Una giornata campale, fra consultazioni e processo

Il presidente d'Israele Rivlin non vede al momento una possibile coalizione di governo, mentre il primo ministro Netanyahu denuncia un “tentativo di colpo di stato giudiziario”

Il presidente Reuven Rivlin riceve i rappresentanti del Likud, durante le consultazioni di lunedì

La giornata di lunedì ha visto concentrarsi l’attenzione, a Gerusalemme, su due sviluppi cruciali: l’avvio delle consultazioni del presidente Reuven Rivlin per il conferimento dell’incarico di formare il nuovo governo e la ripresa del processo che vede imputato il primo ministro Benjamin Netanyahu.

Rivlin ha ricevuto i rappresentanti delle 13 formazioni elette lo scorso 23 marzo alla Knesset e ha ascoltato in diretta streaming i nomi da loro raccomandanti per l’incarico. Terminate le consultazioni, Rivlin dovrebbe conferire l’incarico entro mercoledì.

Alla fine della giornata, il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu risulta indicato da 52 parlamentari (30 del Likud, 9 di Shas, 7 di Ebraismo Unito della Torà e 6 Sionismo Religioso); Yair Lapid risulta indicato da 45 parlamentari (17 di Yesh Atid, 8 di Blu-Bianco, 7 di Yisrael Beytenu,  7 Laburisti e 6 del Meretz); mentre Naftali Bennett risulta indicato dai 7 parlamentari del suo partito Yamina.

Il partito Nuova Speranza di Gideon Sa’ar (6 seggi) non ha indicato nessun nome. La parlamentare Yifat Shasha-Biton ha detto a Rivlin che il suo partito è per la rotazione tra Yair Lapid e Naftali Bennett ma, dato che i due non hanno ancora trovato un accordo in questo senso, preferisce astenersi. Shasha-Biton ha chiesto al presidente Rivlin di mediare un accordo fra Lapid e Bennett, ma Rivlin ha respinto la proposta dicendo che si tratterebbe di un “intervento politico”. In serata Lapid ha affermato d’aver offerto al leader di Yamina, Naftali Bennett, un accordo per un governo congiunto che vedrebbe Bennett ricoprire per primo la carica di premier a rotazione.

Anche la Lista (araba) Congiunta (6 seggi) ha detto che non sostiene nessun candidato. Il leader Ayman Odeh ha spiegato a Rivlin che la sua formazione si oppone a Netanyahu, ma non può sostenere nemmeno

Il primo ministro Benjamin Netanyahu lunedì mattina nel Tribunale distrettuale di Gerusalemme

Lapid per via della sua prospettata collaborazione con la destra di Bennett.

Dal canto suo, il partito islamista Ra’am (4 seggi) non ha raccomandato né il primo ministro Netanyahu né il leader dell’opposizione Lapid, aggiungendo tuttavia d’essere aperto a trattare con qualsiasi candidato venga incaricato di formare un governo.

“L’obiettivo della procedura stabilita dalla legge – ha detto Rivlin durante le consultazioni trasmesse in diretta – è quello di portare alla formazione di un governo che ottenga la fiducia della Knesset eletta dalla popolazione. Al momento, non vedo un modo per formare una tale coalizione di governo. Il calcolo è chiaro: o c’è il sostegno di 61 parlamentari o non c’è. La popolazione d’Israele deve essere molto preoccupata per il fatto che potremmo essere trascinati a una quinta tornata di elezioni dall’aprile 2019. Dopo quattro campagne elettorali – ha aggiunto Rivlin – la democrazia è esaurita”. Rivlin ha anche affermato che se il primo incarico dovesse fallire, potrebbe rimettere il mandato alla Knesset anziché procedere con un secondo incarico (secondo fonti di Yamina citate dal Jerusalem Post, la strategia di Bennett e Sa’ar sarebbe quella di lasciare che Netanyahu riceva il primo mandato per poi fallire aprendo la strada a Bennett).

Rivlin ha inoltre accennato alla possibilità che il processo per corruzione a carico di Netanyahu possa avere un ruolo nella sua decisione sul conferimento dell’incarico. “Potrebbero esserci altre considerazioni comprese quelle basate sui valori, che peraltro non so se il presidente ha l’autorità di prendere in considerazione” ha detto Rivlin ai rappresentanti del Likud, chiedendo loro se “c’è un altro candidato che vorreste indicare come candidato alternativo [a Netanyahu] se tali considerazioni impediranno al vostro candidato di essere scelto”. I rappresentanti del Likud hanno risposto di no.

La procuratore-capo Liat Ben-Ari all’apertura dell’udienza di lunedì

Nel frattempo, infatti, lunedì mattina Netanyahu compariva davanti al Tribunale distrettuale di Gerusalemme per l’inizio della fase probatoria del processo, a un anno e quattro mesi dall’annuncio del procuratore generale Avichai Mandelblit dell’incriminazione per presunti reati di corruzione, frode e abuso d’ufficio.

In apertura, la procuratore-capo Liat Ben-Ari ha formulato l’accusa al primo ministro d’aver usato il suo potere politico per ottenere favori al fine di promuovere affari personali e garantire la permanenza del suo governo, dicendo che tali accuse saranno documentate da testimonianze e da prove come registrazioni e altro. Netanyahu si dichiara innocente e in una conferenza stampa ha affermato che l’accusa è prevenuta, che la polizia ha usato metodi illegali per ottenere informazioni e che è in atto una caccia alle streghe contro di lui e la sua famiglia. “Non hanno indagato un reato – ha detto Netanyahu – hanno dato la caccia a un uomo, hanno dato la caccia a me”. Netanyahu ha concluso denunciando il procedimento come una “farsa” e un “tentativo di colpo di stato giudiziario”, e ha auspicato che il processo venga condotto in modo diverso dall’inchiesta. Dura la reazione di Yair Lapid, capo dell’opposizione: “Chiunque abbia visto l’irresponsabile uscita di Netanyahu di oggi – ha detto Lapid riferendosi al discorso del primo ministro contro il processo – capisce che non può continuare: è diventato pericoloso per se stesso, per lo stato di Israele e per lo stato di diritto”.

In base alla legge israeliana, nota YnetNews, un primo ministro non è obbligato a dimettersi a meno che non venga condannato. Nessun altro ministro gode dello stesso diritto, quindi ci sono ragioni sia legali che politiche per cui Netanyahu punta a rimanere al vertice.

Dopo una breve pausa durante la quale Netanyahu si è assentato dal processo col permesso della Corte, l’udienza è ripresa con la testimonianza di Ilan Yeshua, ex amministratore delegato della testata di news Walla che è al centro del “caso 4000”. L’ex proprietario di Walla, Shaul Elovitch, è accusato con Netanyahu d’aver garantito al primo ministro una copertura stampa positiva in cambio di norme di legge favorevoli al gigante delle telecomunicazioni Bezeq, che all’epoca era diretto dallo stesso Elovitch.

(Da: YnetNews, Times of Israel, Jerusalem Post, 5.4.21)