Dieci anni di Startup Nation

Israele alla testa della rivoluzione tecnologica: i successi, le sfide, i pericoli, le nuove risposte

Di Shoshanna Solomon

Shoshanna Solomon, autrice di questo articolo

Gli ultimi dieci anni hanno visto fiorire la cosiddetta Startup Nation, con un numero crescente di multinazionali che se ne accorgono, si aggiudicano aziende e tecnologie israeliane e stabiliscono nel paese centri di ricerca e sviluppo. Gli imprenditori start-up, un tempo ansiosi di vendere le loro aziende al miglior offerente il più presto possibile, ora resistono più a lungo e raccolgono più denaro dal venture capital o dai fondi di private equity, per far crescere da sé le loro aziende.

Uno sguardo alle cifre mostra che, nell’ultimo decennio, in Israele si sono avuti 587 accordi in uscita – intesi come offerte pubbliche iniziali di azioni, o fusione e acquisizione di startup israeliane – per un totale di 70 miliardi di dollari, stando ai dati compilati da PwC Israel. L’affare del decennio è stata l’acquisizione da parte del colosso tecnologico statunitense Intel Corp. della israeliana Mobileye, una società di Gerusalemme produttrice di tecnologie per la guida autonoma, per l’enorme somma di 15,3 miliardi di dollari. L’ultimo decennio ha anche visto imprenditori che hanno venduto le loro attività, ma sono poi tornati nell’arena tecnologica per fondare nuove società con maggiore audacia, abilità ed esperienza, e per formare una nuova generazione di imprenditori tecnologici.

“La Startup Nation si è rafforzata in base praticamente a ogni criterio, sia che si tratti del numero di startup sia della quantità di finanziamenti venture capital raccolti”, dice Saul Singer in un’intervista telefonica con Times of Israel. Singer, insieme a Dan Senor, è l’autore di Start-Up Nation, il libro che ha dato a Israele questo soprannome e che in larga misura ha segnato il decennio successivo alla sua pubblicazione nel 2009 (ediz. it. Laboratorio Israele. Storia del miracolo economico israeliano, Mondadori 2012). “Nel corso di questo decennio – spiega Singer – l’ecosistema tecnologico d’Israele è maturato. Abbiamo più imprenditori seriali, più persone che hanno avviato svariate aziende, che hanno conosciuto fallimenti e successi e ora stanno costruendo società che hanno maggiori possibilità di successo. Inoltre, molti imprenditori vogliono fare qualcosa che ritengono significativo per il mondo, qualcosa che ritengono possa cambiare le cose: hanno ambizioni non solo in termini di successo economico, ma anche di impatto sul mondo”.

Saul Singer, con il suo libro “Sart-up Nation”

Oggi si contano più di 6.400 startup che operano in Israele, secondo Start-Up Nation Central che segue il settore. Questi imprenditori sognano più in grande e si sforzano di creare aziende più grandi. Mentre una volta dovevi aprire una filiale nella Silicon Valley per raccogliere 50 milioni dagli investitori, oggi gli imprenditori raccolgono quantità sempre più grandi in Israele da fondi venture capital esteri e multinazionali che sono costantemente alla ricerca di nuove opportunità. E se una volta venivano stipulati accordi per migliaia o milioni di dollari, oggi gli affari e le valutazioni delle aziende toccano i miliardi di dollari. Secondo un elenco compilato da Techcrunch, a dicembre 2019 su oltre 500 soceità “unicorno” (le società tecnologiche private valutate oltre 1 miliardo di dollari), 30 sono state fondate da israeliani. Stando ai dati compilati da PwC Israel, nel 2019 il valore totale degli affari in uscita ha raggiunto i 9,9 miliardi di dollari in 80 operazioni, con una dimensione media di 124 milioni a operazione, contro le 23 operazioni del 2010 per un totale di 1,2 miliardi, per una media di 51 milioni a operazione. Lo scorso decennio ha visto anche l’anno record per uscite: il 2014, con accordi in uscita per un valore totale di 14,9 miliardi, seguito dal 2015 che ha visto uscite per un valore di quasi 11 miliardi di dollari. Delegazioni di rappresentanti aziendali e governativi stranieri visitano Israele in quello che il fondatore e CEO della società di venture capital OurCrowd, Jon Medved, chiama “un nuovo genere di pellegrinaggio” in Terra Santa fatto per studiare l’ecosistema tecnologico israeliano e vedere come imitarne la formula.

Altre aziende straniere aprono sedi in loco. Esistono circa 362 società multinazionali attive in Israele. La società straniera più attiva è Intel Corp. che nel periodo 2014-2019 ha preso parte a 52 operazioni di investimento in società di capitali di rischio. Nello stesso periodo, il colosso tecnologico statunitense ha anche acquisito cinque società per un totale di 17,5 miliardi di dollari, secondo un rapporto di IVC Research Center, GKH Law Offices e Israel Advanced Technology Industries (IATI), organizzazione ombrello delle aziende tecnologiche che operano in Israele. Anche Google e Microsoft sono state molto attive negli ultimi cinque anni, acquisendo rispettivamente 10 e 8 aziende. Non mancano le università, che offrono corsi di imprenditorialità in linea con le esigenze di una Startup Nation.

Yokne’am, lo “startup village” alle pendici del Carmelo, 21 km a sud-est di Haifa

Negli ultimi anni è emersa la tendenza di alcune startup israeliane, acquistate da multinazionali, a non farsi ingoiare e sparire all’interno della grande corporation, bensì a proseguire come un’unità separata che opera in modo quasi indipendente, nello sforzo di preservare la propria identità, intraprendenza e agilità.

Mobileye, ad esempio, il produttore di tecnologie per guida autonoma acquisita da Intel Corp. nel 2017, ha mantenuto la propria identità all’interno di Intel diventando il centro Intel per lo sviluppo di tecnologie per guida assistita e autonoma. Allo stesso modo, il produttore di chip statunitense Nvidia, che a marzo ha siglato un accordo per acquisire a Yokne’am la israeliana Mellanox Technologies Ltd. per ben 6,9 miliardi di dollari (il perfezionamento dell’accordo è ancora in attesa di approvazione finale), ha dichiarato che Mellanox rimarrà indipendente. Analogamente, Habana Labs, acquisita da Intel a dicembre per 2 miliardi, continuerà a funzionare in modo autonomo.

Guardando al futuro l’espansione sembra destinata a continuare, posizionando Israele come leader in una serie di settori in crescita: sicurezza informatica, mentre cresce a livello globale la minaccia degli hacker; auto a guida assistita e autonoma, mentre ingorghi e inquinamento diventano sfide-chiave; tecnologie sanitarie, dove tecnologia e sanità si incontrano generando farmaci sempre più mirati e migliori strumenti diagnostici e di monitoraggio; tecnologie alimentari, mentre il mondo cerca alternative più sane e più ecocompatibili; tecnologie agricole; tecnologie dell’intelligenza artificiale e internet delle cose, che già pervadono un po’ tutti i settori della vita quotidiana. Le capacità israeliane sembrano “fatte apposta” per gli sviluppi sul campo, dice Singer. L’intelligenza artificiale viene “aggiunta a tutto” e big data, algoritmi, apprendimento automatico e visione artificiale sono fondamentali per le tecnologie del futuro. Settori in cui gli israeliani “sono molto bravi”, aggiunge. Quindi, anche se altre nazioni come Cina, Regno Unito e vari distretti negli Stati Uniti stanno creando i loro ecosistemi tecnologici di successo, in futuro “Israele non sarà meno importante”, afferma Singer.

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E tuttavia non mancano le sfide. Innanzitutto la carenza di impiegati abbastanza qualificati, cosa che potrebbe rallentare il trainante motore tecnologico della nazione. Israele soffre della mancanza di circa 15.000 lavoratori qualificati all’anno, secondo Start-Up Nation Central. Questa carenza causa crescita dei salari locali e spinge le aziende a cercare lavoratori all’estero. E cresce la competizione per i lavoratori qualificati, con startup e multinazionali del calibro di Amazon, Google, Facebook e Microsoft che si contendono i talenti locali. Ma solo l’8% circa della forza-lavoro israeliana è impiegato nella tecnologia, mentre gran parte della popolazione resta tagliata fuori dal boom e le industrie tradizionali devono ancora fare i conti con processi di produzione vecchio stile. Per fare fronte alla carenza di competenze, il paese cerca di coinvolgere le comunità finora emarginate dal boom tecnologico: ebrei ultra-ortodossi, arabi e donne. Singer aggiunge che una delle soluzioni è quella di trasformare Israele in una “calamita” per talenti stranieri, facilitando l’assunzione di lavoratori dall’estero da parte delle startup locali. “Dobbiamo diventare più simili alla Silicon Valley, a Londra e a New York, tutti luoghi molto internazionali – spiega l’autore – Là, se entri in una startup trovi persone provenienti da tutto il mondo. Qui trovi israeliani, e spesso provenienti dalla stessa unità dell’esercito. Ciò che dobbiamo capire è che possiamo diventare una calamita per i talenti. A molta gente piacerebbe venire qui a lavorare nelle startup israeliane e costruire le proprie aziende”.

C’è infine il lato oscuro della tecnologia. Le aziende tecnologiche globali sono oggi al centro di proteste pubbliche per aver invaso la privacy dei cittadini, e le aziende israeliane non fanno eccezione. Startup come AnyVision e NSO Group sono finite sotto i riflettori e hanno suscitato forti critiche per l’uso dei loro prodotti fatto da governi autoritari che violano i diritti umani: il che non fa che confermare il fatto che ogni tecnologia, con tutti i suoi benefici, può anche essere piegata a usi riprovevoli. Ciò ha spinto gli attivisti per la democrazia e i diritti umani a chiedere l’introduzione in Israele di norme che permettano di supervisionare le esportazioni e l’uso finale delle tecnologie di sorveglianza e in generale di quelle che possono violare la privacy delle persone.

(Da: Times of Israel, 31.12.19)