Decifrare le intenzioni di Damasco

Che che cosa intendono i siriani per pace?

Un giorno, all’inizio del 1992, mentre le delegazioni israeliana e siriana stavano conducendo negoziati a Washington dopo la conferenza di Madrid, l’équipe siriana cominciò a raccontare una storia già sentita mille volte su come Israele, il perprtuo aggressore, aveva occupato le alture del Golan senza una ragione al mondo.
Ci fu un momento, durante quella particolare conversazione, ricorda Yossi Ben-Aharon, a quel tempo Capo di Stato Maggiore di Yitzhak Shamir e capo delle delegazione israeliana ai negoziati, in cui Muwafiq Allaf, la sua controparte siriana che sedeva dall’altra parte del tavolo dei negoziati, blaterava in modo particolarmente grandioso sulle trasgressioni di Israele.
“Disse che eravamo gli aggressori, e che loro erano puri e virtuosi e stavano solo difendendo il loro territorio,” dice Ben-Aharon , facendo un’imitazione della pronuncia di Allaf della parola “territorio,” come se avesse cinque “r”.
“Il nostro territorio non è negoziabile,” disse citando l’allora ambasciatore siriano a Washington che avrebbe detto “Allora dovete dirmi che vi ritirate dall’ultimo centimetro di territorio siriano.”
Ad un certo punto durante il monologo, poiché Allaf continuava le sue accuse e presentava I siriani come vittime pacifiche , uno dei funzionari israeliani dell’équipe, Yigal Carmon, all’epoca ufficiale dei servizi segreti militari, premette un pulsante su un registratore da cui venne fuori una canzone trasmessa da radio Damasco subito prima della Guerra dei Sei Giorni. Il refrain della canzone era “Uccidiamo, uccidiamo, uccidiamo gli ebrei.”
Allaf fu sorpreso, ma si ricompose in fretta. “Mr. Ben-Aharon,” disse. “Stiamo conducendo negoziati seri e lei fa cose di questo genere.”
Ma quel “genere di cose,” ha dichiarato Ben-Aharon al The Jerusalem Post la settimana scorsa, poco dopo che Israele, Siria e Turchia avevano annunciato una ripresa dei negozoati indiretti israelo-siriani, non era uno scherzetto stupido, ma piuttosto un modo importante di tenere i siriani sulla difensiva, per mostrar loro che nonostante le loro pretese di essere vittime innocenti, Israele aveva la documentazione delle loro intenzioni prima della Guerra dei Sei Giorni e di piani per marciare su Haifa, ed esempi – come quella canzone, di incitamento a massacrare gli ebrei.
Ben-Aharon ricorda questo incidente quando gli viene chiesto quale consiglio abbia per gli attuali negozoatori israeliani – il Capo di Stato Maggiore del Primo Ministro Ehud Olmert Yoram Turbowicz ed il suo consigliere in politica estera Shalom Turgeman – riguardo a come negoziare al meglio con i siriani. Certo, Israele sta al momento solo trattando con i siriani attraverso i mediatori turchi, ma lo scopo dichiarato è che le due parti, in un futuro non troppo lontano, siedano di fronte di nuovo per negoziati diretti, proprio come fecero Ben-Aharon ed Allaf tanto tempo fa.
E quando questo accada, dice Ben-Aharon, la parte israeliana farà bene a tenere a mente parecchie cose.
Prima di tutto, dice, l’équipe deve ssere impeccabilmente preparata. “Dico questo perché ho visto come erano ben preparati i siriani. Bisogna essere almeno bravi come loro.”
Ben-Aharon aveva lavorato a stretto contatto con Shamir per circa 10 anni quando fu scelto come capo della delegazione israeliana per iI negoziati con i siriani. Egli era a capo dell’ufficio di Shamir quando era ministro degli esteri, poi divenne consigliere di politica estera quando Shamir divenne primo ministro, e poi il suo fidato capo di stato maggiore.
Ben-Aharon, nato in Egitto, è anche un arabista specializzato ed ha lavorato come tale per sei anni all’ambasciata israeliana a Washington, cinque dei quali sotto l’ambasciatore Yitzhak Rabin.
“A volte I negoziati sono solo questione di segnare punti,” dice Ben-Aharon, bevendo contemporaneamente soda e una tazza di the nella lobby di un albergo a Gerusalemme. E questo è specialmente vero se il processo dei negoziati riguarda più il processo stesso che non il raggiungimento di un accordo – qualcosa che secondo lui è vero oggi come allora.
“E’ meglio sapere come segnare punti, nel caso sia tutto quello che resta dei negoziati,” dice.
I siriani vedono i negoziati come una competizione continua, dice Ben-Aharon. “In modo molto soggettivo informano il pubblico siriano, e il pubblico arabo e la stampa, e partono dalla premessa che alla fine i negoziati non approderanno a nulla. Di conseguenza, vogliono usare l’opportunità di sottolineare la debolezza della nostra posizione e la forza della loro.”
I negoziatori israeliani, dice, devono combattere questo atteggiamento, segnando punti dalla loro parte.
Ben-Aharon dice che agli occhi siriani i negoziati sono un’esercitazione nel rafforzamento della loro posizione internazionale di fronte all’Occidente almento quanto lo sono nel raggiungimento di un accordo di pace.
E i turchi, dice anche, vogliono fare da mediatori nell’attuale processo per servire i propri interessi acquisiti.
“Perché la Turchia si offre volontaria per questo ruolo?” chiede. “Perché la Turchia si sta muovendo verso l’islamizzazione e sta avendo problemi con l’occidente. Chiedete a qualunque turco che sappia queste cose qual’è il modo migliore per influenzare Washington, ed egli risponderà che passa attraverso Gerusalemme. La Turchia sa che ci sono molti in Europa che si oppongono al lasciarla entrare nella UE a causa della crescente islamizzazine e vogliono abbattere il muro – sia in Europa che negli USA. E come farlo? Giocando qui un ruolo ‘costruttivo’.”
Quando entrerà nei negoziati, Ben-Aharon dice che l’équipe israeliana deve preoccuparsi di sapere tutto quello che c’è da sapere sui loro interlocutori – chi sono, le loro posizioni, il loro background, la Siria stessa, le posizioni prese dalla Siria in precedenti negoziati, andando indietro nella storia almeno alla fine del periodo ottomano.”
I siriani, dice, faranno costantemente e prontamente riferimento a diverse demarcazioni di confine nel corso degli anni: come apparve nell’accordo Sykes-Picot dl 1916; il confine tra Siria e Palestina mandataria come affisso dagli inglesi e dai francesi nel 1923; le linee dell’armistizio alla fine della Guerra d’Indipendenza; quelle stesse linee come appaiono sulla mappa dell’armistizio del 1949; le linee del 4 giugno 1967 ; e le linee del cessate il fuoco dopo la Guerra dei Sei Giorni e la Guerra del Kippur.
“I siriani sono pedanti per quanto riguarda il background storico che rafforza la loro posizione nei negoziati e sono molto bravi a trascurare quello che la indebolisce,” dice Ben-Aharon con una risatina. “Parlano del ritiro alle linee del 4 giugno, perché occuparono il territorio dal 1949 al 1967, e lo vogliono, anche se va al di là dei confini internazionali tra Siria e Palestina mandataria..” In verità, i siriani chiedono un completo ritiro israeliano alle linee del 4 giugno 1967, mentre le linee che Rabin indicò agli USA nel 1993, alle quali era disposto a ritirarsi in cambio di pace totale e garanzie di sicurezza, era la tradizionale linea dell’armistizio. E’ una differenza di soli 66 km quadrati circa, ma è la differenza che permette ai siriani di bagnarsi i piedi nel lago di Tiberiade, e di avere così un aggancio alla principale fonte d’acqua di Israele invece di essere respinti dalla linea dell’acqua.Bisogna conoscere il materiale, perché se si comincia a discutere della questione territoriale e si pretendono x ed y, bisogna sapere che cosa sono x ed y, e bisogna sapere come spiegarlo, e come attaccarli quando chiedono ancora di più dei confini del periodo ottomano.”
E poi, tornando a Carmon ed al suo registratore, Ben-Aharon sottolinea che è essenziale essere armati.
“Io parlo per esperienza,” dice Ben-Aharon, che è ora in pensione e scrive articoli occasionali per Ma’ariv. “A volte si dicono cose durante i negoziati, e mentre si dicono, si pensa a quanto verrà riferito, a quello che si è comunicato lasciando la stanza.”
Questa preoccupazione per quello che viene fuori dalla stanza dei negoziati è più importante quando i negoziati sono più sul processo che sulla sostanza. In questo caso, dice, è importante essere pronti con molto materiale – “munizioni” –che può essere usato nella stanza ed essere riferito alla stampa in seguito per dominare i titoli.
Ben-Aharon dice che è anche essenziale per i negoziatori israeliani capire quello che intendono i siriani quando dicono pace. Mentre dice che i negoziatori siriani ripeteranno “ritiro dalle alture del Golan ” come un mantra, Israele deve assolutamente chiedere di sapere esattamente che cosa ottiene in cambio. Che cosa significa pace per i siriani?In verità Ben-Aharon dice che mentre la stampa si fissa sulla possibilità di togliere la Siria dall’orbita dell’Iran, la questione più critica dei negoziati è se la Siria possa essere svezzata dal desiderio di distruggere Israele “anche se ci vogliono 100 anni.” In un articolo scritto per la Middle East Review of International Affairs nel 2000, Ben-Aharon dichiarava che la sua impressione alla fine dei suoi sette mesi come capo negoziatore – fu sostituito da Itamar Rabinovitch quando Rabin divenne primo ministro nel 1992 – era che l’unica sistemazione che la Siria poteva accettare era “una che riducesse drasticamente la capacità di Israele di difendersi da un attacco dei suoi vicini arabi.” In altre parole, nella sua mente la Siria voleva una restituzione delle alture del Golan non perché avrebbe facilitato la pace con Israele, ma piuttosto come tattica per indebolire Israele, rendendo così molto più facile lo smembramento finale del paese. Riguardo alla questione iraniana, , Ben-Aharon dice di essere sicuro che gli inviati siriani mandati a Teheran recentemente probabilmente ci sono andati con il seguente messaggio: “Che cosa vi importa di questi negoziati – stiamo guadagnando, e voi non perdete nulla. Noi non stiamo rinunciando a niente che sia importante per entrambi, o danneggiando l’alleanza.”
Ad un certo punto durante il periodo in cui conduceva i negoziati, Ben-Aharon dice che l’équipe israeliana preparò un documento – un “non-documento” – che cercava di definire le aree di accordo tra le due parti. Per esempio, il documento stipulava che entrambe le parti riconoscessero la legittimità dell’altra ed il suo diritto di esistere, e che l’obiettivo dei negoziati era un accordo giusto e duraturo, un trattato di pace tra le due parti.
Dopo che la risposta siriana al documento era semplicemente che Israele doveva ritirarsi dal territorio siriano, Ben-Aharon dice di aver replicato che, mentre non cercava di evitare la questione territoriale, voleva sapere come Damasco immaginava che la pace tra i due paesi sarebbe stata trasformata in realtà.
La significativa conversazione andò così:
Allaf: “Stai metendo il carro davanti ai buoi;questo sarà il risultato della questione territoriale.”
Ben-Aharon: “No, amico mio, non ti chiedo il riconoscimento diplomatico dello stato d’Israele, quello verrà alla fine del processo e accompagnerà la firma dell’accordo. Tutto quello che ti chiedo è questo: Con chi stai negoziando? Noi, per esempio, riconosciamo la legittimità ed il diritto ad esistere della repubblica araba di Siria. Puoi dirmi la stessa cosa riguardo a Israele?”
Allaf: “Stai solo giocando con le parole, alla fine di tutto.”
Ben-Aharon: “Mr. Allaf, con chi stai negoziando?”
Allaf: “Mi prendi in giro? Sto negoziando con Yossi Ben-Aharon, il direttore generale dell’ufficio del Primo Ministro.”
Ben-Aharon: “Di quale stato?”
Allaf: “di quello che chiamate Israele.”
E qui, secondo Ben-Aharon, sta la fregatura. Se fosse stato richiesto il suo consiglio dall’attuale équipe di negoziatori – non lo è stato – egli direbbe che devono parlare francamente e semplicemente ai siriani fin dall’inizio.
L’équipe israeliana, dice, dovrebbe entrare nella stanza il primo giorno dei negoziati e dire quanto segue: “Abbiamo già fatto questo alcune volte e non vogliamo perdere tempo inutilmente. Non vi daremo quello che pensate di avere già in tasca [un ritiro completo dalle alture del Golan]. Non ci fidiamo di voi: Voi volete questi negoziati per raggiungere altri scopi – finestre aperte all’Occidente, rompere il vostro isolamento, permettervi di concentrarvi sul Libano.
“O ci dite chiaramente come immaginate la pace e la sicurezza, oppure usciremo allo scoperto e diremo, ‘Era un trucco,’ che volevate ingannare noi, l’occidente ed il pubblico siriano; che non intendete fare dei veri negoziati, che non volete la pace – o perché siete troppo deboli, o troppo indebitati con gli iraniani. Di qualunque cosa si tratti, non è un problema nostro. Dateci una risposta chiara.”
Il problema, dice Ben-Aharon, è che mentre la Siria ritiene di avere un impegno preso da Rabin che risale al 1993 per un pieno ritiro dal Golan in cambio della pace, Israele non sa ancora che cosa i siriani hanno da offrire, che cosa intendono per “pace.” E sarebbe saggio, dice, che Israele lo scoprisse prima di andare avanti. Altrimenti i negoziati cominceranno già in modo asimmetrico.

(Da: Jerusalem Post, 8.06.08)