Condannare gli aggressori

E di moda biasimare entrambe le parti e invocare autocontrollo anziché condannare i responsabili

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1243Sei anni fa, a fine maggio, Israele ritirava le proprie forze dalla fascia di sicurezza che aveva creato nel Libano meridionale per proteggersi dagli attacchi terroristici. Israele si ritirava all’interno del confine internazionale, la cosiddetta “linea blu” scrupolosamente tracciata dalle Nazioni Unite. A quel punto la milizia Hezbollah – che era stata creata per cacciare Israele dal territorio libanese – avrebbe dichiarato che il suo obiettivo era raggiunto e avrebbe smobilitato, mentre l’esercito libanese avrebbe preso posizione nel sud del paese fino al confine con Israele. O perlomeno, questo era ciò che si sperava che accadesse.
Invece, l’area sgomberata allora da Israele pullula oggi di missili e razzi puntati sulle città israeliane e di cecchini che prendono di mira i soldati israeliani. Domenica scorsa, alle 4.30 del mattino, la Jihad islamica ha deciso di incolpare Israele per l’uccisione, due giorni prima, di uno dei suoi capi a Sidone (in Libano), e ha lanciato una raffica di razzi Katyusha contro Israele, alcuni dei quali hanno centrato un’installazione delle forze aeree ferendo un soldato.
Israele ha reagito attaccando due postazioni di commando terroristici in Libano. Dopo di che, verso le 15.00, è stata la volta di Hezbollah che ha lanciato un massiccio attacco a colpi di mortaio contro una base delle Forze di Difesa israeliane presso il confine, mentre un cecchino Hezbollah faceva fuoco contro due soldati israeliani in servizio nel kibbutz Manara, ferendone uno in modo grave. A quel punto le autorità di sicurezza israeliane davano ordine alla popolazione delle località prossime al confine, compresa la città di Kiryat Shmona, di scendere nei rifugi. Nelle tre ore durante le quali i civili israeliani restavano rintanati nei rifugi, forze aeree e artiglieria bersagliavano una ventina di postazioni Hezbollah. Secondo la Difesa israeliana, si è trattato della più massiccia reazione a un attacco Hezbollah da quando Israele è uscito dalla fascia di sicurezza. Immediatamente Hezbollah chiedeva al governo libanese di far pervenire una richiesta di cessate il fuoco, subito accettato da Israele.
Alcuni osservatori hanno concluso che Israele ha “vinto” questo round, e probabilmente hanno ragione nel senso che Hezbollah ha subito colpi assai più pesanti di quanto si aspettasse. Ma questo genere di valutazione non coglie il punto principale.
Tutto lo scopo dell’entrata in Libano nel 1982 così come dell’uscita dal Libano nel 2000 era quello di cercare di porre fine all’infinita dinamica “botta e risposta” con le formazioni terroristiche schierate al confine nord di Israele. Avendo in mente questo obiettivo, Israele ha formalmente chiesto alle Nazioni Unite di far rispettare la richiesta, delle stesse Nazioni Unite, che la milizia Hezbollah venga disarmata e che il Libano assuma il pieno controllo del suo territorio, confine compreso.
Il primo e più elementare modo per iniziare ad esigere tale rispetto della volontà dell’Onu non comporta il ricorso né alla forza né alle sanzioni, bensì il semplice uso delle parole: una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che condanni con forza gli attacchi dal territorio libanese contro Israele, che condanni il sostegno che Siria e Iran offrono a tali aggressioni internazionali, che ribadisca la richiesta che le milizie vengano smantellate e che il Libano assuma il controllo e la responsabilità del proprio territorio, e che riconosca il diritto di Israele a difendersi da aggressioni non provocate provenienti da oltre il confine attuale, certificato dall’Onu. Un intervento di questo tipo danneggerebbe Hezbollah, Iran e Siria e aiuterebbe il Libano a far valere la propria sovranità ben più delle azioni militare intraprese da Israele. Essa dimostrerebbe che le aggressioni Hezbollah, anziché aiutare Siria e Iran ad alleggerire la pressione internazionale su di loro, non fanno che aumentarla. Così, anziché correre a spegnere le fiamme scoppiate in una polveriera, la comunità internazionale farebbe un passo concreto per prevenire, in futuro, altre simili provocazioni e disinnescare la polveriera stessa.
Non ci si faccia illusioni. Il modus operandi di Hezbollah, Siria e Iran si basa sulla persistente speranza che, prima o poi, qualche razzo israeliano fuori bersaglio provochi una situazione, già verificatasi altre volte in passato, grazie alla quale queste forze potranno attaccare Israele facendola franca, e per giunta suscitando lo sdegno internazionale contro Israele. In passato, come è noto, il Consiglio di Sicurezza ha giocato un ruolo centrale in questa strategia, giacché si poteva contare sul fatto che condannava regolarmente le reazioni israeliane ignorando le aggressioni che le avevano provocate.
Ultimamente è un po’ diminuita la possibilità per delinquenti e terroristi di contare sul fatto che l’Onu incolpi sempre l’aggredito, nel senso che, oggi, è diventato di moda biasimare “entrambe le parti” ed emettere appelli generali “all’autocontrollo”, limitandosi così a trattare nello stesso modo aggredito e aggressore.
Ciò che qui, invece, non si è ancora visto è una comunità internazionale capace senza infingimenti di denunciare l’aggressore e solidarizzare con l’aggredito, così come fece con le risoluzioni di condanna dopo l’attacco dell’11 settembre agli Stati Uniti.
Condannare gli aggressori sarebbe una strategia nuova, ma merita un tentativo e potrebbe persino funzionare.

(Jerusalem Post, 30.05.06)

Nella foto in alto: israeliani nei rifugi, domenica scorsa, nel nord del paese