldato citato da Macintyre, la sua unità venne improvvisamente informata che Razak era sulla strada “e allora ricevemmo l’ordine che, dopo tutto, sarebbe stato un assassinio [e non un arresto]”. Razek, dice l’Independent, era disarmato. A complicare le cose capitò sulla scena un taxi con a bordo il “panettiere” Sami Abu Laban e lo “studente” Na’el al Leddawi. Continua il soldato di Breaking the Silence: “Ci diedero due secondi e dissero: sparate, fuoco”. E così sparò “undici proiettili nella testa del militante Razek”. Il “panettiere” e lo “studente”, insieme a un altro militante, presi nel fuoco incrociato restarono tutti uccisi. Riepiloga Macintyre: il soldato “non ha mai raccontato ai suoi genitori quello che era accaduto”. Provenendo da “una buona famiglia”, come avrebbe potuto?
E così, eccoci serviti: uno scoop sulla prima pagina dell’Independet “dimostra” che le Forze di Difesa israeliane impiegano squadroni della morte che uccidono senza tanti scrupoli sia “militanti” disarmati che qualunque civile capiti sulla loro strada.
Il nome Itamar Yefet non compare nel resoconto di Macintyre. Era un ragazzo diciottenne originario di Netzer Hazani, ucciso il giorno prima all’incrocio Gush Katif (striscia di Gaza) da un cecchino palestinese. Lo stesso giorno in cui Yefet cadde nell’imboscata, un autobus che viaggiava in Galilea (nord Israele) venne attaccato con bombe incendiarie. Due giorni prima, il sottufficiale Sharon Shitoubi, di 21 anni, era stato mortalmente ferito da cecchini nemici vicino all’incrocio Morag. Nello stesso periodo, tre bambini fra gli 8 e i 12 anni della famiglia Cohen – Orit, Yisroel e Tehila – erano rimasti tutti e tre mutilati in un attentato al loro scuolabus. La guerra d’attrito di Yasser Arafat, la seconda intifada, che sarebbe costata la vita a più di mille israeliani, era in pieno corso. Mentre i soldati israeliani cercavano Jamal Abdel Razak, un’autobomba esplodeva a Hadera (in Israele), uccidendo due persone e ferendone o mutilandone una cinquantina.
È vero che, per qualche ragione militare, qualcosa andò storto nell’operazione per l’arresto di Jamal Abdel Razak, che rimase ucciso insieme ad altri tre palestinesi. Ma Razak non era un “militante”. Era uno dei capi della milizia Tanzim (illegale secondo gli accordi di pace): detenuto in Israele nel periodo 1992-’97, appena scarcerato aveva ricominciato ad organizzare numerosi attentati mortali. Contrariamente a quanto lascia credere Macintyre, tutti e quattro i palestinesi morti nello scontro erano membri dell’ala militare di Fatah: lo stesso movimento infatti diffuse un comunicato in cui condannava “l’assassinio di quattro suoi ufficiali”, minacciando che “il sangue dei suoi figli” sarebbe stato vendicato.
Qualcuno si potrebbe domandare come mai ce la prendiamo tanto per quello che non altro è che un ennesimo caso di calunnia, su una stampa britannica da tempo votata a delegittimare Israele. Ma noi restiamo convinti che, nonostante l’anti-israelismo preconcetto che pervade mass-media e accademie britanniche, i lettori realmente indipendenti abbiano il diritto di essere informati con completezza su tutte le circostanze della morte di Jamal Abdel Razak e, soprattutto, di sapere che in Israele non esiste nessuno “squadrone della morte”.

(Da: Jerusalem Post, 5.03.09)