Donne spietate, restituite a una società misogina

Assassine fiere di esserlo, saranno accolte come eroine, poi usate ed emarginate.

Di Yoram Schweitzer

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Le terroriste palestinesi Amana Muna e Ahlam Tamimi

Nella marea di parole e immagini che hanno inondato la stampa israeliana da quando è apparsa la notizia dell’imminente ritorno di Gilad Shalit in cambio della scarcerazione di 1.027 detenuti palestinesi, vi sono almeno due terroriste donne che spiccano sopra alle altre: Amana Muna, di Fatah, e Ahlam Tamimi, di Hamas.
Amana Muna è stata la mente dietro all’assassinio nel gennaio 2001 dell’adolescente israeliano Ofir Rahum; Ahlam Temimi è colei che nell’agosto 2001 condusse alla pizzeria Sbarro di Gerusalemme l’attentatore suicida che, facendosi esplodere nel locale, uccise 15 israeliani e ne ferì e mutilò molti altri. In Israele, la scarcerazione di queste due terroriste sta suscitando vivissima emozione giacché, con il loro atteggiamento tutt’altro che pentito, sono diventate l’emblema stesso dei terroristi che ispirano un senso di ripugnanza e il legittimo desiderio di vederli scontare il resto della vita in prigione per la spietatezza delle loro attività omicide. In base all’accordo di scambio, entrambe verranno espulse: Amana Muna nella striscia di Gaza e Ahlam Tamimi in Giordania.
Nell’ambito di un progetto che ho condotto nelle carceri israeliane, ho avuto lunghe conversazioni con entrambe.
Oltre ad essere una donna giovane e intelligente, Amana Muna si è rivelata una personalità manipolatrice dotata di un ego più grande dell’intero problema palestinese che pretende di rappresentare. Durante gli incontri che abbiamo avuto, i suoi sbalzi d’umore erano facilmente identificabili. Accanto alle sue vergognose dichiarazioni a difesa del suo “diritto” di assassinare i suoi nemici, compreso un adolescente innocente attirato via internet in un agguato mortale dalle sue profferte sentimental-sessuali, ella cercava comunque di convincermi di non essere il mostro che la considerano gli israeliani. Il problema di Amana Muna è che non sono solo gli israeliani a vederla come un mostro. La considerano tale anche le sue compagne di detenzione. Ella esercita un controllo col pugno di ferro sulle detenute del suo braccio come una sorta di Al Capone. Diverse detenute che si sono rifiutate di obbedire ai suoi ordini hanno subito pesanti conseguenze: per aver osato sfidare il suo comando alcune le ha morse selvaggiamente, altre sono state ustionate con la cera bollente. La sua famigerata crudeltà non è passata inosservata. Molti membri di Fatah, compreso il suo complice, facevano fatica a difendere, davanti a me, i suoi comportamenti. Hamas ha persino promesso di “sistemare le cose” con lei, dopo la sua scarcerazione. Anche se ciò non è di conforto per la famiglia Rahum e per i cittadini di Israele, all’inizio Muna sarà pure accolta come un’eroina nella striscia di Gaza controllata da Hamas, ma la sua sorte potrà poi rivelarsi non tanto radiosa. Chiaramente non troverà molto conforto, alla luce dei suoi ingiuriosi comportamenti in prigione.
Ahlam Temimi, dal canto suo, è sempre stata orgogliosa del fatto di essere stata la prima “combattente” donna di Hamas: piazzò dentro una bottiglia una carica esplosiva da lei approntata e la mise sullo scaffale di un supermercato. Essendo titolare di una tessera da giornalista, poteva muoversi liberamente per tutta Gerusalemme e raccogliere informazioni su potenziali obiettivi per gli attentati di Hamas. E infatti condusse personalmente l’attentatore suicida sul luogo da lei scelto, la pizzeria Sbarro, perché diceva che vi si trovavano “molti ebrei estremisti”. Nei nostri incontri mi parlava mantenendo un atteggiamento di compostezza glaciale e provocatoria, caratteristica di tutto il suo atteggiamento. L’unica preoccupazione che espresse in tutte le nostre conversazioni, durante le quali raccontò la sua storia con fare sprezzante, riguardava la possibilità d’essere espulsa in Giordania, come poi è stato deciso nell’accordo di scambio. [In un’intervista mandata in onda venerdì scorso dal Canale 2 della tv israeliana, alla domanda se fosse dispiaciuta per quello che ha fatto, Ahlam Tamimi rispondeva senza la minima esitazione: “No, perché mai dovrei essere dispiaciuta?”. E alla domanda: “Lo rifaresti, se ne avessi la possibilità?”, rispondeva semplicemente: “Sì”.]
Durante la detenzione, Temimi si è fidanzata con suo cugino, anch’egli detenuto in Israele, e ora rischia di restare “single”. A differenza di Mona, ci si aspetta che venga arruolata dalla macchina della propaganda di Hamas per la sua persuasiva abilità oratoria. Potrebbe anche diventare una Leila Khaled di Hamas (la dirottatrice di Fatah divenuta un’icona della lotta violenta per la causa palestinese).
Mona, Temimi e Kahira al-Saadi – un’altra detenuta, madre di quattro figli, condannata all’ergastolo per il suo ruolo nella realizzazione di stragi suicide – sono considerate eroine dalla stampa araba. Ciò nonostante è probabile che anche’sse siano destinate a portare il fardello delle altre donne “macchiate” dal periodo trascorso in carcere, cosa molto comune nelle società fortemente tradizionaliste come quella da cui esse provengono e verso cui fanno ritorno. È anche assai probabile che siano destinate ad apprendere presto quanto sarà grande la distanza fra la loro eroica immagine pubblica e la realtà quotidiana delle loro vite.
Forse si può trovare qualche conforto nel fatto che, perlomeno nel loro caso, il danno causato dalla loro scarcerazione sarà limitato alla sfera simbolico-emotiva, mentre il concreto rischio per la sicurezza connesso al loro rilascio sarà molto basso o inesistente.

(Da: YnetNews, 16.10.11)

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