Dottrina Begin e Opzione Sansone

Lo spauracchio nucleare israeliano resta necessario per la sicurezza di Israele. Di più, è necessario per la stabilità di tutta la regione

Di Marco Paganoni

Giugno 1981, i piloti israeliani al rientro dalla missione contro il reattore nucleare iracheno

Con l’attacco aereo contro l’impianto di Osirak del giugno 1981, Israele impedì all’Iraq di Saddam Hussein di acquisire la bomba atomica, e nel settembre 2007 impedì alla Siria di Bashar Assad di sviluppare l’atomica attaccando l’impianto di Al Kibar. A quanto è dato sapere, inoltre, da parecchi anni in qua Israele ostacola e ritarda l’atomica iraniana con una serie di operazioni a vari livelli, dal malware Stuxnet (sviluppato con gli Stati Uniti), che negli anni precedenti il 2010 avrebbe infettato più di 200mila computer iraniani mettendo fuori uso un migliaio di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, fino alle morti misteriose di una mezza dozzina di scienziati nucleari iraniani culminate nell’uccisione, lo scorso 27 novembre, del capo del programma nucleare militare di Teheran, Mohsen Fakhrizadeh: tutte mai rivendicate, ma comunamente attribuite al Mossad. E’ la cosiddetta Dottrina Begin, enunciata nell’81 dall’allora primo ministro israeliano: “In nessun caso permetteremo a un nemico di sviluppare armi di distruzione di massa contro il popolo d’Israele: difenderemo i cittadini di Israele in tempo utile e con tutti i mezzi a nostra disposizione”.

Dal momento che Israele è ampiamente ritenuto, a sua volta, una potenza nucleare, la sua posizione viene spesso condannata come illegale ai sensi del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, e illegittima sul piano politico e persino morale. Alle critiche, fanno seguito costanti appelli a spogliare Israele delle sue (presunte) capacità nucleari in nome di un Medio Oriente denuclearizzato e come tale – si sostiene – più stabile e pacifico.

Sul tema conviene dunque fare chiarezza. Il nucleare israeliano, quello ad uso civile, non è un segreto: sono noti i due principali impianti di ricerca (Dimona e Sorek); la Commissione Israeliana per l’Energia Atomica, fondata nel 1952 da David Ben Gurion, è presente con indirizzo e recapiti sul sito del governo; Israele collabora da sempre con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ed è firmatario di vari accordi internazionali come la “Convenzione sulla tempestiva notifica di incidente nucleare” (entrata in vigore nel 1986, dopo il disastro di Chernobyl), la “Convenzione per la protezione fisica dei materiali nucleari” (entrata in vigore nel 1987), la “Convenzione sull’assistenza in caso di incidenti nucleari o di emergenza radiologica” (ratificata da Gerusalemme nel 1989).

Propaganda in Iran: “Israele deve essere cancellato dal mondo”

Le cose stanno in modo assai diverso per quanto riguarda il nucleare militare. Su questo, sin dai primi anni ’60 Israele persegue quella che viene definita una strategia di intenzionale “ambiguità” o “opacità” (amimut). In altri termini, le autorità ufficialmente non smentiscono né confermano l’esistenza di un programma israeliano per armi nucleari, limitandosi a ribadire che Israele “non sarà il primo paese a introdurre armi nucleari in Medio Oriente”. Il punto è che Israele, quand’anche non avesse bombe atomiche pronte negli arsenali, ha tutto l’interesse che i suoi nemici giurati, quelli che lo vedrebbero volentieri cancellato dalla carta geografica, siano fermamente convinti che non solo ne disponga, ma che sia pronto ad usarle: eventualmente anche come ritorsione “automatica” dopo aver subìto un “primo colpo” non convenzionale, verosimilmente devastante. E’ la ben nota Opzione Sansone (cfr. Giudici 16:30), che promette ritorsioni terrificanti contro chiunque attenti all’esistenza stessa dello stato ebraico e della sua popolazione. Ecco perché Israele fa sapere volentieri che dispone di aerei, missili e sottomarini potenzialmente capaci di colpire (anche con armi nucleari) qualunque nazione che avesse la malaugurata idea di attaccare in quel modo Israele. Il messaggio è implicito ma preciso: i nemici che volessero infliggere un attacco mortale a Israele, con armi convenzionali o non convenzionali, sappiano che il prezzo da pagare sarebbe molto più alto di quanto non siano disposti a rischiare. Insomma, deterrenza allo stato puro.

D’altra parte Israele, anche nel caso abbia davvero l’atomica, non ha interesse a rivelarla formalmente, né ad esibirla minacciando sfracelli da superpotenza (come facevano a loro tempo sovietici e americani) onde non offrire un pretesto ufficiale a paesi mediorientali che non aspettano altro per dotarsi di armi non convenzionali, né incorrere nella sanzione dei paesi alleati, in primo luogo gli Stati Uniti. Insomma, nel caso della deterrenza nucleare gli israeliani hanno messo da parte la loro tradizionale chutzpah (sfrontatezza) per gestire con estrema discrezione e misura l’arma “potenziale” per antonomasia.

Sul piano del diritto internazionale, l’ambiguità israeliana è paradossalmente protetta proprio dal Trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Per due motivi. Primo, perché il (presunto) programma nucleare militare israeliano risale a prima che il Trattato entrasse in vigore (1970) e addirittura a prima che venisse scritto (1968). In questo senso Israele (come le potenze ufficiali del club nucleare) non ha violato l’ingiunzione contenuta nel Trattato a “non diffondere armi nucleari e tecnologia nucleare militare” dalla sua entrata in vigore in poi.

Si dice che una volta Golda Meir rispose a un giornalista: “Se voi pensate che abbiamo la Bomba e i nostri nemici pensano che abbiamo la Bomba, è davvero importante se ce l’abbiamo oppure no?”

In secondo luogo perché Gerusalemme non ha mai firmato il Trattato di Non Proliferazione: e non lo firma non perché non ne condivida in linea di principio le finalità, ma perché si riserva il diritto – questo sì ufficialmente – di dotarsi di quelle armi il giorno che lo facesse un suo nemico giurato. Il fatto che i paesi attorno a Israele abbiano sottoscritto il Trattato non rassicura per nulla gli israeliani. Basti ricordare che lo firmarono e ratificarono con tutti i crismi la Siria e l’Iraq nel 1969, l’Iran nel 1970 e la Libia nel 1975: quanto l’abbiano poi rispettato, giudichi il lettore.

È chiaro che, sul lungo periodo, Israele sarebbe ben lieto di vivere in un Medio Oriente interamente e veramente denuclearizzato. Ma Israele potrà aderire a un programma per la denuclearizzazione del Medio Oriente solo quando vi sarà la pace: una pace piena con tutti i suoi vicini arabi e islamici, compreso l’Iran e relativi satelliti. In mancanza di questa fondamentale garanzia, lo spauracchio nucleare israeliano resta necessario per la sicurezza di Israele. Di più, è necessario per la stabilità di tutta la regione.

Resta purtroppo vero, infatti, che in Medio Oriente, nonostante i recenti Accordi di Abramo, sono presenti e attivi pericolosi agenti, grandi e piccoli, ideologicamente votati alla distruzione dello stato ebraico. L’inattaccabilità di Israele (e il radicato sospetto che disponga di armi nucleari) è uno dei fattori principali che rende impensabile, da quasi cinquant’anni a questa parte, una guerra senza quartiere contro Israele. Chi chiede a Israele di rinunciare al suo potenziale nucleare o – peggio – pretende che la comunità internazionale accetti che altri nella regione, come l’Iran, se lo procurino perché “non è giusto che l’abbia solo Israele”, dovrebbe innanzitutto porsi questa domanda: chi ha da temere dalla bomba israeliana? La risposta è evidente: solo chi vorrebbe avere mano libera in una guerra totale contro Israele. Dunque, infrangere il (presunto) monopolio di Israele sulle armi atomiche in Medio Oriente significherebbe favorire attivamente chi è interessato a far scoppiare nella regione guerre totali, dalle conseguenze difficilmente immaginabili.

Nel frattempo, si può star certi che gli israeliani non si faranno impressionare da nessuna minaccia volta a fare dei loro sistemi difensivi ciò che Dalila fece dei capelli di Sansone.

(Da: informazionecoretta.com, 18.4.21)