Deterrenza e disillusione

Dopo Gaza, nessun leader israeliano tenterebbe un ritiro unilaterale dalla Cisgiordania

Da un articolo di Amnon Lord

image_2598Il disimpegno dalla striscia di Gaza aveva aperto la strada a una spartizione di fatto della terra fra due stati, ma è fallito. L’opinione prevalente sul versante israeliano – sia a destra che a sinistra, che lo ammettano o meno – era che in quel modo ai palestinesi sarebbe stato dato un intero territorio sgomberato fino all’ultimo centimetro sulla base dei confini pre-67, e l’opportunità di cambiare condotta innanzitutto nel loro stesso interesse. Avrebbero potuto stabilire un esempio di nation-building, di sovranità statale e soprattutto un confine sicuro e tranquillo che avrebbe dimostrato agli israeliani il vero significato dello slogan “terra in cambio di pace”: da qualunque territorio vi ritirerete, come a Gaza vi sarà un confine sicuro e pacifico; il che avrebbe esercitato un’enorme pressione sul governo israeliano affinché proseguisse col processo dei ritiri.
Prima del ritiro vero e proprio del 15 agosto 2005, colossali enti e corporazioni internazionali si apprestavano a sviluppare progetti che promettevano grandi profitti. Tutto quell’interesse da parte di tanti uomini d’affari, fra i quali non pochi israeliani, dimostrava quali fossero le reali aspettative in campo.
Non è chiaro perché tutto sia naufragato. Quel che è certo è che l’esito dell’iniziativa a Gaza ha gettato la maggior parte degli israeliani nella più completa disillusione circa la mera possibilità di arrivare a una pace coi palestinesi. Se c’è stato un effetto concreto per gli israeliani, è stato un effetto assai triste. Sedici anni fa, nessuno avrebbe immaginato che un processo storico di riconciliazione tra i due popoli sulla Terra d’Israele sarebbe finito con decine di aerei lanciati a bombardare obiettivi terroristici all’interno dei confini storici della Palestina. Già solo questa è di per sé una tragedia al di là dell’immaginabile.
Ma una volta iniziato questo assurdo processo, si può dire che, sul piano degli stretti interessi d’Israele, si sono registrati perlomeno due importanti risultati, consolidati sulla scia della seconda guerra contro Hezbollah in Libano dell’estate 2006, e della controffensiva anti-Hamas nella striscia di Gaza all’inizio di quest’anno: e cioè, deterrenza e ampio consenso nazionale.
Si è dimostrato infatti che, su queste due frontiere dove Israele ha effettuato ritiri unilaterali, quando sorge la necessità di reagire con forza ad ulteriori aggressioni, praticamente l’intera nazione sostiene lo sforzo. Il che, si può affermare, costituisce un enorme vantaggio rispetto alla perdita di deterrenza e di una certa profondità strategica insita nei ritiri unilaterali.
Ma quei ritiri unilaterali hanno impegnato Israele verso un’opzione operativa militare molto forte. Israele ha dovuto abbandonare la fallimentare dottrina del conflitto limitato, la vana tattica della cosiddetta “guerra a bassa intensità”, per tornare ad una aggiornata dottrina della deterrenza in base alla quale, se decide che deve farlo, può optare per il perseguimento di vittorie decisive.
Sia in Libano che a Gaza ha scelto di non farlo fino in fiondo perché non ha voluto creare un vuoto e quindi una totale destabilizzazione.
Secondo un recente sondaggio Peace Index dell’Università di Tel Aviv, il 79% degli israeliani intervistati considera l’operazione a Gaza del gennaio scorso un successo e il 71% la vede positivamente. Il che significa che, nonostante tutto, gli israeliani hanno interiorizzato il processo attraverso cui è passato il paese dal disimpegno ad oggi: quando ci si ritira unilateralmente infliggendo lacerazioni alla propria stessa società e in cambio si ricevono missili e obici di mortaio e altri attacchi, allora non ci devono essere indugi una volta scatenata la reazione militare.
Ciò non di meno si può affermare che, complessivamente, dal punto di vista israeliano gli effetti negativi di tutta questa esperienza superano quelli positivi. Oggi infatti appare chiaro che nessun leader israeliano sano di mente, neanche Haim Oron del Meretz tanto per dire, sarebbe disposto ad azzardare uno sgombero unilaterale dai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania), perché il solo pensiero di razzi e missili lanciati su Kfar Saba o sull’aeroporto Ben-Gurion (a due passi dall’ex Linea Verde) fa rabbrividire qualunque israeliano. […]

(Da: Jerusalem Post, 1.09.09)

Nell’immagine in alto: aree di Israele raggiunte da vari tipi di razzi di modesta gittata che venissero lanciati dalla Cisgiordania