Di nuovo i Qassam dalla striscia di Gaza. Che fare?

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_2317Yediot Aharonot sottolinea che in questo momento sono circa 25 i palestinesi della striscia di Gaza ricoverati nel centro ospedaliero Barzilai di Ashkelon, e ricorda che venerdì scorso un razzo Grad lanciato dalla striscia di Gaza ha colpito Ashkelon a poca distanza dall’ospedale. “Fuori c’è una guerra che semina distruzione e morte – nota il giornale – mentre dietro i muri dell’ospedale si lotta per la vita dei pazienti senza badare alla loro nazionalità. Se, il cielo non voglia, un Qassam dovesse centrare l’ospedale, a Gaza sicuramente festeggerebbero il “trionfo”, senza pensare nemmeno per un secondo ai palestinesi che vi vengono curati”.

Scrive Ha’aretz: “Coloro che vorrebbero rioccupare Gaza dovrebbero ricordare che Israele accettò una tregua proprio perché sapeva che il prezzo di una vasta operazione militare nella striscia di Gaza sarebbe stato troppo alto. Nella situazione attuale tra Israele e Hamas non c’è altra scelta che scegliere il minore fra due mali, e ricucire la tregua andata in pezzi. Il coro di coloro che propugnano una guerra non offre un’alternativa ragionevole al di là degli slogan. Costoro farebbero meglio ad ascoltare gli israeliani che vivono nella regione attorno alla striscia di Gaza e che meglio di chiunque altro sanno a cosa serve la tregua”.

Scrive Nahum Barnea su YnetNews: “Uno scenario che vedesse le Forze di Difesa israeliane imbarcarsi in una vasta operazione armata contro Hamas, subire perdite, ripulire la striscia di Gaza e alla fine consegnarla alle forze di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) non può concretizzarsi nella realtà. Un ministro tempo fa la definì giustamente un’ipotesi “innaturale”: oltretutto trascinerebbe i soldati israeliani all’interno della guerra interna palestinese e, quel che è peggio, trasformerebbe Abu Mazen e il suo governo in una versione palestinese dell’Esercito del Libano Meridionale, tacciato di collaborazionismo. […] Nel giugno scorso il governo israeliano ha opotato per un accordo di tregua con Hamas, negoziato dall’Egitto. Il rovescio della medaglia di quell’accordo si conosceva sin dall’inizio: avrebbe permesso a Hamas e ad altre organizzazioni terroristiche di rafforzarsi, addestrare uomini, acquisire armi e aumentare la gittata dei loro razzi. Avrebbe anche rafforzato e stabilizzato il regime di Hamas. Ma erano noti anche i vantaggi dell’accordo: allontanare l’escalation verso la guerra aperta, risparmiare vite, garantire un po’ di respiro agli israeliani che vivono nella regione attorno a Gaza. Pochi credevano che la tregua avrebbe retto più di qualche settimana. Invece è durata cinque mesi. Ma nei giorni scorsi la relativa calma è stata ripetutamente violata. Ashkelon è stata raggiunta da razzi Grad, Sderot è di nuovo sotto i Qassam. È un miracolo che non vi siano state ancora vittime. […] Tuttavia, da qualunque lato lo si guardi, l’accordo con Hamas non può essere la soluzione. Hamas deve essere rimossa. La domanda è se sia possibile trovare un soggetto responsabile che riempia il vuoto che seguirà. Il che ci riporta allo scenario “a fasi”. In una prima fase le Forze di Difesa israeliane dovrebbero assumere il controllo sulla striscia di Gaza. Nella seconda fase lo cederebbero a delle forze arabe. Nella terza fase le forze arabe lo passerebbero ai soldati dell’Autorità Palestinese. Questa ipotesi, che solo sei mesi fa suonava del tutto illusoria, oggi sembra più ragionevole, dopo che i soldati dell’Autorità Palestinese addestrati dagli americani in Giordania hanno dimostrato una buona capacità di controllo a Jenin (Cisgiordania settentrionale) e si sono mostrati capaci di eliminare i covi di Hamas nella zona sud del Monte Hebron (Cisgiordania meridionale). Le possibilità di successo di uno scenario di questo genere non sono granché, ma l’alternativa – mandare le forze israeliane nella striscia di Gaza per rimanervi – è molto meno allettante. Pazienza, continua a predicare il ministro della difesa Ehud Barak ai suoi colleghi ministri, e non dimenticate il 12 luglio 2006 (quando Israele si lanciò nella seconda guerra in Libano contro gli attacchi di Hezbollah da oltre confine). Forse questa volta ha ragione”.

Il Jerusalem Post commenta la “Babele” di dichiarazioni fra loro contrastanti che giungono dai diversi leader israeliani di fronte alla nuova ondata di lanci di Qassam dalla striscia di Gaza. “Non servono per confondere il nemico, sono piuttosto la triste indicazione del nostro grado di confusione. Niente è più scoraggiante per i cittadini d’Israele che vedere tale discordia quando il paese è sotto attacco. Ed è il paese che è sotto attacco. Come ricorda il neosindaco di Sderot, David Buskila, Sderor Ashkelon e il Negev sono parte integrante del territorio sovrano d’Israele. Le conseguenze violente e destabilizzanti della presa del potere di Hamas a Gaza continuano a tormentarci. Questo giornale ha sostenuto che Israele non può tollerare la nascita tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano di uno stato islamista jihadista votato alla sua distruzione. Ma, naturalmente, prima di imbarcarsi in una vasta operazione militare, il governo deve stabilire i suoi obiettivi. Per ora le Forze di Difesa fanno opera di contenimento bloccando quelle bombe a orologeria che sono i tunnel, impedendo al nemico di piazzare ordigni lungo la barriera di separazione, colpendo le squadre di lanciatori di razzi colte in flagrante. I decisori politici israeliani hanno ben poche opzioni accettabili per cercare di fermare le aggressioni di Hamas. Ma sono loro che devono scegliere. Israele potrebbe usare l’artiglieria contro i luoghi da dove partono i lanci. Ma i legali del governo dicono che si potrebbe incorrere nella condanna del diritto internazionale perché Hamas spesso e volentieri fa fuoco dal mezzo di zone densamente popolate. Curiosamente gli uffici legali di Hamas non sembrano preoccupati del fatto che la loro ala militare usa quartieri abitati di Gaza per fare fuoco contro agglomerati civili israeliani. Israele potrebbe eliminare sistematicamente i comandi politici e militari del nemico: alla fine, è vero, verrebbero rimpiazzati da nuovi quadri, ma almeno avremmo guadagnato un po’ di tempo e di respiro. Riconquistare Gaza e ripristinare l’amministrazione israeliana è invece un’ipotesi che la maggior parte degli israeliani non vede con favore. Un’altra idea ventilata è quella di riprendere Gaza, estromettere Hamas e trasferire la striscia a una forza di peace-keeping araba che vi reinstalli l’Autorità Palestinese: uno scenario per ora tanto poco realistico quanto poco invitante. Può darsi che sia irragionevole aspettarsi che un governo dimissionario risolva il rebus di Gaza. Quello che invece non è irragionevole è chiedere ai ministri che non coopereranno nel gabinetto di sicurezza di smetterla di rilasciare dichiarazioni in pubblico a vanvera”.

(Da: Yediot Aharonot, Ha’aretz, Jerusalem Post, YnetNews, 17.11.08)