Di nuovo in lutto

Come infinite volte in passato, Israele si è ritirato su se stesso sanguinante, ferito e determinato.

Di Dan Margalit

image_3490Con un colpo di rasoio, tutti i titoli che dominavano la stampa israeliana sono scomparsi. Tutt’a un tratto Israele si è ritrovato nella realtà che cerca continuamente di dimenticare e di spazzare sotto l’apparenza di una vita normale. Domani torneremo alle manifestazioni di protesta degli “imbrogliati”, alle proteste sociali contro il carovita, alle discussioni sulla data delle prossime elezioni e, naturalmente, all’orrenda carneficina della popolazione siriana che Bashar al-Assad sta perpetrando da un anno e mezzo.
Ma oggi no.
Sembra ieri (era ieri!) che la nostra attenzione collettiva veniva distolta dalla instabilità politica della Knesset per focalizzarsi sulla notizia della bomba nel cuore di Damasco. Non si trattava semplicemente dell’ennesima giornata di sangue siriana, ma di un nuovo capitolo in quella folla guerra civile giunta alle porte della capitale. La nostra attenzione era tutta sulla Siria finché non è avvenuto l’attentato in Bulgaria. E allora, come ha fatto infinite altre volte in passato, Israele si è ritirato su se stesso: sanguinante, ferito e determinato, invocando che si saldasse il conto con gli assassini.
La protezione globale che Israele riesce a garantire ai suoi cittadini costituisce un’impresa veramente unica. Arriva fino ai più lontani villaggi e ostelli, come una sorta di estrema espressione dell’antico detto ebraico “tutto Israele è reciprocamente responsabile”. È questo ciò che garantisce che la maggior parte dei giorni si chiudano senza nessuna notizia, o al massimo con la notizia breve di qualche attentato sventato. Ma coloro che stanno sempre all’erta, coi muscoli sempre tesi, sanno bene che non esiste mai un successo assoluto.
Forse una piccola consolazione, anche in questi momenti di intenso dolore, può derivare dalla consapevolezza che il terrorismo dei nostri vicini non è quasi più efficace all’interno dei confini di Israele, per cui deve indirizzarsi al resto del mondo per attuare i suoi atti efferati.
Non esistono barriere di sicurezza, “cupole di ferro”, sistematiche operazioni anti-terrorismo che possano garantire un tasso di successo al cento per cento. Vi è sempre una fessura, un punto debole. Il meccanismo non è a prova di ruggine e si possono sempre verificare errori umani, come la stanchezza, e queste sono le crepe attraverso cui il terrorismo si può infiltrare.
I tanti paesi in cui la sicurezza che Israele garantisce ai suoi cittadini permette loro di condurre una vita passabilmente libera e sicura non vengono mai citati, finché non vi avviene una catastrofe. Da ieri la Bulgaria, con l’assassinio sul suo suolo di civili israeliani innocenti, è stata strappata dalla lunga e anonima lista dei paesi preservati.
Inutile dire che l’incidente verrà approfonditamente investigato, e che se ne trarranno le debite conclusioni. Israele darà la caccia ai responsabili, che quasi certamente ieri hanno firmato la propria condanna a morte, proprio come in passato. Le linee guida dell’antiterrorismo verranno aggiornate. Le falle nel sistema di sicurezza verranno riparate. L’antiterrorismo d’Israele conoscerà altri successi. E poi, dopo un lasso di tempo che speriamo più lungo possibile, l’asse terroristico arabo-iraniano troverà un altro tallone d’Achille nello scudo del nostro paese e non esiterà ad approfittarne per colpirci inesorabilmente. Israele non si fa la minima illusione sul conto di coloro che cercano implacabilmente di distruggerlo. La combinazione può variare – Iran, Hezbollah, al-Qaeda – ma la mano è sempre quella.
Così eccoci ancora una volta a tener duro tra sangue, sudore e lacrime; ancora una volta andando avanti, a testa alta.

(Da: Israel HaYom, 19.7.12)