Desiderio e sessualità attraverso l’obiettivo femminile

Film e dibattiti al Festival Internazionale del Cinema delle Donne a Rehovot

Da un articolo di Nirit Anderman

image_1832Dirigere film è ancora, purtroppo, un campo dominato dagli uomini, uno degli ultimi baluardi artistici in cui la disuguaglianza tra i sessi è chiaramente visibile. Il numero di donne registe sta crescendo, ma è ancora sorprendentemente basso. Dei 13.400 membri del Directors Guild of America, solo 1.000 sono donne – circa il 7%, secondo le cifre riportate il mese scorso dalla Associated Press. Si ritiene che le donne costituiscano meno del 5% di tutti i registi attivi oggi nel mondo.
Il controllo maschile è evidente in quel prestigiosissimo bastione della cinematografia americana che sono gli Oscar. Nessuna donna finora ha vinto un Oscar per la regia, e nel corso degli anni solo tre donne hanno avuto la nomination (Lina Wertmuller per “Pasqualino Settebellezze” nel 1975; Jane Campion per “Lezioni di piano” nel 1993; e Sofia Coppola per “Lost in Translation” nel 2003). Ma nessuna ha mai portato a casa la statuetta dorata.
“Dei 30 film girati in Israele ogni anno, solo uno o due sono diretti da donne – dice la regista Michal Aviad – Io credo che sia una combinazione nefasta: le donne hanno maggiori difficoltà ad entrare in quest’industria, così come in altri campi dove scorre molto denaro, e questo è un lavoro molto esigente che chiede alle donne di rinunciare a cose a cui non sono sempre pronte a rinunciare. Per esempio. nel dipartimento del cinema dell’Università di Tel Aviv, dove insegno, c’è più o meno lo stesso numero di studenti maschi e femmine. Ma dopo qualche anno, si nota che le donne abbandonano il campo, probabilmente a causa della vita familiare e della necessità di un reddito sicuro. Gli studenti chiedono a me, e a se stessi: cinema o amore?”.
I teorici del cinema parlano da anni del modo in cui il regista guarda i suoi personaggi e del mondo in cui questi operano. All’International Women’s Film Festival, che si è tenuto dal 5 al 9 settembre a Rehovot (Israele), i riflettori sono puntati sulla rappresentazione cinematografica della passione e della sessualità in film creati da donne, con un’analisi dei lavori delle registe e di come esse offrono uno sguardo diverso sulla passione da quello che siamo abituati a vedere nei film tradizionali diretti da uomini.
“Poiché così poche donne fanno film, quasi mai si vede nei film la loro visione del mondo. Questo avviene particolarmente quando si parla di passione e sessualità, perché i protagonisti sono uomini e tutti i ruoli secondari devono essere di supporto a loro. E così nei film tradizionali la questione del piacere femminile è confinata ai margini – dice Aviad, la consulente artistica del Festival – Nei film che abbiamo deciso di presentare, il principio del piacere non è confinato ai margini”spiega, aggiungendo che sorge la questione di come si raggiunge il piacere, quali mezzi vengono usati, chi dà la caccia a chi, che cos’è il piacere e quand’è che diventa sofferenza.
Molti film presentati al Festival si rivolgono all’amore, al sesso e all’intimità, e permettono di esaminare la visione femminile di questi problemi. La differenza tra l’esperienza maschile e femminile della passione, e gli strumenti cinematografici originali e indipendenti delle cineaste, piuttosto di quelli presi in prestito dal mondo cinematografico maschile, danno come risultato un esame diverso e originale di passione e sessualità.
“Filming Desire” di Marie Mandy (Francia 2002), in programma al Festival, cerca di esaminare come le registe di vari paesi affrontano questa sfida. Mandy parla con le cineaste e presenta scene dei loro film. “Credo che gli uomini taglino molto di più il corpo femminile, mostrando solo le sue zone erogene – dice la regista francese Agnes Varda – Invece, quando le donne filmano donne, le mostrano tutte intere, con la tendenza a mostrare tutto il corpo della donna”.
Per spiegare come preferisce mostrare la sessualità femminile, Varda presenta un esempio dal suo film “Documenteur” (1981). In una scena, l’eroina viene mostrata mentre si spoglia nella camera da letto del suo capo e si distende nuda sul letto. Dopo un po’ si volta da un lato e vede il suo riflesso in uno specchio sul muro. Durante tutta la scena, si vede tutto il suo corpo, non solo parti di esso. “Nei film degli uomini, la nudità è di solito la fine del processo, del voyeurismo o dell’esposizione che conduce alla situazione in cui la donna è nuda, di solito prima di una scena di sesso” – dice Varda – In questa scena, io volevo mostrare la donna da sola, nuda, senza che questo portasse ad altro”.
Compaiono in “Filming Desire” anche Catherine Breillat (“Anatomy of Hell”), Sally Potter (“Orlando”), Deepa Mehta (“Water”), Jane Campion (“The Piano”) e altre registe. Tra le altre cose, parlano delle relativa facilità di filmare scene di sesso e della difficoltà di illustrare cinematograficamente emozioni interne e sentimenti di amore e sacrificio. Citano il dominio incontestato della nudità femminile nei film tradizionali e la quasi totale assenza di nudità maschile e si stupiscono della mancanza del pene sul grande schermo.
“Filming Desire” presenta scene da film di registe per illustrare il linguaggio cinematografico che hanno sviluppato per trattare di amore e passione. Si muovono con la camera sul corpo della donna come se fosse un paesaggio, mostrando primi piani di varie parti di corpi nudi maschili e femminili, senza esitare a spogliare gli uomini quanto le donne, lasciando che un personaggio descriva una scena di sesso con la voce fuori campo senza mostrare l’atto stesso ecc.
Quando una donna descrive la sessualità nel cinema con un nuovo linguaggio, spesso incontra una rabbiosa opposizione. Per esempio, la regista Liliana Cavani ricorda che le fu detto di tagliare le scene di sesso in cui si vedeva una donna sopra l’uomo. La regista indo-canadese Deepa Mehta fu coperta di maledizioni durante manifestazioni di massa fuori dai cinema in India quando fu mostrato il suo film “Fire”. E in Israele, il film”Anatomy of Hell” della regista Catherine Breillat è stato tagliato per il suo contenuto sessuale.
“Filming Desire” è stato presentato al cinema Chen a Rehovot. Ha fatto seguito un dibattito cui hanno partecipato Aviad, l’attrice del Gesher Theater Yevgenia Dodina, la regista Hagar Ben-Asher e Amalia Ziv, che insegna letteratura all’università di Tel Aviv per cercare, di approfondire, insieme al pubblico, nodi come: che cosa sia la passione per le donne e come sia espressa nel cinema, come appaiano nei film gli uomini desiderati dalle donne e come la passione femminile possa essere rappresentata con un linguaggio cinematografico che differisce da quello della tradizione.
“Avremmo potuto tutte trasformarci in uomini: è una possibilità – dice la regista e attrice Paula Baillargeon (“I’ve Heard the Mermaids Singing”) in “Filming Desire – Avremmo potuto diventare tutte giovani uomini americani bianchi, ma è molto importante per noi raccontare la nostra storia, alle nostre figlie, ai nostri figli, a tutti. È una diversa visione del mondo”.

Si veda anche:
International Women’s Film Festival, Rehovot

http://www.iwff.net/En/Index.asp?yid=2007