Dopo Erekat, i palestinesi hanno bisogno di una leadership completamente diversa

I paesi arabi del Golfo hanno capito che i capi palestinesi non prendono sul serio la ricerca della pace e non sono più disposti a lasciare che blocchino ogni normalizzazione con Israele

Editoriale del Jerusalem Post

Saeb Erekat (a sinistra) con il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen

Saeb Erekat, uno dei più eminenti leader palestinesi, deceduto martedì scorso a causa del coronavirus, era un diplomatico esperto che ha rappresentato più di chiunque altro la posizione negoziale palestinese verso Israele negli ultimi tre decenni, da quando entrò a far parte della delegazione giordano-palestinese alla Conferenza di Madrid del 1991. Nel 2015 venne nominato capo negoziatore dell’Autorità Palestinese, mentre ricopriva anche la carica di Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina).

Da molti è considerato un uomo che si è battuto per la pace. Mentre altri palestinesi assumevano una posizione più aggressiva e violenta, Erekat è sempre stato una voce a sostegno del proseguimento dei negoziati con Israele, continuando a sottolineare l’importanza di adottare tattiche non violente. D’altra parte, Erekat era parte integrante di un’amministrazione palestinese che ha costantemente cercato di minare la legittimità di Israele e, sulla scena internazionale, è stato uno dei più virulenti accusatori di Israele a cui attribuiva terribili crimini di guerra e che cercava sempre di trascinare davanti alla Corte Penale Internazionale. Non è esattamente il modo migliore per far avanzare i negoziati di pace. Ma forse ora, dopo la scomparsa di Erekat, potrebbe avvenire un cambiamento nell’Autorità Palestinese e nel movimento nazionale palestinese.

Nato ad Abu Dis, un sobborgo di Gerusalemme, Erekat apparteneva all’epoca del subentro di quella che venne definita la “seconda generazione dell’Olp”, dopo la generazione dei fondatori che aveva dato avvio alle attività in Giordania e poi si era trasferita a Beirut e Tunisi. Erekat faceva parte del gruppo che ha plasmato gli accordi di Oslo, firmati alla Casa Bianca nel 1993.

Saeb Erekat (a destra) con Yasser Arafat, mentre l’allora primo ministro israeliano Ehud Barak (seduto a sinistra) firma il Memorandum di Sharm El-Sheikh del 1999

Era la generazione che salì al potere con l’arrivo in Cisgiordania e nella striscia di Gaza dell’allora capo dell’Olp Yasser Arafat, e che si sarebbe dovuta impegnare nella costruzione delle basi e delle istituzioni per un futuro stato palestinese indipendente. Altri membri di questo gruppo includono Riad Malki, Hanan Ashrawi e Salam Fayyad: politici palestinesi tradizionali che, nonostante siano moderati e contrari al terrorismo, continuano ad alimentare false narrazioni e aspettative come il cosiddetto “diritto al ritorno” per i profughi palestinesi, che in realtà impedisce ai profughi (e ai loro discendenti) di migliorare la propria vita incatenandoli al miraggio di potersi insediare un giorno all’interno del territorio di Israele 1948.

Diciamo la verità. Questa generazione di leader palestinesi non ha saputo gettare le adeguate fondamenta e le infrastrutture necessarie per uno stato palestinese. Non ha saputo creare istituzioni funzionanti e responsabili che potessero servire a un paese che approda all’indipendenza. E non ha saputo smantellare i gruppi terroristici che si sono già impadroniti della striscia di Gaza e rappresentano una costante minaccia alla stabilità dell’attuale regime di Ramallah guidato da Abu Mazen.

I recenti accordi di pace tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein mettono in luce questo fallimento. I paesi arabi del Golfo hanno capito che i palestinesi non prendono sul serio la ricerca della pace e non sono più disposti a lasciare che i palestinesi blocchino ogni normalizzazione con Israele.

Uno sguardo alle istituzioni sioniste che precedettero la nascita dello stato d’Israele e alle attuali istituzioni palestinesi dice tutto. Le istituzioni ebraiche erano pragmatiche, democratiche, disposte a fare dolorose concessioni pur di conseguire il chiaro obiettivo su cui erano concentrate: istituire uno stato ebraico indipendente. Le istituzioni palestinesi, all’opposto, sono corrotte, si rifiutano di prendere decisioni difficili e sono per lo più riluttanti a fare le minime concessioni necessarie. L’attuale dirigenza dell’Autorità Palestinese ha costretto i palestinesi a dipendere dagli aiuti esteri, in particolare dall’Unrwa che ha in mano le redini di sanità, istruzione, abitazioni e servizi assistenziali nei territori controllati dall’Autorità Palestinese.

Perché la pace sia possibile è necessaria una nuova, energica dirigenza palestinese che si concentri sulla creazione e sullo sviluppo di un’economia da XXI secolo, salda e funzionante, che possa sostenere la propria popolazione. E’ tempo di guardare avanti a un nuovo Medio Oriente. Nuove relazioni sarebbero possibili con una nuova generazione di leader palestinesi. È ora di cambiare.

(Da: Jerusalem Post, 12.11.20)