Divisa e indebolita, Fatah sembra intenzionata a cancellare le elezioni palestinesi

Nel caso, il modo più semplice per farlo è dare la colpa a Israele

Il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen

Tra poco meno di un mese, circa 2,5 milioni di palestinesi dovrebbero recarsi alle urne in Cisgiordania e nella striscia di Gaza per votare alle prime elezioni parlamentari dopo più di 15 anni. Ma negli ultimi giorni l’Autorità Palestinese, guidata dal presidente palestinese Mahmoud Abbas e dalla sua organizzazione Fatah, sembra impegnata a preparare l’opinione pubblica alla possibilità che le elezioni vengano posticipate a data da destinarsi.

Non sarebbe la prima volta. Dopo il voto del 2006, le elezioni palestinesi sono state annunciate e successivamente annullate almeno quattro volte – nel 2009, 2011, 2018 e 2019 – per l’impossibilità di trovare un intesa fra le fazioni rivali Fatah e Hamas. Per tutti questi anni la Cisgiordania è stata di fatto governata dai decreti presidenziali di Abu Mazen, mentre la striscia di Gaza è rimasta sotto il controllo di Hamas, che vi ha preso il potere con un sanguinoso golpe nel 2007.

Quest’anno la motivazione ufficiale della paventata cancellazione del voto è che Israele non ha ancora detto se e come consentirà lo svolgimento delle elezioni anche nei quartieri est di Gerusalemme. Esistono dei precedenti, ma è probabile che Israele non abbia fretta di rispondere alla richiesta di Ramallah.

Jack Khoury, Ha’aretz

I palestinesi ufficialmente protestano, invocando come al solito pressioni internazionali (in particolare da parte dell’Unione Europea e dell’Onu), ma è anche vero che nel frattempo, come nota Jack Khoury su Ha’aretz, non stanno avanzando nessuna proposta concreta (collocare i seggi elettorali presso consolati stranieri o uffici postali). Sembra infatti che le vere ragioni del rinvio delle elezioni siano le debolezze e le divisioni all’interno del partito Fatah, che fa capo al presidente Abu Mazen. Da queste fratture interne sono nati due importanti gruppi scissionisti che mettono a rischio il controllo del Consiglio Legislativo palestinese da parte di Fatah. Un gruppo è guidato dall’ex esponete di Fatah Marwan Barghouti, all’ergastolo in Israele per aver organizzato sanguinosi attentati terroristici. L’altro è guidato da Mohammed Dahlan, ex uomo forte di Fatah a Gaza prima della conquista della striscia da parte di Hamas. Dahlan è entrato in conflitto con Abu Mazen e ora vive in esilio negli Emirati Arabi Uniti. Mentre Fatah si presenta così diviso, e con il suo leader Abu Mazen in costante calo di popolarità, il principale rivale Hamas si presenta alle elezioni con una lista di candidati unificata e ben organizzata.

Nei giorni scorsi i rappresentanti di Fatah hanno rilasciato una serie di dichiarazioni vaghe e contraddittorie nell’evidente tentativo di attribuire la colpa del potenziale rinvio delle elezioni alla questione del voto a Gerusalemme est, e dunque a Israele. “Non vogliamo posticipare le elezioni, ma il ritardo è possibile se la pressione internazionale su Israele non avrà successo”, ha affermato martedì l’assistente di Abu Mazen, Nabil Shaath. Dal canto suo, il vice primo ministro palestinese Nabil Abu Rudeineh ha dichiarato mercoledì che le elezioni si svolgeranno come previsto, ma poi ha subito aggiunto che il voto a Gerusalemme est è una linea rossa senza la quale le elezioni non si terranno. Hamas, nel frattempo, approfitta della confusione che regna in Fatah. “Rinviare le elezioni a causa del rifiuto di Israele di consentire il voto a Gerusalemme est equivale ad arrendersi al nemico” ha proclamato il vice capo di Hamas, Saleh al-Arouri. “Un rinvio delle elezioni – ha minacciato il capolista di Hamas, Khalil al-Hayya, secondo più potente leader a Gaza dopo Yahya Sinwar – causerebbe grande frustrazione nel popolo e fra i giovani, portando a gravi reazioni”.

Marwan Barghouti (a sinistra) fotografato nel carcere Hadarim di Ashkelon in compagnia del terrorista Samir Kuntar, personalmente responsabile della strage di una famiglia israeliana a Nahariya nel 1979, prima che quest’ultimo venisse scarcerato da Israele su ricatto Hezbollah

In conformità a quanto previsto dall’articolo VI dell’allegato II dell’Accordo ad interim israelo-palestinese del 1995, nelle precedenti elezioni del 1996, 2005 e 2006 “un certo numero di palestinesi di Gerusalemme” ha votato “attraverso servizi resi negli uffici postali di Gerusalemme in base alla loro capacità”. I voti sono stati poi inviati per posta alla Commissione Elettorale palestinese. Nel 1996, 5.367 residenti palestinesi di Gerusalemme est votarono in cinque uffici postali. Nelle elezioni del 2005 e del 2006 il numero degli uffici postali è stato portato a sei, con una capacità di 6.300 elettori. Il resto della popolazione araba palestinese votò nei seggi elettorali situati nei sobborghi della città. Peraltro, lo stesso Accordo ad interim del ’95 afferma anche che l’Autorità Palestinese non deve permettere la candidatura di soggetti che perseguono i loro obiettivi con mezzi illegali o non democratici. Il che, come è evidente, solleva qualche problema circa la candidatura di un personaggio come Marwan Barghouti per non dire di Hamas, considerata “organizzazione terrorista” non solo da Israele e Stati Uniti, ma anche da Canada, Giappone e Unione Europea.

La Commissione Elettorale palestinese afferma che, come per le elezioni passate, sono circa 6.300 i residenti di Gerusalemme est che voterebbero negli uffici postali, una procedura che richiede un accordo con Israele. Il resto dei circa 150.000 aventi diritto di Gerusalemme est, dice la Commissione, potrebbero votare nei sobborghi della città senza bisogno dell’accordo con Israele. “È improbabile che i circa 6.000 elettori di Gerusalemme est influenzino il risultato di un’elezione in cui sono chiamati a votare oltre 2,5 milioni di palestinesi in Cisgiordania e Gaza – osserva Ha’aretz – E si potrebbero anche trovare soluzioni alternative. Ma da giorni, alti esponenti palestinesi vanno ripetendo che è la posizione di Israele che rischia di far saltare le elezioni. Senza Gerusalemme non possiamo tenere le elezioni, ha detto Ahmed Majdalani, membro del Comitato Esecutivo dell’Olp”.

Non stupisce quindi che voci dall’interno della stessa Autorità Palestinese affermino che rimandare il voto rappresenta un tentativo da parte della leadership, e in particolare della fazione di Fatah, di evitare una sconfitta che porrebbe fine al lungo potere di Abu Mazen (recentemente entrato nel 17esimo anno di quello che doveva essere un mandato di 4 anni). Il candidato Nizar Banat della lista “Libertà e dignità”, arrestato più volte dalle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese per aver aspramente criticato Mahmoud Abbas e altri dignitari, ha detto a Media Line che, a causa di corruzione nepotismo e mancanza di un piano politico coerente, “la sconfitta di Abu Mazen è cosa sicura” e la questione di Gerusalemme è solo una malcelata giustificazione per evitare le elezioni. “La questione di Gerusalemme è una scusa che non convincerà nessuno – ha detto Banat – Si nascondono dietro a Gerusalemme”. Anche Nour Odeh, membro del Comitato direttivo della formazione “Assemblea Nazionale Democratica”, ha dichiarato a Media Line che la questione di Gerusalemme è una “scappatoia”.

Daniel Siryoti, Israel HaYom

Alcuni sondaggi d’opinione indicano che il 65% dei palestinesi è favorevole allo svolgimento di elezioni anche in mancanza di un accordo con Israele sullo svolgimento del voto a Gerusalemme est. D’altra parte, secondo gli stessi sondaggi solo il 42% dei palestinesi si aspetta che le elezioni siano libere e corrette.

Se molti esponenti palestinesi affermano esplicitamente che annullare le elezioni incolpando Israele offre ad Abu Mazen un modo ideale per uscire dall’angolo in cui si è infilato, a porte chiuse quegli stessi esponenti aggiungono che la situazione è più complicata. Recentemente si è saputo di visite a Ramallah di delegazioni d’alto rango dei servizi di intelligence e di sicurezza egiziani e giordani che stanno facendo pressione per un annullamento delle elezioni perché sono molto preoccupati che Hamas possa prendere il potere nell’intera Autorità Palestinese. “Che fortuna per i palestinesi avere sempre Israele a cui dare la colpa per sottrarsi alle loro responsabilità”, conclude Daniel Siryoti su Israel HaYom.

(Da: YnetNews, Ha’aretz, honestreporting.com, Israel HaYom, israele.net, 21-22.4.21)