Come uccisioni e sabotaggi potrebbero evitare la guerra con l’Iran
Una rischiosa “terza via” per spezzare l’aut-aut fra cedimento ai piani di Teheran e guerra aperta contro le sue politiche terroristiche e nucleari
Di Yonah Jeremy Bob
Paradossalmente l’uccisione del “padre” del programma nucleare iraniano Mohsen Fakhrizadeh è stata probabilmente effettuata per evitare una guerra con l’Iran.
Agli occhi dei responsabili della sicurezza nazionale israeliana può andare ad aggiungersi all’uccisione, a gennaio, del capo della Forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche Qasem Soleimani e alla distruzione della centrale nucleare iraniana a centrifughe avanzate di Natanz a luglio: altri due eventi-chiave del 2020 nel quadro della situazione di pericoloso stallo dell’Iran con l’Occidente, Israele e gli stati arabi sunniti. E’ vero che tutti e tre questi incidenti di uccisione e sabotaggio avrebbero potuto sfociare in a un’escalation verso una guerra regionale, ma allo stato attuale tutti i segnali fanno pensare che chiunque li abbia realizzati, lo abbia fatto per ridurre le possibilità di una guerra.
Nel 2019 e 2020 Teheran ha giocato una partita pericolosa. Per non mostrarsi debole di fronte alla campagna di “massima pressione” del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ha puntato a ridurre da 12 a tre-quattro mesi il suo tempo di breakout (il tempo necessario per generare abbastanza uranio sufficientemente arricchito per produrre un’arma nucleare ndr). Fino all’uccisione di Soleimani e, in misura minore, anche dopo di essa, gli ayatollah hanno intrapreso una serie di azioni militari contro Israele, Arabia Saudita, Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti e alcuni altri alleati. Tutto ciò aveva lo scopo di mantenere operativi i due principali piani dell’Iran: avanzare verso la soglia dello sviluppo di un’arma nucleare ed espandere la propria influenza in tutto il Medio Oriente. Il punto d’arrivo di questi due piani consiste nel diventare la forza dominante nella regione e porre una minaccia diretta ancora maggiore contro Israele su più fronti – Siria, Libano e Gaza – oltre alla minaccia nucleare. E’ uno scenario che Israele non può permettersi di accettare.
Ovviamente l’Iran potrebbe reagire in maniera pesante all’uccisione di Fakhrizadeh e l’intera faccenda potrebbe ritorcersi contro Israele e Stati Uniti. Ma Israele è pronto a intraprendere azioni militari in Siria, Libano e Gaza per respingere la minaccia. E stando a reportage esteri avvalorati dal Jerusalem Post, ha già intrapreso azioni importanti, a volte da solo e a volte con gli Stati Uniti, per frenare gli obiettivi nucleari della Repubblica Islamica.
Esiste anche una pressione da varie parti su Israele perché distrugga il più possibile il programma nucleare e le ambizioni di Teheran prima dell’arrivo dell’amministrazione Biden. Il Jerusalem Post ha appreso da più fonti che figure chiave della sicurezza nazionale israeliana sono preoccupate di ritrovarsi con le mani troppo legate dopo l’insediamento del neo eletto presidente Joe Biden, anche se nessuno sa con certezza cosa aspettarsi. Oppure l’ultimo evento, l’uccisione di Fakhrizadeh, potrebbe essere letto come la promessa che attacchi temerari e scrupolosamente calibrati contro l’Iran continueranno a prescindere dagli avvicendamenti alla Casa Bianca.
La recente ondata di indiscrezioni su un possibile attacco più ampio degli Stati Uniti potrebbe anche essere stata una manovra diversiva per distogliere l’attenzione dall’attacco a Fakhrizadeh: che era una sola persona e probabilmente sostituibile, ma insieme a Soleimani, e in questo senso anche alla recente uccisione in Iran del numero due di al-Qaeda Abu Muhammad al-Masri, invia il preciso messaggio all’Iran che gli costerà sempre un caro prezzo insistere con terrorismo e armi nucleari.
Lo scenario che Israele vuole evitare è quello in cui si capisce che l’Iran sta arrivando all’arma nucleare, con il vecchio accordo o con uno nuovo, praticamente al di fuori da qualunque controllo. In tal caso probabilmente Israele si troverebbe nella necessità di considerare un ampio attacco aereo su più impianti nucleari iraniani, mentre è irrisolta la valutazione sul fatto se le sue capacità sarebbero sufficienti per colpire in modo efficace l’impianto nucleare sotterraneo di Fordow e il nuovo impianto sotterraneo di Natanz attualmente in costruzione. Il nuovo impianto di Natanz è particolarmente preoccupante perché le sue centrifughe avanzate potrebbero ridurre notevolmente il tempo di breakout verso una bomba nucleare senza un significativo preavviso. Sotto questo punto di vista, l’obiettivo di scongiurare lo scenario peggiore può giustificare la necessità di correre il rischio della risposta iraniana all’uccisione di Fakhrizadeh.
Anziché stare al gioco a lungo termine dell’Iran, Israele sembra optare per azioni continue che ostacolano i piani iraniani e inviano periodicamente alla Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, segnali volti a scoraggiarlo dall’avvicinarsi troppo al punto esplosivo. Ciò significa che Israele può a volte arrischiare un gioco pericoloso nella ricerca di una terza via che non sia né l’appeasement di un rinnovato accordo che di fatto favorisce le mire iraniane, né una guerra aperta con tutto ciò che essa può comportare.
Se un gioco così pericoloso riesce a evitare operazioni molto più ampie e complesse che assai più probabilmente scatenerebbero una massiccia risposta iraniana (ma è un grosso “se”), allora può essere che in fin dei conti uccisioni e sabotaggi contribuiscano a preservare una calma irrequieta (o almeno l’assenza di una guerra aperta).
(Da: Jerusalem Post, 28.11.20)