Da Benedetto a Obama

Chiesa e intellighenzia europea vedono una realtà dove noi israeliani ne vediamo una tutta diversa

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2495La scorsa settimana si è visto che il conflitto israelo-palestinese papa Benedetto XVI proprio non lo afferra. Questa settimana, invece, dimostrerà che il presidente Barack Obama lo afferra eccome, il che è più sostanziale.
Curiosamente, quando si tratta di palestinesi e israeliani, le vedute della Chiesa Cattolica riflettono quelle dell’intellighenzia laica europea: l’una e l’altra vedono una realtà laddove noi israeliani ne vediamo una tutta diversa. Noi israeliani vediamo i palestinesi che perpetuano l’”occupazione” rifiutandosi di negoziare in buona fede, e vediamo Gaza controllata da un’organizzazione come Hamas più interessata a rincorrere la sua guerra islamista ad oltranza contro di noi che non ad aiutare la sua stessa gente. Noi israeliani sappiamo bene che la barriera di sicurezza è stata eretta solo dopo un’ondata di ingiustificabili violenze palestinesi aveva mietuto più di mille vite in Israele. E sappiamo bene che i giovani palestinesi sono indottrinati alla violenza innanzitutto da un sistema di valori malati, che vengono inculcati loro da una cultura politica che si inebria di aggressività e sentimenti di vendetta. Noi ci rendiamo conto che l’unico modo in cui la politica palestinese potrebbe fare i compromessi indispensabili per la pace è che i suoi capi inizino a dire chiaramente alla propria gente che bisognerà fare dolorose concessioni sui confini, sulla natura della sovranità e sul “diritto al ritorno”. Sappiamo anche che Hamas non permetterà mai a Fatah di fare quei compromessi finché il suo padrone di Teheran incombe da vicino. Gli israeliani sono angustiati da alcune delle dichiarazioni fatte dal pontefice quando ha visitato l’Autorità Palestinese. Ma sono ancora più turbati dal suo assordante silenzio sull’Iran. La Chiesa ha detto che un Iran nucleare è inaccettabile, ma ha anche sostanzialmente escluso qualunque intervento militare come moralmente ingiustificabile.
Perché il nostro punto di vista su palestinesi e Iran lascia freddi il Vaticano e l’intellighenzia europea? Perché condividere la nostra valutazione, evidentemente desolante, sarebbe difficile per una Europa i cui governi ancora sussidiano gli affair con Teheran. E poi noi continuiamo a ripetere a cosa ci opponiamo, mentre non spieghiamo adeguatamente che cosa proponiamo. E, ad essere onesti, anche la nostra incapacità di mantenere alcuni degli impegni presi con la comunità internazionale influenza queste percezioni.
Lunedì i riflettori si spostano da un’Europa che è sulla negativa circa palestinesi e Iran, a un’America che si batte a viso aperto per sviluppare politiche sensate. Dopo aver già parlato nei giorni scorsi con il presidente egiziano Hosni Mubarak e con re Abdullah di Giordania, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avrà un fatidico incontro con il presidente Barack Obama a Washington. Alcuni vorrebbero che il presidente americano illustrasse al primo ministro israeliani i contorni di una soluzione da imporre a Israele. Noi confidiamo che costoro resteranno delusi. Non c’è alcun bisogno di “imporre” la pace a Israele. Una soluzione globale del conflitto in cui i diritti del popolo ebraico venissero finalmente riconosciuti anche da tutti i suoi vicini costituirebbe il più grande successo del sionismo.
E tuttavia per Netanyahu si tratterà di una storica opportunità per mettere in chiaro che il suo governo non è contrario a uno stato palestinese, ed anzi per chiarire che, sollevando una serie di difficili interrogativi sulla vera natura di tale stato, il primo ministro israeliano dimostra che prende tale prospettiva più sul serio dei suoi recenti predecessori.
Tutti si riempiono la bocca con la necessità di uno stato palestinese, ma Washington sa bene che la questione più pressante sull’agenda regionale è quella della bomba iraniana. Questo è ciò che si sente dire a porte chiuse dagli stessi leader arabi, compresi quelli che proclamano ai giornalisti fuori in attesa che quella palestinese è la questione più urgente e più importante.
Il direttore della CIA Leon Panetta è stato di recente in Israele, a quanto pare per sollecitare i leader israeliani a non prendere di sorpresa l’amministrazione Usa con azioni precipitose in Iran. C’è un settore nell’amministrazione Usa secondo il quale “è meglio un Iran con la Bomba che un Iran bombardato”. Lunedì 18 maggio, nella riservatezza dello Studio Ovale, Netanyahu deve chiarire in modo inequivocabile quali sono i “paletti invalicabili” per Israele, e dire ad Obama quanto abbia ragione quando afferma che un Iran nucleare sarebbe uno sconvolgimento. Lo slogan “l’Iran innanzitutto” non è un trucchetto israeliano per allontanare l’attenzione dai palestinesi: è una corretta valutazione dei fatti, che freddamente individua l’unica strada per andare avanti. Netanyahu ha già chiarito, subito, la propria volontà di migliorare la vita dei palestinesi in Cisgiordania sul piano economico. La garanzia da parte di Obama che, immediatamente dietro gli attuali sforzi dell’amministrazione per impegnare i mullah, è pronta una lista di sanzioni paralizzanti dovrebbe fare il paio con una parallela garanzia da parte di Netanyahu che, una volta svanita la minaccia iraniana – e con essa le minacce Hezbollah e Hamas – il suo governo spingerà con forza per andare incontro ai palestinesi anche sul piano diplomatico.

(Da: Jerusalem Post, 15.05.09)