Cosa fanno i profughi, in tutto il mondo

Qualcuno ha mai sentito parlare di Breslavia?

Da un articolo di Michael Boyden

image_872Qualcuno ha mai sentito parlare di Breslavia? I miei nonni vivevano là, ed è là che mio padre trascorse la sua infanzia. Una volta era la terza città della Germania, vantava un’antica università e una tradizione di studi germanici che generò otto Premi Nobel. Poi venne la seconda guerra mondiale.
Dopodiché i polacchi assunsero il controllo della città, per la prima volta dopo il Medio Evo, e ciò che un tempo era Breslavia divenne Wrocslaw. Per loro si trattava di “territorio recuperato”, e quei cittadini tedeschi che erano sopravvissuti all’assedio russo della loro città vennero cacciati dalle loro case e costretti a trasferirsi ad ovest. Al loro posto vennero dei profughi polacchi che erano stato a loro volta estromessi dalle loro case più a est ad opera dei russi. Già sentito qualcosa del genere?
È una vicenda che accompagna tutte le guerre del mondo. Certo, i francesi sono stati espulsi dall’Algeria. Ma i coloni che si avviarono verso il Nuovo Mondo –gli Stati Uniti, il Canada o l’Australia – ebbero invece successo nel soverchiare le popolazioni locali native, e nel reclamare la terra per sé. E se dite che tutto questo è accaduto tanto tempo fa, ebbene la stessa storia va avanti. Nel 1982 la Gran Bretagna inviò le sue forze armate alle Malvinas (pardon, alle Falklands) per conservare il controllo su territori che aveva precedentemente preso con la forza all’Argentina nel 1833.
Ma torniamo a Breslavia. La mia famiglia fu costretta a fuggire dalla propria casa negli anni trenta, quando i nazisti salirono al potere. E così, una comunità ebraica che aveva vissuto in quella città almeno dal XII secolo venne sradicata e distrutta. E il mondo restò in silenzio.
Ciò che accadde alla mia famiglia, naturalmente, accadde ad altri milioni di ebrei d’Europa. Costretti a scappare dai pogrom alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, poi minacciati della “soluzione finale” di Adolf Hitler, fuggirono e si ricostruirono una nuova vita in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Australia, in Sud America e altrove. A differenza dei tanti palestinesi che se ne vanno in giro esibendo la chiave delle loro antiche case e sostenendo il loro diritto di tornare a insediarsi a Giaffa, ad Acri e a Lod, quei profughi ebrei si ricostruirono una nuova vita. Questo è ciò che fanno i profughi. Il secolo scorso trabocca di storie, tutte simili, di sradicamenti e di nuovi inizi.
Se i palestinesi vorranno mai vivere in pace con Israele, dovranno smetterla di suonare il vecchio disco e venire a patti con la realtà. Quando un individuo subisce un trauma personale, la strada che conduce verso una sana crescita e una ripresa futura passa sempre per il superamento del passato e per lo sforzo di andare avanti. È tempo che i palestinesi vadano avanti.
Nei giorni scorsi abbiamo visto migliaia di coloni ebrei traumatizzati che venivano sgomberati dalle loro case. Gush Katif era stata conquistata da Israele nel corso della guerra dei sei giorni che ci venne imposta da Egitto, Siria e Giordania. Israele ha diritto all’insediamento di Neveh Dekalim almeno quanto la Gran Bretagna ha diritto alle Falklands, e la Polonia a Breslavia. Probabilmente anche di più. Ma Israele è diverso. Dove mai avete visto soldati e poliziotti espellere i propri concittadini da case e luoghi di preghiera pur di inseguire la pace? Sono cose che non accadono nel mondo reale, dove sono potere e forza a determinare la sovranità.
Israele, e in particolare i cittadini di Gush Katif, hanno pagato un alto prezzo pur di cercare di superare l’attuale impasse del conflitto mediorientale. La questione, adesso, è se i palestinesi hanno abbastanza buon senso da abbandonare vecchi sogni e fantasie e arrivare a un accomodamento realistico con lo stato degli ebrei.
Nelle ultime tre settimane si è visto che i palestinesi sanno tenere in riga le loro Hamas e Jihad Islamica quando è nel loro interesse politico. Continueranno a farlo dopo il disimpegno, o torneranno ai loro vecchi giochi e alla cosiddetta lotta armata? Saranno pronti a un compromesso, o continueranno a parlare di una Palestina che va dal fiume Giordano al mar Mediterraneo con Gerusalemme capitale?
Nel primo caso, il sacrifico pagato dai coloni ebrei di Gush Katif non sarà stato vano. Se invece i palestinesi, come tante volte in passato, “non perderanno un’occasione di perdere un’occasione”, allora è assai probabile che la maggior parte degli israeliani ne trarrà la conclusione che il prezzo non valeva la pena d’essere pagato, e che dobbiamo semplicemente, come tutte le altre nazioni del mondo, ritagliarci la nostra nicchia.

(Michael Boyden, direttore della Corte Rabbinica del Israel Council of Progressive Rabbis, su: Jerusalem Post, 29.08.05)

Nella foto in alto: Bambini profughi ebrei giungono dall’Austria in Gran Bretagna, 12 dicembre 1938

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