Cupe prospettive per i cristiani in Medio Oriente

I dati mostrano che la comunità è in calo praticamente in tutti i paesi della regione, tranne uno

Mosul, Iraq, marzo 2015: jihadisti dello “Stato Islamico” abbattono la croce di una chiesa e issano al suo posto la bandiera nera dell’ISIS

L’infausto destino delle comunità cristiane in Medio Oriente sembra finalmente fare notizia. La spietata guerra civile in Siria, l’ascesa dello “Stato Islamico” (ISIS), le sanguinose turbolenze in paesi come Iraq, Libia e nel nord Africa in generale nonché i regimi islamisti anti-cristiani al potere in paesi come l’Iran, dove la popolazione cristiana è quasi scomparsa, e in Turchia: tutto questo sta determinando un esodo di massa dei cristiani nel migliore dei casi, e nel peggiore la loro riduzione in schiavitù e il loro sterminio fisico.

I cristiani stanno subendo in Medio Oriente la peggiore persecuzione religiosa da più di mille anni a questa parte, afferma la rivista Christianity Today sulla base di uno studio condotto di recente dal Pew Research Center.

Lo scorso luglio anche il supplemento domenicale del New York Times ha pubblicato un dettagliato servizio sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente, nel quale si diceva che circa un terzo dei 600mila cristiani di Siria è già fuggito dal paese, mentre in Iraq rimane solo un terzo circa del milione e mezzo di cristiani che vi erano nel 2003. Il New York Times si chiede se tutto questo non rappresenti la fine della presenza della comunità cristiana in Medio Oriente e se la comunità cristiana abbia un futuro nella regione in cui è nata. “L’esistenza del cristianesimo è sotto minaccia” ha dichiarato al giornale Anna Eshoo, californiana, membro democratico della Camera dei Rappresentanti e propugnatrice dei diritti dei cristiani mediorientali.

Un recente reportage del quotidiano britannico The Guardian ha sottolineato come la persecuzione dei cristiani non sia iniziata con l’avvento dell’ISIS, ma almeno dieci anni fa con l’invasione americana e britannica dell’Iraq. Prima di allora, osserva il Guardian, “sotto il regime di Saddam Hussein i cristiani godevano di fatto di quella che oggi ricordano come un’età dell’oro: avevano libertà di culto e svolgevano un ruolo attivo nella società. Ma la destituzione del dittatore ha scatenato una spietata guerra di potere fra sciiti e sunniti”.

Domenica delle Palme a Gerusalemme

Domenica delle Palme a Gerusalemme

Bisognerebbe tuttavia ricordare altri analoghi fenomeni che si sono verificati prima del 2003 o indipendentemente dalla guerra in Iraq: la fuga dei cristiani dal Libano in preda alla guerra civile del 1975-90, le minacce ai cristiani copti in Egitto (il Washington Institute for Near East Policy ha parlato di 100mila cristiani fuggiti dall’Egitto dopo la caduta di Mubarak), il drastico calo dei cristiani nei territori passati sotto amministrazione palestinese (la percentuale dei cristiani in seno alla popolazione dei territori palestinesi – ha scritto l’agenzia cattolica Fides – si è dimezzata dal 2000 a oggi, passando dal 2 all’1%).

Israele e, almeno per ora, il Libano sono in pratica gli unici paesi mediorientali dove attualmente i cristiani sono liberi di praticare la loro religione e vivono al sicuro da persecuzioni. Ma la popolazione cristiana libanese nel corso dell’ultimo secolo è crollata dal 78% al 34%, a differenza di quella in Israele che risulta stabile al 2%.

Il rapporto del Pew Research Center dello scorso aprile non manca di notare quello che potrebbe apparire un fenomeno in controtendenza, e cioè il massiccio afflusso di cristiani versi paesi rigidamente islamici del Golfo come il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti. Ma, sottolinea il rapporto, si tratta quasi esclusivamente di lavoratori migranti provenienti soprattutto dall’Asia (filippini, indiani, thailandesi, ma anche romeni e nigeriani) a cui vengono negati quasi tutti i diritti, e certamente il diritto di praticare liberamente la propria religione.

(Da: Ha’aretz, israele.net, 28.7.15)