Dopo Kabul, Baghdad?

Gli americani sono determinati a ritirarsi entro l’anno dall'Iraq, che è la vera porta dell'Iran verso il Mediterraneo e per il controllo della regione che circonda Israele

Di Eyal Zisser

Eyal Zisser, autore di questo articolo

L’importanza dell’incontro tra il presidente degli Stati Uniti Biden e il primo ministro Bennett sta nel fatto che ha avuto luogo. È positivo che i due leader si parlino e si scambino opinioni, ed è positivo sentire il presidente americano che ribadisce il suo impegno verso le esigenze di sicurezza d’Israele.

Ma nonostante i sorrisi e le strette di mano, dall’incontro non è emerso nulla di concreto circa la minaccia iraniana. Il presidente Biden ha fatto vaghe promesse sul ricorso ad “altre opzioni” se quella diplomatica dovesse fallire, ma sono cose già sentite. Quando poi è arrivato il momento critico, come è accaduto ad esempio nel 2007 con il programma nucleare iraniano e il presidente siriano Bashar Assad che voleva costruirsi un reattore nucleare, gli americani si sono rifiutati di accettare le valutazioni israeliane e hanno sostenuto che l’Iran e la Siria non avevano piani per lo sviluppo di armi nucleari, e che in ogni caso non c’era motivo per agire contro di loro.

Inoltre, va detto che la questione nucleare iraniana non è l’unico argomento all’ordine del giorno, e nemmeno quello più immediato come invece spesso viene descritto. Certo, è di grande importanza a medio termine, e nel frattempo possiamo “contare” sugli iraniani che continuano con il loro gioco del gatto col topo e del rischio calcolato senza spingersi troppo oltre. Al punto in cui siamo, possono diventare una potenza nucleare da un giorno all’altro e non hanno interesse a scoprire le carte sulle loro intenzioni, poiché la continua ambiguità garantisce loro un utile cuscinetto nelle loro relazioni internazionali.

Rappresentazione schematica della “mezzaluna” a egemonia iraniana (in rosso) contrapposta al blocco dei paesi sunniti (in verde). A destra, l’ayatollah Ali Khamenei, Guida Suprema dell’Iran

Intanto, però, i loro occhi sono puntati su obiettivi altrettanto immediati e altrettanto importanti: assicurarsi influenza e controllo sull’area che circonda Israele in un modo che permetta loro di allestirvi una presenza militare. Gli attentati terroristici a Kabul e la presa del potere da parte talebana che li ha preceduti hanno riportato lo Stato Islamico al centro dell’attenzione degli Stati Uniti. Ma l’Isis è una molestia, non una minaccia strategica. I satelliti dell’organizzazione rimangono attivi in tutto il mondo e la sua ideologia ispira singoli terroristi a commettere attentati suicidi. Ma i talebani non hanno alcun bisogno di un concorrente ancora più estremista e possono agire per annientarlo come ha fatto Hamas quando i sostenitori dell’Isis avevano fatto la loro comparsa nella striscia di Gaza.

L’Iran, al contrario, sta promuovendo un piano ben organizzato che mira a prendere il controllo della Mezzaluna Fertile, fino alle sponde del Mar Mediterraneo. Il Libano e Gaza sono sotto la sua influenza, e in Siria sta conducendo feroci battaglie contro gli sforzi per bloccarlo messi in atto – finora con successo – da Israele. Ma la chiave di tutta l’operazione era e rimane l’Iraq. Gli americani, ha assicurato il presidente Biden, sono determinati a ritirarsi dall’Iraq entro la fine di quest’anno. Possiamo presumere che Biden manterrà la sua promessa, e che non verrà dissuaso nemmeno dal timore che si ripeta a Baghdad il fiasco della ritirata dall’Afghanistan. Ma l’Iraq non cadrà nelle mani dei talebani o dell’Isis. L’Iraq sarà preso dalle milizie sciite sostenute dall’Iran. Gli americani sperano ancora che un numero sufficiente di sciiti iracheni si opponga all’Iran, perché l’Iran non è un paese arabo e la sua ideologia religiosa non è per loro accettabile. Ma la determinazione di Washington a ritirarsi dall’area mette il vento nelle vele degli iraniani, mentre gli eventi in Afghanistan e l’ascesa delle forze sunnite estremiste potrebbero spingere gli sciiti iracheni tra le braccia dell’Iran.

È vero, dobbiamo tenere d’occhio l’Iran e le azioni segrete, di cui faremmo bene a parlare il meno possibile, che ritardano il suo progresso verso le armi nucleari. Ma nell’immediato la battaglia contro i tentativi di Teheran di prendere il controllo della regione e circondare Israele dovrebbe essere estesa all’Iraq, la vera porta dell’Iran verso il Mediterraneo, a un tiro di schioppo – meglio: di missili e di droni – da Israele.

(Da: Israel HaYom, 30.8.21)