Decisioni difficili e dolorose per dare un’altra possibilità alla pace

Lettera aperta di Netanyahu ai cittadini di Israele

Di Benjamin Netanyahu

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu

Quello che segue è il testo di una lettera aperta del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ai cittadini di Israele in vista della proposta di riprendere i colloqui di pace con i palestinesi, sottoposta domenica al voto del governo.

Dall’ Ufficio del Primo Ministro:

«A volte, quando una questione è fondamentale per il bene del paese, i primi ministri sono chiamati a prendere decisioni che vanno contro i sentimenti dell’opinione pubblica. I primi ministri non servono per prendere le decisioni che il pubblico già appoggia.

In questo momento ritengo che sia della massima importanza per lo Stato d’Israele avviare un processo diplomatico. È importante sia per tentare fino in fondo ogni possibilità di porre fine al conflitto con i palestinesi, sia per stabilire la posizione di Israele nella complessa realtà internazionale che ci circonda. I grandi cambiamenti nella nostra regione – in Egitto, in Siria, in Iran – non solo costituiscono una sfida per lo Stato d’Israele, ma rappresentano anche per noi importanti opportunità. Per queste ragioni, sono convinto che sia importante per lo Stato di Israele prendere parte a un processo diplomatico di almeno nove mesi: per vedere se è possibile arrivare a un accordo con i palestinesi in questo lasso di tempo.

Ma pur attribuendo grande importanza al processo diplomatico, non ero disposto ad accettare le pretese dei palestinesi circa ritiri [sulle linee pre-‘67] e congelamenti [delle attività edilizie ebraiche in Cisgiordania] come pre-condizioni per l’avvio delle trattative. Né ero disposto ad accettare la loro richiesta di scarcerare detenuti palestinesi prima dell’inizio dei negoziati. Ho accettato, invece, di rilasciare 104 palestinesi solo dopo l’inizio dei negoziati, e in più fasi in rapporto ai progressi nei negoziati.

Si tratta di una decisione straordinariamente difficile da prendere: dolorosa per le famiglie in lutto, dolorosa per l’intera nazione, e molto dolorosa anche per me personalmente. Essa entra in conflitto con un valore di eccezionale importanza, il valore della giustizia. È infatti una evidente ingiustizia che delle persone immorali – anche se la maggior parte di loro, come in questo caso, ha già trascorso più di vent’anni in carcere – vengano rimesse in libertà prima che abbiano finito di scontare la pena. Una decisione tanto più difficile per me dal momento che la mia famiglia, ed io personalmente, conosciamo di prima mano il lutto per colpa del terrorismo. Conosco molto bene questo dolore, col quale convivo ogni giorno da 37 anni [dall’uccisione del fratello Yoni Netanyahu nell’operazione anti-terrorismo di Entebbe del 1976]. Il fatto che precedenti governi israeliani abbiano scarcerato più di 10.000 terroristi non mi rende più facile farlo oggi, né me lo rese più facile quando decisi di riportare a casa Gilad Shalit. Anche per riportare a casa di Gilad Shalit ho dovuto prendere questa decisione incredibilmente difficile: rimettere in libertà dei terroristi. Ma ero convinto che il valore di riportare a casa i nostri figli esigeva che io sormontassi questa difficoltà.

Le persone che hanno posizioni di leadership sono costrette a fare scelte complicate e talvolta, quando la maggior parte della gente vi si oppone, la decisione necessaria è quella più difficile. È così che decisi di porre fine all’operazione Colonna di Nube Difensiva dopo l’eliminazione del super-terrorista Ahmed Jabari e i severi colpi che le Forze di Difesa israeliane aveva inferto a Hamas e alle altre organizzazioni terroristiche. Presi la decisione di porre fine all’operazione anche se la maggior parte dell’opinione pubblica ne sosteneva il proseguimento, cosa che avrebbe richiesto di entrare nella striscia di Gaza con forze di terra. Come primo ministro, ho ritenuto che l’obiettivo di ripristinare la nostra deterrenza era stato in gran parte raggiunto grazie alle risolute azioni che avevamo effettuato. Oggi, a quasi un anno dalla fine dell’operazione Colonna di Nube Difensiva, abbiamo nel sud del paese la situazione più tranquilla da più di un decennio a questa parte. Naturalmente questa tranquillità può andare in frantumi da un momento all’altro, ma la mia politica rimane chiara su tutti i fronti: continueremo, al meglio delle nostre capacità, a contrastare in modo tempestivo le minacce contro di noi e continueremo a reagire con forza a qualsiasi tentativo di colpire la nostra popolazione.

Nei prossimi nove mesi vedremo se esiste, dall’altra parte, un soggetto palestinese che, come noi, vuole veramente porre fine a questo conflitto. Tale conclusione sarà possibile solo in condizioni che garantiscano la sicurezza dei cittadini d’Israele e dei nostri interessi nazionali vitali. Se riusciremo a raggiungere un tale accordo di pace, lo sottoporrò a un referendum. Una decisione così fatidica non può essere presa con un voto di stretta maggioranza alla Knesset. Su un tema così cruciale ogni cittadino deve avere la facoltà di influire direttamente sul nostro futuro e sul nostro destino.

La migliore risposta che possiamo dare a quegli assassini che cercavano di sconfiggerci col terrorismo è che, durante i decenni che loro hanno trascorso in carcere, noi abbiamo costruito un paese magnifico, facendone uno dei paesi più prosperi, evoluti e forti di tutto il mondo. Vi prometto che continueremo a farlo.»

Firmato: Benjamin Netanyahu