Difendere l’indifendibile

Chi difende il libro di Carter aggiunge falsità a falsità

Da un articolo di Tamar Sternthal

image_1598Difendere il recente libro dell’ex presidente Usa Jimmy Carter “Palestine: Peace, Not Apartheid” significa difendere l’indifendibile.
Reagendo al diluvio di critiche piovute sul suo libro, comprese quelle del suo ex consigliere Kenneth Stein e dell’ex negoziatore dell’amministrazione Clinton Dennis Ross, Carter ha dichiarato al Washington Post che “la maggior parte dei critici non ha seriamente contestato i fatti e non li ha nemmeno menzionati”. Altrove ha affermato che “il libro è ineccepibile”.
Purtroppo la difesa di Carter del suo libro è arbitraria quanto il libro stesso. In realtà, sono molti i punti in cui i critici come Stein, Ross e CAMERA (Committee for Accuracy in Middle East Reporting in America) hanno “seriamente contestato” i “fatti” riportati nel libro dell’ex presidente.
Solo a titolo di esempio, è falsa l’affermazione del libro di Carter secondo cui “le linee di demarcazione dell’armistizio del 1949 sono diventate i confini della nuova nazione israeliana e vennero accettatte da Israele e dagli Stati Uniti, e ufficialmente riconosciute dalle Nazioni Unite”. È noto, invece, che gli unici confini internazionali di Israele sono quelli con la Giordania, con l’Egitto e con il Libano, mentre le linee armistiziali del 1949 che separavano la Cisgiordania da Israele non sono mai diventati confini permanenti, riconosciuti da Israele, dagli Stati Uniti o dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite [né dagli stessi stati arabi, che insistettero affinché negli armistizi fosse esplicitamente scritto che “le Linee di Demarcazione non sono in alcun modo concepite come frontiera politica o territoriale e non pregiudicano i diritti, le rivendicazioni e le posizioni delle parti circa la composizione finale della questione palestinese”].
Carter sostiene inoltre che “gli israeliani non hanno mai riconosciuto ai palestinesi una qualunque autonomia significativa”. È noto invece che, con la creazione dell’Autorità Palestinese nel 1993-94, i palestinesi ottennero una “autonomia significativa” grazie alla quale per la prima volta nella loro storia iniziarono ad assumere il controllo di istituzioni politiche, civili, di sicurezza, sanitarie, scolastiche e delle comunicazioni. Israele ha ceduto al loro controllo non meno del 40% della Cisgiordania e successivamente la totalità della striscia di Gaza.
Similmente è stata segnalata come semplicemente falsa l’affermazione del libro di Carter secondo cui i governi israeliani avrebbero “edificato la barriera e il muro interamente all’interno del territorio palestinese”. Cifre e mappe delle Nazioni Unite confermano che la barriera per il 45% segue esattamente le linea armistiziale del 1949, che non è definibile “territorio palestinese”. Di più: in alcuni punti, come nei pressi di Tulkarem e al-Mughayyir al-Mutilla, la barriera vira addirittura in territorio israeliano.
Una falsità può essere “difesa” solo con altre falsità. Non fa eccezione l’editoriale pubblicato lo scorso 31 dicembre su YnetNews dalla politica israeliana Shulamit Aloni, nel quale si asserisce che “l’attacco da parte dell’establishment ebraico americano contro Jimmy Carter è dovuto al fatto che questi ha osato dire la verità: che Israele pratica una brutale forma di apartheid nei territori occupati”. Per sostenere questa accusa, la Aloni fa due affermazioni nettamente false.
Innanzitutto afferma ripetutamente che in Cisgiordania esisterebbero “strade per soli ebrei”. È vero che esistono strade interdette alla popolazione palestinese, ma non esiste nessuna strada “per soli ebrei”. Tutti gli arabi israeliani, e i cittadini israeliani di qualunque fede o etnia, hanno esattamente lo stesso diritto dei cittadini ebrei di percorrere queste strade a uso limitato per ovvie ragioni di sicurezza. Tanto è vero che gli arabi israeliani usano frequentemente le “bypass roads” sia per lavoro che per altri motivi. E benché si tratti di strade più sicure delle altre, si sa di almeno un arabo israeliano, Wael Ghanem, che venne ucciso su una di queste strade in un’imboscata di terroristi palestinesi (convinti, loro sì secondo una logica razzista, di colpire un ebreo). Anche un monaco greco ortodosso, Georgios Tsibouktzakis, venne ucciso da terroristi palestinesi su una di queste strade che essi evidentemente credevano – come la Aloni – riservate a “soli ebrei”. Più di recente, l’11 giugno 2006, un arabo di Gerusalemme est, Marwan Abed Shweika, è stato ucciso sulla superstrada 443 che è per lo più interdetta ai palestinesi dei territori, ma accessibile ai palestinesi israeliani e altri cittadini non ebrei.
La falsità delle strade “per soli ebrei” sta alla base (sin dal titolo del pezzo “This Road is for Jews Only”) della falsa e diffamatoria accusa mossa dalla Aloni a Israele d’essere colpevole di una “separazione razziale” in stile apartheid sudafricano. Casomai il vero razzismo, come si è visto, sta in coloro che – come la Aloni – si “dimenticano” di quel 20% di popolazione israeliana non ebraica che usa regolarmente quelle strade.
La seconda falsa accusa mossa dalla Aloni e che “ogni città e villaggio palestinese è stato trasformato in un centro di detenzione, con la chiusura di ogni via di uscita ed entrata, tagliati fuori dalle grande arterie del traffico”. Si tratta di un’affermazione che rasenta l’assurdo. Sebbene in tutta la Cisgiordania vi siano certamente numerosi posti di blocco e altri ostacoli, è del tutto falso affermare che sia bloccata “ogni” entrata e uscita di “ogni” città e villaggio palestinese. Chiunque viaggi anche solo un poco in Cisgiordania lo può vedere coi propri occhi.

(Da: YnetNews, 19.02.07)

Nella foto in alto: Un esempio del vero apartheid. Un cartello (in inglese, afrikaans e zulu) su una spiaggia di Durban (Sudafrica) nel 1989. Si legge: “Questa spiaggia è riservata all’uso esclusivo di membri del gruppo di razza bianca”.