Due madri, un anziano e un rabbino che gestiva una mensa per poveri

Queste le vittime del terrorismo anti-israeliano (quello che certa propaganda in voga in questi giorni vorrebbe equiparare agli ucraini che combattono l’esercito di Putin)

Le quattro vittime dell’attentato del 22 marzo. Dall’alto a sinistra in senso orario: Laura Yitzhak, rav Moshe Kravitzky, Menahem Yehezkel, Doris Yahbas

Mentre migliorano lentamente le condizioni delle due donne più gravi ferite nell’attentato di martedì a Be’er Sheva, Israele si raccoglie attorno ai funerali dei quattro civili innocenti che non sono sopravvissuti alle ferite inferte dal terrorista che ha perpetrato il più letale attentato degli ultimi cinque anni.

Doris Yahbas, 49 anni, originaria del moshav Gilat, una comunità agricola poco a ovest di Be’er Sheva, è stata uccisa all’ingresso di un negozio di abbigliamento. Le altre tre vittime erano tutte residenti di Be’er Sheva: il rabbino Moshe Kravitzky, 50 anni, investito mentre era in sella alla sua bicicletta; Laura Yitzhak, 43 anni, accoltellata a morte in una vicina stazione di servizio; Menachem Menuhin Yehezkel, 67 anni, accoltellato a morte mentre passeggiava nella zona.

Il nipote di Doris Yahbas, che presa servizio come paramedico volontario, è stato uno dei soccorritori accorsi sulla scena dell’aggressione ed è lì che ha scoperto che una delle vottime era sua zia. “Ho visto una donna a terra priva di sensi e ho iniziato a trattarla – racconta Yisrael Ozen – Solo a quel punto mi sono reso conto che era mia zia, sorella di mia madre. Sono rimasto scioccato, ma ho dovuto continuare a lavorare. Purtroppo non rispondeva e abbiamo dovuto dichiararne il decesso”. Doris era madre di tre figli.

Il rabbino Moshe Kravitzky è stato il primo ad essere colpito dal terrorista, che lo ha investito con l’auto mentre era in bicicletta. Membro del movimento Chabad-Lubavitch, Kravitzky era ben conosciuto nella sua comunità del quartiere Nahal Beka di Be’er Sheva, dove fra l’altro gestiva da una decina di anni una mensa per poveri e anziani in difficoltà. Lascia quattro figli tra i 10 e i 22 anni d’età. Prima di tornare a Be’er Sheva aveva servito come emissario Lubavitch in Moldova.

Laura Yitzhak, 43 anni, è stata uccisa quando il terrorista l’ha aggredita alle spalle nella stazione di servizio vicina al centro commerciale, pugnalandola ripetutamente. Il filmato di una telecamera di sicurezza mostra Laura che cerca disperatamente di difendersi e persino di reagire mentre il terrorista la tempesta di pugnalate, anche dopo che è crollata a terra. Lascia il marito e le figlie di 6, 12 e 14 anni.

L’ultima vittima dell’efferato attentato è stato Menachem Menuhin Yehezkel, 67 anni, anch’egli accoltellato numerose volte mentre passeggiava vicino al centro commerciale. Non aveva figli, gli sopravvivono una sorella e tre fratelli.

(Da: YnetNews, Times of Israel, 23.3.22)

Il terrorista ripreso da una telecamera di sicurezza mentre infierisce contro Laura Yitzhak a colpi di coltello

Il terrorista, Muhammad Abu Al-Kiyan, un ex insegnante di educazione fisica nelle scuole medie del villaggio beduino di Hura, poco a est di Be’er Sheva, è stato ucciso da un autista di autobus che gli ha sparato solo dopo avergli più volte intimato di gettare il coltello, e da un secondo civile presente sul posto.

“In linea di massima – spiega Michael Barak, ricercatore dell’International Institute For Counter-Terrorism di Herzliya – la sua azione sembra direttamente ispirata dall’Isis che nei suoi manuali esorta i cosiddetti ‘lupi solitari’ a utilizzare veicoli per investire le vittime e poi, quando il veicolo non può più procedere, scendere e continuare a colpire con armi bianche. I manuali dell’Isis affermano esplicitamente che questa tattica permette di compiere ‘la massima carneficina possibile’ con pochi mezzi”.

In passato, Abu Al-Kiyan era già stato condannato a quattro anni di detenzione con l’accusa d’aver creato una cellula dell’Isis della quale fungeva anche da mentore spirituale, d’aver reclutato altri nel gruppo, d’aver organizzato riunioni di sostenitori dell’Isis intenzionati a raggiungere la Siria e d’aver cercato di indottrinare alla jihad i suoi alunni arabo israeliani. All’epoca dal processo, nel 2015, il presidente del Tribunale aveva giudicato che l’imputato si fosse “sinceramente” pentito, e la condanna venne emessa per patteggiamento.

(Da: jns.org, 23.3.22)

L’autista di autobus Arthur Haimov

Arthur Haimov, l’autista d’autobus che ha affrontato e mortalmente ferito il terrorista, è un 44enne padre di cinque figli. Immigrato in Israele dall’Uzbekistan all’età di 13 anni, attualmente lavora per la compagnia Egged. “Gli ho detto più volte di lasciare il coltello e che non gli avrei sparato, ma rispondeva: no – ha raccontato Haimov alla tv Kan – Era una persona. Siamo esseri umani, non animali. Non sono abituato a una situazione del genere, a sparare a una persona. Mi dispiace per lui, ma non mi ha lasciato altra scelta”.

“Hai agito con eroismo e autocontrollo – ha detto martedì ad Arthur Haimov il presidente d’Israele Isaac Herzog – Ti rendo omaggio e ti ringrazio. Ieri ci è accaduta una grande sciagura, ma il tuo intervento ha impedito la perdita di altre vite”.

La comunità beduina di Hura e la stessa famiglia del terrorista hanno espresso shock e condanna per l’attentato.

(Da: Times of Israel, YnetNews, 23.3.22)

Sia Hamas che la Jihad Islamica Palestinese hanno celebrato la strage di civili israeliani perpetrata martedì, definita dal portavoce di Hamas, Abd al-Latif al-Qanou, “l’eroica operazione nella Be’er Sheva occupata”. E poco importa – nota Il Foglio (23.3.22) – se Be’er Sheva non si trova nei territori conquistati nel 1967 ma faccia parte da sempre di Israele, giacché per Hamas tutto Israele è “terra occupata da liberare”.

Anche Hezbollah, il gruppo terrorista libanese sponsorizzato dall’Iran, ha salutato la strage di Be’er Sheva come “vera espressione dello spirito della jihad e dell’autentica resistenza del popolo palestinese. Congratulazioni alle organizzazioni della resistenza per questo attacco. La resistenza, con tutte le sue caratteristiche e in tutta la Palestina, è l’unica via per la vittoria e la piena liberazione” (Times of Israel, 23.3.22).

Dal canto loro, la tv e il quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese che fanno capo ad Abu Mazen hanno dato notizia dell’attentato parlando di uno shahid (martire islamico) vittima degli spari di un israeliano.

L’attentato di martedì che ha causato l’uccisione a sangue freddo di quattro civili israeliani è esattamente il tipo di attentati che l’Autorità Palestinese sollecita continuamente chiamandoli “pacifica resistenza o sollevazione popolare”. Lo scrive Itamar Marcus, di Palestinian Media Watch. Cosa intenda l’Autorità Palestinese quando invoca una “resistenza o sollevazione popolare” – spiega Marcus – lo chiarì in modo inequivocabile lo stesso presidente Abu Mazen quando il 16 novembre 2015, dopo i primi 14 israeliani assassinati all’inizio della cosiddetta intifada dei coltelli, dichiarò alla televisione palestinese: “Abbiamo detto a tutti che vogliamo una pacifica sollevazione popolare ed è di questo che si tratta”. Nei mesi successivi, altre 40 persone vennero assassinate allo stesso modo nella “pacifica sollevazione popolare” senza che Abu Mazen dicesse una parola per fermarla.

Nelle scorse settimane, continua Marcus, Fatah e Autorità Palestinese hanno nuovamente moltiplicato gli appelli per questo genere di “resistenza popolare”. “Il portavoce ufficiale della Presidenza dell’Autorità Palestinese Nabil Abu Rudeina – riportava lo scorso 24 febbraio il quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida – ha affermato che la pacifica resistenza popolare rimane l’arma più importante ed efficace per ristabilire i diritti dei palestinesi”. L’8 febbraio il portavoce ufficiale di Fatah, Hussein Hamayel, ha dichiarato alla tv dell’Autorità Palestinese: “Oggi a nome dell’intero popolo palestinese invochiamo la necessità di portare avanti la resistenza popolare”. Una settimana dopo, il 14 febbraio, il quotidiano Al-Hayat Al-Jadida riferiva: “Il Comitato Centrale di Fatah ha sottolineato che si deve intensificare la resistenza popolare e opporsi ai branchi di coloni”. Due settimane dopo, il 28 febbraio, Al-Hayat Al-Jadida scriveva: “Il Comitato Centrale del Movimento Fatah ha ribadito il suo appello alle masse del nostro popolo affinché si impegnino a partecipare il più possibile alle attività sul campo a sostegno dei prigionieri intensificando la resistenza popolare”.

Anche il fatto che l’attacco terroristico di martedì è stato compiuto da un arabo israeliano rientra nella strategia di Fatah. L’anno scorso, quando scoppiarono violenze inter-etniche in alcune città miste arabo-ebraiche d’Israele durante la guerra con Hamas a Gaza, Autorità Palestinese e Fatah elogiarono l’uccisione di ebrei e l’incendio di sinagoghe, case e automobili per mano di arabi israeliani definendolo “un sacro dovere”. Si leggeva il 14 maggio 2021 sulla pagina Facebook ufficiale di Fatah: “Mantenere la nostra unità e difendere la patria da Rafah [striscia di Gaza] a Rosh HaNikra [confine nord d’Israele] e dal Giordano al Mar Mediterraneo è un sacro dovere. La lotta unita è la chiara verità del nostro popolo e nessuno di noi vuole essere assente dalla battaglia”.

(Da: palwatch.org. 23.3.22)