Dall’antica Roma a Haifa, passando per Sodoma

Anche Cabiria, Pasolini e Giuseppe Bertolucci nella ricca offerta del 23esimo film festival di Haifa

Da un articolo di Nirit Anderman

image_1855Il Haifa Film Festival si vanta della sua tradizione di presentare vecchi film e onorare le opere che hanno posto le fondamenta della cinematografia contemporanea.
Il 23esimo International Haifa Film Festival (27 settembre – 4 ottobre), sotto la direzione creativa di Penina Blair, ha in programma quella che è considerata un’importante pietra miliare nella storia del cinema: “Cabiria”, il film italiano del 1914 diretto da Giovanni Pastrone, che portò innovazioni d’avanguardia nella fotografia, nelle luci e nelle scene al pubblico di tutto il mondo.
Il film, della durata di 181 minuti, racconta la storia di una giovane donna chiamata Cabiria, che resta separata dalla sua famiglia durante la guerra tra Roma e Cartagine e, ignara, si imbarca in un viaggio attraverso l’antica Roma. Martin Scorsese ha iniziato la riparazione della pellicola al museo nazionale del cinema di Torino e presenta il film, spiegandone l’ importanza, alla proiezione di Haifa. Il pianista italiano Stefano Maccagno sta viaggiando con la riproduzione del film muto durante il suo tour per i vari festival, e a Haifa ne esegue l’accompagnamento musicale.
“Pasolini prossimo nostro”, diretto da Giuseppe Bertolucci (il fratello minore di Bernardo Bertolucci), offre un altro sguardo sull’Italia classica. Il film presenta estratti da un’intervista del 1975 con Pier Paolo Pasolini sul set del suo ultimo film, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, fatta pochi mesi prima che il regista venisse assassinato. Nell’intervista, Pasolini parla della sua visione del cinema, del processo di filmare, delle scene violente nel suo ultimo film, basato sugli scritti del Marchese de Sade, e della critica politica contenuta nel film.
Bertolucci ha combinato spezzoni dell’intervista, finora mai stata proiettata, con inquadrature tratte dai film di Pasolini. A Haifa è in programma anche “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, ambientato durante gli ultimi giorni dell’Italia fascista, e per molti anni censurato in Italia come in parecchi altri paesi.
L’attrice francese Sophie Marceau porta un’aura di glamour all’edizione di quest’anno del festival. Marceau ha raggiunto il successo a 14 anni con “Il tempo delle mele”. Da allora è comparsa in decine di film, e ora viene a Haifa per presentare “La disparue de Deauville”, il secondo lungometraggio da lei diretto. E’ anche interprete del film, insieme a Christopher Lambert che l’accompagna in Israele.
Un altro regista atteso al festival è Michael Winterbottom (“24 Hour Party People”), che presenta il suo nuovo film, “A Mighty Heart”, con Angelina Jolie, un film che ha suscitato notevole interesse all’ultimo Festival di Cannes, dove è stato proiettato fuori concorso. Racconta la storia di Mariane Pearl, la moglie del giornalista Daniel Pearl, assassinato da terroristi jihadisti in Pakistan nel 2002. Il film, prodotto da Brad Pitt, chiude il Festival.
Il regista danese Bille August (“Pelle the Conqueror”), a capo della giuria per il concorso del film israeliano, pesenta il suo nuovo film, “Goodbye Bafana”, che tratta del bianco che lavorava come guardia carceraria nella prigione dove era detenuto Nelson Mandela. Il film descrive l’amicizia nata tra la guardia e il combattente per la libertà che ha cambiato il destino di milioni di neri in Sud Africa.
Quest’anno il festival onora Jiri Menzel, il regista ceco il cui primo film, “Closely watched trains”(Treni strettamente sorvegliati), gli fece vincere un Oscar nel 1967. A Haifa Menzel riceve un riconoscimento per eccellenza nel cinema, e vengono proiettati i suoi film “Closely Watched Trains”, “Larks on a String”, “My Sweet Little Village” ed il nuovo “I Served the King of England”. L’ultimo film di Menzel ha vinto il premio Fipresci al Festival di Berlino 2007. E’ il sesto film che Menzel dirige, ed è basato su un libro dello scrittore ceco Bohumil Hrabal.
Il concorso per lungometraggi, evento principale del festival, ha quest’anno sei partecipanti. Altri 13 film gareggiano nel concorso per documentari. Fuori concorso sono in programma altri film, cortometraggi e cartoon.
“The Disengagement”, diretto da Amos Gitai e interpretato da Juliette Binoche e Liran Levo, è stato proiettato per la prima volta ai Festival di Venezia e Toronto e apre anche il Festival di Haifa.
Un altro film israeliano che debutta è “Places”, il nuovo film in inglese di Isaac Zepel Yeshurun. Quattro anni dopo aver vinto con “She’s not 17″ il Best Film Award al festival di Haifa, Yeshurun ritorna con un nuovo film, prodotto da una compagnia americana e girato negli USA. Yeshurun è anche a capo della giuria per il concorso Golden Anchor per il film mediterraneo e presenta il suo film su uno psicologo newyorchese ossessivo che incontra una donna con poteri sovrannaturali.
Tra i film stranieri, alcuni sembrano molto interessanti. Andrey Zvyagintsev, il cui primo film “The Return” vinse vari premi quattro anni fa (cinque solo al Festival di Venezia, compreso il Leone d’Oro), quest’anno ha diretto il suo secondo film, “The Banishment”, che è stato proiettato la prima volta a Cannes e ha vinto il premio per il miglior attore (Konstantin Lavronenko). Il film parla di una famiglia russa in vacanza. Come il primo film di Zvyagintsev, anche questo è pieno di paesaggi mozzafiato e della splendida fotografia di Mikhail Krichman. Da notare: dura 157 minuti.
“Retour en Normandie”, del regista francese Nicolas Philibert (“Verbs for Beginners”), documenta gli incontri tra il regista e gli abitanti della Normandia che intervistò per la prima volta circa 30 anni fa, mentre faceva ricerche per un film di cui era aiuto-regista. Anche quel primo film, diretto da Rene Allio, “I, Pierre Riviere, Having Slaughtered My Mother, My Sister and My Brother…” che parla di un caso di omicidio in Normandia nel XIX secolo, viene proiettato a Haifa.
“Opium: diary of a Madwoman”, del regista ungherese Yanos Szasz, descrive uno psicanalista morfinomane chr soffre del blocco dello scrittore all’inizio del XX secolo. La trama è concentrata sulla sua complessa relazione con una nuova paziente.
“Hope”, del regista polacco Stanislaw Mucha, è basato su un testo di Krzysztof Piesiewicz, l’autore che ha lavorato con Krzysztof Kieslowski, ed è parte della seconda trilogia che i due avevano programmato insieme. “Euphoria”, il film con cui debutta il regista russo Ivan Vyrypaev, racconta una storia d’amore. Ha vinto il piccolo Leone d’oro a Venezia l’anno scorso.
Per gli amanti dei film d’animazione, “Free Jimmy”, un lungometraggio norvegese proiettato durante la settimana dei critici l’anno scorso a Cannes. Questo film, con la splendida animazione 3D e la regia di Christopher Nielsen, è chiaramente destinato agli adulti. Sebbene vi compaiano alcuni animali, tratta anche di droga, di sesso spinto e contiene crituche sia ai circhi che agli attivisti per i diritti degli animali.
Nel suo primo film, “Elle s’appelle Sabine / Her Name is Sabin”, l’attrice diventata regista Sandrine Bonnaire traccia 25 anni della vita di sua sorella, complicata da problemi di autismo. Bonnaire documenta le difficoltà dell’establishment per trovare a sua sorella un quadro di istruzione adatto, e il suo deterioramento dovuto alla cattive cure. Il film ha vinto quest’anno il premio Fipresci a Cannes.
Tra gli altri documentari in programma figurano i registi David Lynch e Steven Spielberg, il musicista Herbie Hancock, la fotografa Annie Leibovitz e il coreografo israeliano Ohan Naharin. C’è anche un film sul controverso progetto Orange Gates di Jeanne-Claude e Christo e la lunga lotta per attuarlo a Central Park, Manhattan.

(Da: Ha’aretz, 20.09.07)

Nella foto in alto: