Contro il coronavirus, un esercito di nove milioni di cittadini

Purtroppo i tratti più caratteristici degli israeliani si sono ritorti contro la loro società in una minaccia diretta e immediata alla vita delle persone

Di Yedidia Z. Stern

Yedidia Z. Stern, autore di questo articolo

Cominciamo col chiarire un punto fondamentale: la leadership del nostro paese non si è dimostrata all’altezza, nella guerra contro il coronavirus. Ma adesso non è il momento di analizzare le ragioni e attribuire le colpe: farlo non farebbe che distogliere le nostre energie dal vero fronte della battaglia. È anche chiarissimo che esiste un dovere civico di prima grandezza, che è quello di rispettare tutte le direttive dei leader eletti e delle autorità competenti. E che il successo o il fallimento in questa guerra non dipende più dai leader, bensì da tutti noi, da ciascun cittadino di Israele.

È probabile che nelle prossime due o tre settimane, soccomberanno al covid-19 più israeliani di quanti ne morirono nei quattro anni della seconda intifada (1.030), e che nella settimana di Sukkot il bilancio delle vittime quotidiane supererà il numero dei cittadini trucidati in uno dei peggiori attentati terroristici della storia d’Israele: il massacro della vigilia di Pasqua 2002 al Park Hotel di Netanya (30 morti), dopo il quale le Forze di Difesa israeliane lanciarono un attacco a tutto campo contro le strutture terroristiche in Giudea e Samaria. Già oggi piangiamo un lungo elenco di persone uccise dal coronavirus che è il doppio dei soldati israeliani caduti nei sei giorni della guerra del giugno ’67 (780). Dobbiamo guardare in faccia la realtà. La morte da covid-19 non è “fotogenica” come quella di un soldato che difende il proprio paese o il rottame carbonizzato di un autobus colpito da un attentare suicida. Ma tutto questo non ha alcun significato per i molti israeliani che quest’autunno piangeranno un congiunto.

Questa guerra non è contro un nemico esterno, ma solo contro noi stessi. I due tratti distintivi più caratteristici degli israeliani in tempi normali si sono trasformati in una minaccia diretta e immediata alla vita delle persone. Innanzitutto il nostro spirito libero, critico e polemico, e la tendenza a spingersi sempre oltre i limiti: caratteristiche che ci hanno permesso di emergere come una potenza hi-tech e una culla di start-up, ma che oggi alimentano e fanno la fortuna del subdolo coronavirus. Nei paesi in cui la disciplina è una caratteristica connaturata dei cittadini, come il Giappone Singapore e la Corea del Sud, il rispetto generalizzato delle regole da parte della popolazione ha salvato vite umane senza bisogno di imporre draconiani lockdown.

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In Israele, un paese i cui cittadini detengono il primato mondiale della hutzpà, la famosa impertinenza anticonformista israeliana sta portando alla catastrofe. In fin dei conti, la pandemia da coronavirus è strettamente legata alla ostentata inosservanza della disciplina, che qui però può costare la vita.

La seconda caratteristica tipica d’Israele è il profondo senso di comunità e le strette, calorose relazioni sociali. Ma ciò che dà significato alla nostra vita in tempi normali, oggi ci viene negato dalla pandemia. Oggi, affollarsi insieme ai membri delle nostre rispettive comunità ci si ritorce contro in modo letale. E infatti, il tasso di contagi e di mortalità è più alto proprio nei settori della nostra società la cui vita è più incentrata sulla comunità e sugli eventi di aggregazione: le comunità ultra-ortodosse e le comunità arabe.

Le tipiche recriminazioni israeliane contro la leadership che ha fallito e contro gli “altri” (i membri della comunità o della “tribù” a cui non apparteniamo), in questa guerra lasciano il tempo che trovano. L’unico rimedio, il rimedio essenziale, è che ognuno si assuma la propria responsabilità individuale. A differenza delle guerre del passato quando il nostro destino era nelle mani dei comandanti militari, questa volta il successo o il fallimento sono nelle mani di ogni singolo cittadini. Non occorre essere eroici come soldati in prima linea. Ciò di cui abbiamo bisogno è semplicemente mantenere con tenacia la distanza di due metri tra noi e indossare la mascherina su bocca e naso, sempre e senza eccezioni. Questa è la nostra responsabilità individuale, il nostro obbligo civico, il nostro dovere religioso: stare a distanza e non radunarci mai in una folla. Così semplice eppure così difficile.

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In assenza di una leadership funzionante, e con il fronte della battaglia che è in ogni luogo e in ogni momento, la chiamata alle armi deve essere indirizzata a tutti i cittadini israeliani: un esercito di nove milioni. Dobbiamo metterci immediatamente all’opera senza aspettare i nostri politici, e ficcarci nella testa l’idea che siamo chiamati a una guerra che comporta perdite, e bisogna fissare un avvertimento indelebile nella coscienza di tutti riguardo a come ci si deve comportare per poter vincere. Invece dell’attenzione ossessivamente focalizzata sulle vergogne della politica politicante, cittadini e mass-media dovrebbero smascherare il prezzo devastante che stiamo pagando per il fiasco generale: non per fare scandalismi, non per difendere il primo ministro o per costringerlo a lasciare l’incarico, ma per salvare vite umane.

Da qui in avanti, non dobbiamo più concentrarci su singoli gruppi o settori specifici all’interno della popolazione. Dobbiamo concentrarci solo sugli individui. Allo stesso tempo, i leader di ogni gruppo hanno una responsabilità speciale alla luce del loro potere di influenza. I leader ultra-ortodossi dovrebbero seguire il coraggioso esempio degli autorevoli rabbini David Yosef e Gershon Edelstein e sfruttare ogni possibile opportunità per ricordare a tutti il dovere previsto dalla Halacha, la legge ebraica: “Tutela innanzitutto la vita”. L’ordine di mobilitazione civile deve essere diramato anche dai leader degli arabi israeliani e dai leader religiosi musulmani: fate sentire la vostra voce forte e chiara. Questo è il momento della verità.

Basta con lo scaricabarile. È giunto il momento di assumersi la responsabilità. Dobbiamo ficcarcelo in testa: non importa cosa fanno gli altri; ciò che è fondamentale è quello che faccio io. Possiamo sconfiggere l’Angelo della Morte che sta passando per le nostre strade, salvare l’economia e ripristinare la solidarietà nazionale con una semplice formula: distanza e mascherina.

(Da: Jerusalem Post, 1.10.20)