Dopo Annapolis, che ne sarà di Gaza?

La politica di difesa israeliana stretta nei dilemmi provocati dal terrorismo palestinese

Da un articolo di Aluf Benn

image_1906Negli ultimi anni sono confluiti nella striscia di Gaza controllata da Hamas terroristi da Iran, Libano, Siria ed Egitto, e insieme a loro sono impunemente affluite, attraverso il confine con l’Egitto – che le Forze di Difesa israeliane furono costrette ad abbandonare al “controllo” di osservatori internazionali – armi moderne, ingenti somme di denaro ed enormi quantità di materiale di indottrinamento anti-israeliano e antisemita. Gli ex insediamenti israeliani e le loro serre sono stati trasformati in basi d’addestramento paramilitare e postazioni per il lancio di razzi e granate verso Israele. Attualmente sono circa 40.000 gli israeliani che vivono sotto il lancio quotidiano di missili Qassam e granate di mortaio palestinesi dalla striscia di Gaza. A Sderot, quasi un abitante su due ha temporaneamente abbandonato la città. Nel frattempo, i 15.000 uomini di Hamas addestrati in Iran, che formano la milizia creata dopo il ritiro israeliano del 2005, continuano a migliorare la loro dotazione di missili e mortai incrementandone la gittata, sicché almeno altri 250.000 israeliani – abitanti di Ashkelon, Kiryat Gat, Netivot, Ashdod – sanno di essere destinati a diventare a breve la prima linea sotto gli attacchi da Gaza.
(Da: Jerusalem Post, 15.11.07)

Scrive, a questo proposito, Aluf Benn su Ha’aretz:
Dopo il summit di Annapolis non vi saranno più scuse e le Forze di Difesa israeliane potranno imbarcarsi in un’ampia operazione di terra nella striscia di Gaza. Prima si diceva che c’era troppa tensione nel nord per aprire un altro fronte al sud. Poi, che non si poteva mettere a repentaglio i preparativi per la conferenza di pace. Ma la situazione a Gaza non ha fatto che peggiorare e col passare del tempo il nemico diventa sempre più forte. È giunta l’ora di entrare, fermare l’intollerabile fuoco dei Qassam, impedire alle organizzazioni terroristiche di rafforzarsi ulteriormente e far cadere la giunta di Hamas. Cosa si aspetta? Che i missili raggiungano Ashdod o addirittura Rishon Letzion?
D’altra parte, il momento potrebbe essere assai problematico anche dopo Annapolis. La leadership politica israeliana non vorrà mettere a soqquadro i negoziati sulle “questioni centrali” e la soluzione stessa del conflitto con fotografie di carri armati che entrano fra i bambini dei campi palestinesi, sotto gli occhi di tutto il mondo.
Inoltre, la leadership politica dovrà fare una scelta: o mobilitare i riservisti per un’operazione incisiva e completa in un lasso di tempo limitato; oppure dividere la striscia di Gaza in tre parti con le forze regolari, mettendo in conto di restarvi per un’operazione anti-terrorismo assai più prolungata. Le forze armate sono state intensivamente addestrate, dopo la guerra anti-Hezbollah in Libano dell’estate 2006, e sono pronte per una “Operazione Scudo Difensivo Due” nella striscia di Gaza. Aspettano solo l’ordine di partire.
Tuttavia, una nuova invasione di Gaza mostrerebbe che Israele non è in condizione di difendersi all’interno dei propri confini, il che metterebbe virtualmente fine alla prospettiva di un accordo di pace fondato sulla formula dei due stati, uno accanto all’altro. L’Operazione Scudo Difensivo in Cisgiordania è al suo sesto anno e le Forze di Difesa israeliane sono ancora dentro Nablus e Jenin. È impossibile invadere, ripulire dal terrorismo e ritirarsi all’interno della Linea Verde se non resta sul terreno una forza responsabile. Chiunque non voglia restare impantanato a Gaza per diciotto anni, come accadde nel Libano meridionale, deve avere chiaro in mente un “punto d’uscita” prima di entrare.
Secondo logica, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) – che si presume parli a nome di tutti i palestinesi – dovrebbe assumere la responsabilità anche per la striscia di Gaza. Israele potrebbe far cadere la giunta di Hamas, capi come Ismail Haniyeh e Mahmoud Zahar verrebbero arrestati o uccisi, e il governo dell’Autorità Palestinese verrebbe invitato a riprendere il controllo del territorio. Israele caccerebbe i terroristi da Khan Yunis e Rafah facendo schierare al loro posto poliziotti palestinesi, come sta facendo oggi a Nablus.
Ma questo è appunto il problema. Abu Mazen e il suo primo ministro Salam Fayad sono ottimi interlocutori per i colloqui di pace e per le conferenze internazionali, ma non dispongono di forze di sicurezza in grado di garantire legge e ordine e contrastare attacchi e attentati. Fino a quando non c’è una forza di questo genere, Israele non potrà ritirarsi dalla Cisgiordania né avrà alcun modo di ritirarsi da un’eventuale incursione nella striscia di Gaza. Non esiste una forza internazionale disposta ad entrare a Gaza analogamente a quanto fatto nel Libano meridionale, dove comunque anche l’Unifil sopravvive solo finché si mantiene sotto la “protezione” di Hezbollah.
Riassumendo: nonostante la crescente frustrazione per i continui lanci di Qassam sui civili israeliani, il flussi di armi verso Gaza e il miglioramento delle capacità di combattimento di Hamas, gli argomenti che depongono contro un’incursione di terra della striscia di Gaza sono ancora troppo forti, agli occhi del primo ministro israeliano Ehud Olmert e del ministro della difesa Ehud Barak. Si intravedono solo tre scenari che potrebbero alterare questa valutazione: un attacco di Qassam particolarmente grave e sanguinoso con o senza un’ondata di attentati terroristici che metterebbero il governo di Gerusalemme sotto forte pressione da parte dell’opinione pubblica israeliana; lo scoppio di un conflitto regionale; oppure un subitaneo, inopinato rafforzamento di Abu Mazen e dei suoi seguaci.

(Da: Ha’aretz, 8.11.07)

Nella foto in alto: Abitazione di Sderot centrata da un Qassam palestinese