Cresce lantisemitismo iraniano, e il mondo sbadiglia

Il convegno di Teheran conferma che i sentimenti anti-israeliani da tempo sono sfociati in aperto antisemitismo

Da un editoriale di Ha'aretz

image_1506Si può prendere in giro il convegno di negazionisti della Shoà di Teheran, come ha suggerito lo storico Moshe Zimmerman. Ma si può anche considerare questo atteggiamento come l’ennesimo sintomo della sindrome da affaticamento cronico che affligge l’occidente di fronte al crescente estremismo islamico.
Finché il mondo arabo era unito e compatto contro lo “stato sionista” e le sue politiche verso i palestinesi, si poteva sperare che quell’odio scomparisse una volta risolto il conflitto locale. Ma il convegno di Teheran costituisce una prova ulteriore del fatto che i sentimenti anti-israeliani da tempo si sono trasformati in antisemitismo esplicito.
I ripetuti appelli alla distruzione di Israele che provengono dall’Iran, talmente costanti che le reazioni di ripugnanza sono diventate col tempo sempre più flebili, avrebbero dovuto generare – soprattutto se accompagnati da armi nucleari, ma anche senza di quelle – un fronte mondiale energico ed efficace. Invece vediamo che il problema sembra gradualmente diventare un problema soltanto israeliano. È troppo presto per affermare che il mondo rimane in silenzio davanti alla minaccia di distruggere Israele. Ma non è troppo presto per affermare che il mondo la affronta in modo apatico e annoiato.
Il convegno di negazionisti della Shoà fa parte integrante della politica estera iraniana, che nel corso dell’ultimo ha mietuto notevoli successi dopo aver elegantemente rifiutato tutte le offerte diplomatiche avanzate dall’occidente: il rozzo intervento del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad all’Assemblea Generale dell’Onu, che tuttavia gli ha garantito una legittimazione; la politica delle sanzioni, che va dileguandosi; ora anche l’indebolirsi della promessa americana di difendere Israele, testimoniata dall’audizione al Senato del nuovo segretario Usa alla difesa Robert Gates; il documento Baker, la cui sostanza consiste nel rimuovere l’America dal Medio Oriente; e la debolezza dimostrata da Israele nella sua sfortunata guerra contro Hezbollah: tutto questo rafforza il morale degli iraniani.
Le preoccupazioni circa le parole sfuggite al primo ministro Ehud Olmert sul programma nucleare israeliano sono cosa banale e marginale rispetto della minaccia che incombe su Israele. Ciò che è davvero sul tavolo, oggi, è la lotta di Israele per sopravvivere ad una esplicita minaccia di distruzione. Davanti a questa eventualità sempre meno remota tutti devono unirsi, compresi coloro che ritengono – come noi – che l’occupazione israeliana dei territori debba finire rapidamente e che le sofferenze dei palestinesi logorino la sicurezza di Israele anziché rafforzarla.
Così come il presidente iraniano non vede alcun collegamento fra l’occupazione dei territori e il suo desiderio di cancellare l’esistenza di Israele, allo stesso modo il resto del mondo dovrebbe considerare il contenzioso israelo-palestinese e le minacce iraniane come due questioni distinte. Ahmadinejad non riconosce i confini del 1967, né alcun altro confine, per lo stato degli ebrei. Usa la negazione della Shoà per demolire le basi morali dell’esistenza di Israele, e lo dice apertamente. Questa infatti è stata la spiegazione esplicitamente offerta dal ministro degli esteri iraniano del perché proprio adesso sia necessario mettere in discussione il “mito” della Shoà.
Per contrastare tutto questo è necessario creare un fronte morale, diplomatico, politico ed anche militare: un fronte che sia risoluto, non intorpidito e sulla difensiva; un fronte che renda i discorsi sulla distruzione di Israele immediatamente controproducenti per gli iraniani, ancor prima di qualunque discussione sui veri scopi delle potenzialità nucleari che vanno sviluppando.

(Da: Ha’aretz, 13.12.06)