Da arabo dico agli arabi: bisogna abbandonare l’odio

Troppe volte la decisione araba di scendere in guerra appare guidata non dalla necessità ma da odio irrazionale, confermando una celebre citazione attribuita a Golda Meir

Di Fred Maroun

Fred Maroun, autore di questo articolo

Di recente mi sono sorpreso a pensare al giorno in cui l’allora neoeletto presidente libanese Bashir Gemayel venne assassinato. Accadde il 14 settembre 1982, ma non ne seppi nulla fino alla mattina dopo, quando accesi la radio. Ero devastato. Non che fossi un sostenitore del partito guidato da Gemayel né di nessuna delle parti coinvolte nella guerra civile (che imperversava in Libano ndr). Ma Gemayel aveva promesso la pace e aveva promesso di unire il popolo libanese. Dopo sette anni di guerra civile, il Libano sembrava voler voltare pagina sotto la sua guida, fare pace con Israele e fare pace con se stesso. Speravo che avrebbe mantenuto le sue promesse. La sua morte pose fine a tutto questo.

I sostenitori di Gemayel reagirono uccidendo centinaia, forse migliaia di palestinesi e sciiti libanesi, la maggior parte dei quali civili. Il peggiore dei massacri fu quello di Sabra e Shatila, di cui molti arabi vilmente incolpano Israele invece di assumersi la responsabilità di azioni compiute da arabi: l’omicidio di Bashir Gemayel e, subito dopo, l’omicidio di civili per vendetta. La guerra civile andò avanti per altri otto anni, ma il paese non è mai guarito da quella guerra. Oggi il Libano versa in una profonda crisi economica e il suo sistema politico è paralizzato dal dominio esercitato dall’organizzazione criminale e terroristica Hezbollah. Il dominio di Hezbollah sul Libano può essere fatto risalire alla guerra civile libanese, iniziata come un conflitto tra milizie libanesi e milizie palestinesi. Se il mondo arabo, compreso il Libano, non avesse respinto la dichiarazione d’indipendenza di Israele nel 1948 e non avesse attaccato Israele, non ci sarebbero milizie palestinesi in Libano. Ed è molto probabile che la situazione del Libano sarebbe molto migliore della misera condizione in cui si trova oggi.

L’iconica foto della guerra civile libanese scattata dal fotografo Maher Attar a Beirut il 2 giugno 1985 durante un raro cessate il fuoco dopo giorni di combattimenti tra fazioni palestinesi e il gruppo sciita Amal

Ma per la gente del Medio Oriente, l’assassinio di Bashir Gemayel e le sue ripercussioni sono solo uno dei tanti momenti traumatici degli ultimi decenni. Forse la chiave per capire il perché si trova in una citazione che viene attribuita all’ex primo ministro israeliano Gold Meir. La citazione, probabilmente la più famosa di un politico israeliano anche se forse apocrifa, è la seguente: “La pace verrà quando gli arabi ameranno i loro figli più di quanto odino noi”. Per molte persone, questa sintetica frase spiega il conflitto arabo-israeliano meglio di qualsiasi altra cosa. Personalmente sono combattuto, al suo riguardo. Da un lato, so con assoluta certezza che moltissimi arabi amano i loro figli più di quanto amino o odino qualsiasi altra cosa. Inoltre, a volte facciamo la guerra anche se amiamo i nostri figli sopra ogni cosa perché sappiamo che se non combattiamo, i nostri figli non avranno futuro e potrebbero anche non sopravvivere.

D’altra parte, so anche che in molti casi le decisioni arabe di andare in guerra non sono guidate dalla necessità, ma da odio irrazionale. La decisione di rifiutare il diritto degli ebrei all’autodeterminazione è uno di questi casi. L’indipendenza di Israele non rimuoveva nessun palestinese. I palestinesi avrebbero potuto continuare a vivere dove vivevano prima dell’indipendenza di Israele. Di più. L’indipendenza di Israele non impediva ai palestinesi di dichiarare la loro indipendenza all’interno dei confini stabiliti dal piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947. Lo sfollamento di molti palestinesi e la loro condizione di apolidi furono la diretta conseguenza della decisione araba di rifiutare il piano di spartizione, di negare agli ebrei il loro diritto all’autodeterminazione e di entrare in guerra per impedire loro di esercitarlo.

Quella decisione, nata dall’odio verso gli ebrei, si è ritorta contro i palestinesi danneggiandoli immensamente. Ma gli esempi di arabi che rispecchiano la citazione di Golda Meir non si limitano al passato. Il Libano si rifiuta ancora di fare la pace con Israele, anche se non guadagna assolutamente nulla dal mantenere lo stato di guerra. Il Libano rifiuta persino l’aiuto umanitario di cui ha disperatamente bisogno se gli viene offerto da Israele. Gli abitanti di Gaza, di cui Israele ha accettato di fatto l’indipendenza nel 2005, continuano a optare per la violenza costringendo Israele ed Egitto a imporre un blocco, invece di dedicarsi a costruire uno stato e un’economia per sé e per i propri figli. L’Autorità Palestinese, che ha rifiutato diverse proposte di soluzione a due stati, continua a insistere su condizioni, come il cosiddetto “ritorno” di milioni di palestinesi in Israele, che rendono impossibile una soluzione a due stati.

Nadine Awaad, 16 anni, araba israeliana, uccisa lo scorso maggio da razzi palestinesi lanciati da Gaza

Anche tra gli arabi all’estero accade spesso di vedere confermata la citazione di Golda Meir. Un esempio recente lo ha dato la rappresentante democratica al Congresso statunitense Rashida Tlaib, una palestinese-americana del Michigan che si è espressa con veemenza contro l’Iron Dome Supplemental Appropriations Act. La congressista Tlaib sa bene che Iron Dome (“Cupola di ferro”) serve per proteggere i civili israeliani dagli attacchi missilistici da Gaza, e sa che se Israele non potesse più usare “Cupola di ferro” dovrebbe ricorrere ad altri mezzi per proteggere da quegli attacchi i suoi civili (ebrei e arabi), ad esempio colpendo con molta maggiore forza e frequenza le strutture terroristiche a Gaza, con un conseguente maggior numero di vittime palestinesi. Molti, come il rappresentante repubblicano Chuck Fleischmann e il rappresentante democratico Ted Deutch, hanno tacciato di antisemitismo la posizione di Tlaib, ma io andrei oltre. Sulla base della sua opposizione a “Cupola di ferro”, appare molto chiaro che Tlaib è pronta ad accettare un maggior numero di vittime palestinesi se ciò significa far del male in qualche modo a Israele. Quindi, direi che Tlaib non solo odia lo stato ebraico, ma lo odia più di quanto ami i suoi fratelli palestinesi.

Questa forma virulenta di odio è un cancro all’interno del mondo arabo, all’interno delle comunità arabe all’estero e all’interno dei gruppi che le sostengono, come l’estrema sinistra del Partito Democratico degli Stati Uniti. Una parte del mondo arabo sta iniziando a liberarsi da questo cancro. Nel 1948, non un solo paese arabo accettò l’esistenza di Israele. Oggi Israele ha accordi di pace con sei paesi arabi: Egitto, Giordania, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Sudan e Marocco. È molto meglio che nel 1948, ma non è ancora abbastanza. Quando firmò gli accordi di Oslo il 13 settembre 1993, il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin disse ai palestinesi: “Oggi vi diciamo con voce forte e chiara: basta sangue e lacrime. Basta. Non abbiamo desideri di vendetta. Non nutriamo odio nei vostri confronti. Noi, come voi, siamo persone che vogliono costruire una casa, piantare un albero, amare, vivere fianco a fianco con voi nella dignità, nell’empatia, come esseri umani, come uomini liberi. Oggi diamo una possibilità alla pace e vi diciamo ancora: basta. Preghiamo che venga un giorno in cui tutti diremo addio alle armi”.

Purtroppo, nulla di simile alle parole di Rabin è mai stato detto da un leader arabo agli ebrei israeliani, nemmeno dal presidente egiziano Anwar Sadat che fu il primo leader arabo a fare la pace con Israele. Eppure, se c’è qualcuno che ha bisogno di dire queste parole sono proprio gli arabi, e se c’è qualcuno a cui hanno bisogno di dirlo prima che a chiunque altro, è agli ebrei. Gli arabi hanno bisogno di guardarsi nel profondo dell’anima e dire con chiarezza: basta con la guerra, basta con l’odio, viviamo come vicini in pace.

(Da: Times of Israel, 1.10.21)