Domanda: che attendibilità hanno i reportage da Gaza?

Palestinesi intervistati sotto un regime del terrore, giornalisti stranieri minacciati. Solo alcuni osano twittare: Hamas usa scudi umani

Diversi giornalisti occidentali che operano nella striscia di Gaza sono stati intimiditi e minacciati da Hamas per aver documentato casi in cui il gruppo terroristico coinvolge i civili nella guerra contro Israele. Ma a quanto pare, i mass-media internazionali si lasciano intimidire, non riferiscono quasi mai di queste minacce e non informano i loro lettori delle costrizioni in cui sono costretti a lavorare. Lo hanno sottolineato di recente due servizi su Times of Israel e Jerusalem Post.

E’ il caso ad esempio di fotoreporter che avevano scattato immagini di uomini di Hamas colti in circostanze compromettenti (miliziani che si apprestavano a sparare razzi dall’interno di strutture civili o che combattevano in abiti civili) e che per questo sono stati avvicinati da uomini di Hamas che li hanno pesantemente minacciati, sequestrando loro attrezzature e materiale.

A Gerusalemme sottolineano che incidenti di questo genere dimostrano come il regime dittatoriale di Hamas non si faccia scrupolo di ricorrere alla violenza per controllare le informazioni in uscita da Gaza e intimidire i giornalisti che cercano di riferire in modo obiettivo sul conflitto. “Non abbiamo alcun dubbio che Hamas, con la coercizione e la violenza, limita pesantemente la libertà dei giornalisti stranieri a Gaza – ha confermato un rappresentante israeliano a Times of Israel – Aggirarsi per le strade di Gaza con una macchina fotografica chiedendo alle persone cosa pensano non è come camminare in giro per New York o Londra. La gente non è libera di dire quello che pensa veramente. Sarebbe come chiedere ai siriani in zone controllate dal governo di Damasco se gli piace il presidente Assad”.

Il lavoro dei giornalisti è decisamente limitato. Un esempio è l’ospedale Shifa di Gaza. “Sappiamo che nel seminterrato c’è un vero e proprio centro di comando e controllo di Hamas e che vi si nascondono i capi del’organizzazione. A nessun giornalista è permesso andare al piano di sotto. Hanno solo il permesso di lavorare al piano di sopra per scattare immagini delle vittime”.

L'immagine postata dal corrispondente del Wall Street Journal Nick Casey di un funzionario di Hamas che usa l’ospedale Shifa per dare interviste ai mass-media

L’immagine postata dal corrispondente del Wall Street Journal Nick Casey di un funzionario di Hamas che usa l’ospedale Shifa per dare interviste ai mass-media

“Shifa in effetti è diventato un quartier generale de facto per i capi di Hamas, che possono essere visti aggirarsi per corridoi e uffici”, ha riferito il Washington Post lo scorso 15 luglio. Il corrispondente dal Medio Oriente del Wall Street Journal, Nick Casey, aveva scritto su Twitter che Hamas usa Shifa “come un luogo sicuro dove incontrare i media”, ma il post è stato repentinamente cancellato.

La scorsa settimana un corrispondente per il quotidiano locale Ouest France ha detto al quotidiano francese Libération di essere stato perquisito, interrogato e minacciato da uomini di Hamas, armati ma in abiti civili, in quello che aveva tutta l’aria di essere un loro ufficio all’interno dell’ospedale Shifa “a pochi metri dal pronto soccorso dove arrivavano i feriti”. Alla fine al giornalista, che ha famiglia a Gaza, è stato intimato di smettere di lavorare e di andarsene da Gaza. L’articolo è stato successivamente rimosso dal sito di Libération, su richiesta del giornalista stesso.

I fotografi che documentano palestinesi armati che combattono in abiti civili e terroristi che sparano razzi da dentro le scuole vengono regolarmente minacciati da Hamas, conferma la fonte israeliana. Che aggiunge: “Ogni volta che sono qui in Israele, i giornalisti stranieri lamentano restrizioni e censure. Ma quando subiscono le intimidazioni a Gaza, hanno troppa paura per dire qualcosa e tutto finisce sotto al tappeto”. La scorsa settimana Reporters sans frontières (Giornalisti senza frontiere), un gruppo che difende la libertà di stampa e di informazione, ha pubblicato un lungo articolo sul conflitto di Gaza molto critico verso Israele, in cui non si faceva il minimo cenno al comportamento di Hamas verso i giornalisti stranieri a Gaza. (Da: Times of Israel, 28.7.14)

In un mare di informazione filtrata, solo alcuni si arrischiano a raccontare qualche scomoda verità.

Queste alcune delle corrispondenze che hanno attirato sui giornalisti le minacce di Hamas.

Mercoledì scorso, Peter Stefanovic dell’australiana Channel Nine News, ha scritto su Twitter: “Razzi di Hamas appena lanciati al di sopra del nostro hotel da un sito a circa duecento metri di distanza: praticamente un sito di lancio di missili alla porta accanto”.

John Reed, capo dell’ufficio di Gerusalemme del Financial Times, ha riferito d’aver visto “due razzi sparati verso Israele dai pressi dell’ospedale al-Shifa anche mentre venivano portate dentro delle vittime di bombardamenti”.

Il twitter di Janis Mackey Frayer, della canadese CTV

Il corrispondente del Wall Street Journal Nick Casey ha twittato martedì la foto di un funzionario di Hamas che usa l’ospedale Shifa per dare interviste ai mass-media, commentando: “Bisogna chiedersi come si sentono i pazienti mentre Hamas usa l’ospedale Shifa come come luogo sicuro in cui concedere interviste”. Il giorno successivo il tweet era già  cancellato, ma gli account Twitter filo-Hamas hanno continuato a includerlo nella lista dei “giornalisti che a Gaza fabbricano bugie e passano informazioni a Israele” e che per questo “devono essere perseguiti”.

Domenica Janis Mackey Frayer, corrispondente della CTV canadese, ha scritto su Twitter d’aver visto nel quartiere Shejaiya di Gaza “diversi uomini armati di Hamas, uno coperto con un foulard da donna e l’arma che spuntava da sotto la mantella”. Anche lei è finita sulla lista dei giornalisti “perseguiti” da Hamas.

Anche Patrick Martin, del Globe and Mail, ha twittato il 20 luglio d’aver visto a Shejaiya “almeno due militanti armati travestiti da donna con le armi parzialmente nascoste sotto le vesti, mentre un altro portava l’arma stretta al petto, avvolta in una coperta, come se fosse un bebè”.

Il twitter di Sophia Jones, di

Il twitter di Sophia Jones, di Huffington Post

In una corrispondenza del Washington Post del 17 luglio si poteva leggere: “Durante la pausa, alcuni uomini in una moschea nel nord di Gaza hanno detto d’essere tornati per ripulire i vetri delle finestre in frantumi per il bombardamento del giorno precedente. Ma si poteva vedere che spostavano dei razzi all’interno della moschea”.

Il 21 luglio il corrispondente del quotidiano giapponese Mainichi ha scritto: “Hamas accusa Israele di massacrare civili. D’altra parte cerca di usare civili sfollati e giornalisti, fermandoli e usandoli come scudi umani. La tattica di Hamas degli scudi umani mira anche ai giornalisti. Ad un valico [di frontiera] hanno fermato una ventina di giornalisti che volevano uscire, dicendo che Israele aveva chiuso il valico. Ma quando ho telefonato al personale del valico delle Forze di Difesa israeliane mi hanno detto: ‘Non ci sono attacchi e siamo aperti come sempre’. Mentre ne stavamo discutendo, uomini di Hamas hanno gridato: ‘Fra cinque minuti gli israeliani bombarderanno, tornate subito tutti a Gaza’. E i giornalisti sono tornati tutti a Gaza. Anche durante il conflitto con Israele del novembre 2012 Hamas aveva chiuso i valichi in uscita”.

Anche Sophia Jones, corrispondente dal Medio Oriente per Huffington Post, ha twittato il 15 luglio: “Giornalisti, e pazienti palestinesi gravi che vorrebbero essere curati in Israele, sono bloccati a Gaza perché ora Hamas ha chiuso il confine”. (Da: Jerusalem Post, 24.7.14)

Libertà d’espressione a Gaza? Una video-intervento di Yarden Frankl, di HonestReporting

Traduzione: «Ho una domanda da porvi circa i reportage dei mass-media sul conflitto a Gaza. E la risposta a questa domanda non dipende da cosa pensate circa il conflitto. Ecco la domanda: pensate veramente che i civili palestinesi che vivono a Gaza si sentono a proprio agio nel parlare apertamente con i corrispondenti stranieri? Che si sentano a proprio agio nel criticare Hamas davanti ai giornalisti? Ci sono molti reporter a Gaza: nonostante i pericoli, ci sono giornalisti che intervistano i palestinesi per la strada. Ma la vera domanda è: quanto valgono quelle interviste? La gente non avrà paura di un regime che arresta, tortura ed anche uccide gli oppositori politici? Non è che magari la gente ci pensa due volte prima di criticare Hamas? Un articolo del New York Times dice: “Gli abitanti di Gaza non accennano a tale minaccia”, cioè l’idea che Hamas minacci la gente di non lasciare le case quando Israele avverte prima di colpire. “Gli abitanti di Gaza non menzionano tale minaccia come un fattore, anche se alcuni di loro dicono di non sentirsi liberi di criticare Hamas”. Alcuni. Dunque il New York Times è convinto che la maggior parte dei civili palestinesi si sente perfettamente a proprio agio nel criticare Hamas. Io non la bevo. L’Independent: “Alcuni abitanti di Gaza ammettono che hanno paura di criticare Hamas ma nessuno dice d’essere costretto da quell’organizzazione a restare nei luoghi pericolosi a fare da scudi umani”. Nessuno lo dice. In altre parole, a tutti sta bene Hamas e vanno volentieri di propria spontanea volontà ad ammassarsi nei luoghi che Israele ha annunciato che attaccherà in quanto roccaforti di Hamas? Di nuovo: qui non importa cosa pensate del conflitto. La domanda è: forse che è giornalismo obiettivo e responsabile intervistare la gente in posti dominati da terroristi che non tollerano nessun dissenso?»