Dall’Iran a Israele (e ritorno): un tribolato viaggio a lieto fine verso la libertà

Fuggita dal regime iraniano degli anni ’80, S. oggi difende il suo paese analizzando la topografia dell’Iran per la rinomata Unità 9900 dell'intelligence militare israeliana

Di Lilach Shoval

Lilach Shoval, autrice di questo articolo

È fuggita dall’Iran negli anni ’80 percorrendo centinaia di chilometri con un freddo estremo, sfuggendo alla polizia di frontiera iraniana e vagando nel deserto per arrivare in Israele. Oggi S. torna spesso in Iran lungo un tragitto leggermente diverso: attraverso la tecnologia a sua disposizione in quanto soldatessa nell’Unità 9900 della Direzione dell’intelligence militare delle Forze di Difesa israeliane (Aman), dove è incaricata di analizzare la topografia iraniana.

Quando suo fratello ricevette la chiamata sotto le armi nell’esercito iraniano, la madre di S. decise di trasferirsi con i suoi figli in Israele. “Tutto iniziò con la cartolina di leva – ricorda S. – ma davvero non finì lì. Le autorità iraniane non accettavano, a dir poco, che cittadini iraniani cercassero di andarsene dall’Iran, certamente non verso ‘l’entità sionista’.”

La famiglia di S. si unì a un gruppo di famiglie che da mesi progettavano di fuggire insieme. Nel periodo precedente la fuga, S. e la sua famiglia mantennero un profilo basso uscendo raramente di casa. Infine, i lunghi mesi di preparativi culminarono nell’ultima notte trascorsa con il nonno. Si caricarono di un po’ di cibo e di acqua, sapendo che erano alla vigilia di un viaggio molto arduo gran parte del quale si sarebbe dovuto fare a piedi. “Era una distanza incalcolabile, quasi come camminare per due volte da Tel Aviv a Eilat”, dice S.

All’inizio tutto andò secondo i piani, ma proprio quando sembrava che le cose sarebbero finite bene arrivò il momento più difficile della sua vita. “Una notte molto buia, in mezzo al deserto, mio padre ci implorò di andare avanti senza di lui. Restai impietrita, mi sentivo paralizzata. Non potevo muovermi. Come faremo senza di lui? Che ne sarà di lui?”. La giovanissima S. non era disposta a dire addio a suo padre. “Dopo lunga riflessione – continua il racconto – mia madre convinse mio padre a continuare. È stato un momento che non dimenticherò mai”.

L’Unità 9900 (foto: portavoce delle Forze di Difesa israeliane)

Dopo giorni e notti di dura marcia con pochissimo cibo e acqua, S. e la sua famiglia riuscirono ad attraversare il confine iraniano e passare in un paese vicino. Ma non era finita. Diversi giorni dopo incontrarono un rappresentante israeliano che disse loro che c’era un volo diretto verso un paese in Europa, ma che sul volo non c’era posto per tutti. “Era un dilemma enorme – ricorda S. – Cogliere l’occasione e lasciare qualcuno indietro o correre il rischio e aspettare tutti insieme il prossimo volo, che nessuno era in grado di garantire che ci sarebbe mai stato?”. Dopo altre angosciose riflessioni, rinunciarono al volo e decisero di aspettare in gruppo. Ogni notte speravano che il giorno successivo portasse loro l’agognato volo che li avrebbe condotti in Israele. Passarono diverse settimane prima di riuscire infine a imbarcarsi su un volo per l’Europa che permise loro di tirare finalmente un sospiro di sollievo: era la prima volta sin dall’inizio del viaggio che non correvano più il rischio di essere scoperti e arrestati. Dal punto di vista di S., tuttavia, l’ansia non si dissolse d’un colpo. “Anche quando eravamo fuori dall’Iran, non avevamo il coraggio di toglierci l’hijab (il velo islamico). La paura si era radicata dentro di noi”.

Alla fine, S. e la sua famiglia sono immigrati in Israele e hanno superato tutte le difficoltà. Oggi S. presa servizio nell’Unità 9900 analizzando e indagando il paese che un tempo chiamava casa. Raccoglie le informazioni di intelligence più aggiornate, identifica e decifra i cambiamenti topografici e ormai conosce a fondo ogni centimetro e ogni pietra dell’Iran. “Vivo ancora in Iran – sorride – Con l’aiuto di tecnologie avanzate, oggi posso usare le mie conoscenze per difendere lo stato d’Israele. E ogni singolo giorno apprezzo l’opportunità di vivere in Israele. Per me è come la chiusura di un cerchio”.

(Da: Israel HaYom, 26.10.21)