Conteggio delle vittime e ossessione anti-israeliana

Siria: dov'è finita tutta la preoccupazione umanitaria per le vittime arabe e per la pace mondiale?

Di David M. Weinberg

image_3629Il numero di 60.000 persone uccise in Siria negli ultimi 22 mesi è il doppio del numero stimato di vittime del conflitto israelo-palestinese degli ultimi 45 anni.
Lakhdar Brahimi, il cosiddetto inviato di pace in Siria per conto dell’Onu e della Lega Araba, ha dichiarato nello scorso fine-settimana che i siriani uccisi in 22 mesi di guerra civile sono 50.000. Mercoledì l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha affermato che un “esauriente” studio, condotto per conto delle Nazioni Unite nell’arco di più di cinque mesi incrociando dati provenienti da sette fonti diverse, dimostra che le persone uccise sono almeno 60.000. Altre decine di migliaia di siriani sono stati feriti in una feroce guerra civile colma di crimini di guerra, mentre a milioni sono stati costretti a sfollare dalle proprie case. Almeno mezzo milione di profughi hanno abbandonato il paese. Brahimi ha dichiarato che “se la guerra dura un altro anno, non avremo altri 25.000, ma altri 100.000 morti”. Questo perché dallo scorso febbraio, in un tragico crescendo, il presidente siriano Bashar al-Assad ha scatenato contro i suoi avversari una potenza di fuoco sempre maggiore impegnando nella battaglia carri armati, artiglieria pesante, elicotteri d’attacco, aerei da combattimento e persino missili Scud. Il prossimo passo potrebbero essere le armi chimiche. I gruppi dell’opposizione che tengono il contro delle vittime affermano che nella sola giornata di sabato scorso sono state uccise ben 400 persone, più del doppio di quella che essi definiscono “la media di morti quotidiana”. Circa la metà sono civili trucidati in quella che, a quanto è dato sapere, è stata una strage perpetrata dalle truppe governative in una università petrolchimica nella parte centrale della Siria.
Tutto questo ovviamente è triste, spaventoso, strategicamente pericoloso e scioccante. Ma la cifra di 60.000 è anche un indicatore storico. Giacché 60.000 è il doppio del numero di vittime stimato del conflitto israelo-palestinese nel corso degli ultimi 45 anni. Ripeto: il doppio. Ripeto: degli ultimi 45 anni. Si sommino le vittime in tutti gli anni dall’inizio dell’“occupazione” (1967): combattenti, civili e vittime indirette del conflitto da entrambe le parti della spaccatura israelo-palestinese. Si aggiungano tutti i palestinesi uccisi nelle violenze intra-palestinesi o “giustiziati” da Hamas e Fatah come “collaborazionisti”. Si aggiungano le vittime israeliane del terrorismo palestinese. Si sommi il tutto, e ancora il conteggio totale delle vittime del conflitto israelo-palestinese non arriva alla metà del numero di siriani massacrati da altri siriani in meno di due anni.
Naturalmente, va da sé che il mondo è infinitamente più sconvolto per i palestinesi in guerra che non per i siriani in guerra. E c’è un solo e unico motivo: che, nel primo caso, sono coinvolti degli ebrei. Il mondo si leva indignato quando su YouTube si vede un soldato israeliano che dà un colpo a un dimostrante palestinese con il calcio del fucile, ma non è altrettanto infuriato per i soldati siriani che violentano, torturano e massacrano decine di migliaia dei loro. Il mondo ha imparato che costruire case per ebrei rappresenta una minaccia alla pace mondiale che richiede l’attenzione immediata del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma non prova alcun analogo senso di urgenza quando la carneficina in Siria rischia di straripare in Turchia, in Giordania e in Israele, o di sprofondare l’intera regione in un conflitto non convenzionale.
Così, tanto per dire.

(Da: Israel HaYom, 3.1.13)

Nella foto in alto: David M. Weinberg, autore di questo articolo