Due scogli che impediscono la pace

Un paio di semplici riflessioni per l’inizio dell’anno

Di Zev Levi

Zev Levi, autore di questo articolo

Zev Levi, autore di questo articolo

Per costruire concretamente una pace sostenibile, dobbiamo sapere che cosa vuole il popolo palestinese e che cosa vuole il popolo israeliano. Solo a quel punto si potrà iniziare a predisporre un compromesso che sia abbastanza buono da far deporre le armi.

A mio modo di vedere ci sono attualmente due scogli che intralciano la via.

Scoglio numero 1. Nessuno sa che cosa vuole il popolo palestinese. Entrambe le fazioni-leader arabo-palestinesi, Hamas e Fatah, governano per mezzo di intimidazioni e violenze. Chi protesta viene eliminato, le persone vengono arrestate in modo arbitrario e detenute senza mandato, la tortura è all’ordine del giorno. Indipendentemente da quale opinione si abbia sui rapporti israelo-palestinesi, resta il fatto che i capi palestinesi non rappresentano la volontà della loro gente. Si veda, a titolo di esempio, questo articolo (in inglese) del palestinese Talal Alyan. Sia Hamas che Fatah sono bande di strada che non permettono ai loro cittadini nessuna vera libertà di espressione. Questo scoglio deve essere superato se si vuole sapere cosa vuole veramente il popolo, o perlomeno la maggioranza del popolo palestinese.

Scoglio numero 2. La dirigenza palestinese non deporrà le armi. Sia l’Olp che l’Autorità Palestinese esibiscono bandiere e simboli che rivendicano tutta la Terra di Israele. Tutto il loro discorso pubblico, il loro sistema educativo, la loro pubblicistica e la loro propaganda ruota attorno ad uno stato palestinese che, per mezzo della violenza, prende il posto di Israele e non coesiste con esso. Fatah condanna ufficialmente la violenza terroristica, ma celebra costantemente i terroristi ”martiri” e i rappresentanti ufficiali del governo palestinese esaltano il terrorismo nelle loro pagine sui social network. A titolo di esempio, ecco il commento con cui Sultan Abu Al-Einein, membro del Comitato centrale di Fatah e consigliere di Abu Mazen, accompagna la pubblicazione su Facebook di raccapriccianti fotografie della strage del 18 novembre scorso in una sinagoga di Gerusalemme: “Immagini dalla scena dell’eroica operazione presso l’istituto religioso sionista, in risposta all’assassinio del martire (shahid) Yussuf Al-Ramouni ‘Abu Jihad”. (Yussuf Al-Ramouni, un autista di autobus arabo a Gerusalemme, è stato trovato impiccato il 16 novembre 2014 e l’autopsia eseguita dall’istituto forense israeliano Abu Kabir insieme a un anatomopatologo scelto dalla famiglia ha confermato che si è trattato di suicidio, ma i mass-media palestinesi hanno continuato imperterriti a presentare l’incidente come un omicidio perpetrato “da ebrei”.)

Poster celebrativo dei 50 anni dall’inizio della lotta armata di Fatah: Israele è cancellato dalla mappa geografica

Poster celebrativo dei 50 anni dall’inizio della lotta armata di Fatah: Israele è cancellato dalla mappa geografica

Hamas, dal canto suo, non riconosce Israele nemmeno a parole. Qualsiasi tregua con Israele, stando a quanto affermano loro stessi, serve solo a preparare la prossima guerra con l’obiettivo di cancellare completamente Israele dalla faccia della terra. Si vedano a titolo di esempio le parole di Ismail Haniyeh riportate in questo articolo di Ha’aretz.

Dunque, innanzitutto occorre un’autentica libertà di parola e di voto per i palestinesi. Poi si potrà costruire una vera pace.

Il motivo per cui Israele, per quante carenze possa presentare, tuttavia non costituisce uno di questi ostacoli è che in Israele vigono autentica libertà di parola e libertà di voto. Israele ha un governo che viene eletto, una popolazione che si esprime e protesta liberamente e una Corte Suprema imparziale. E tutte e tre queste manifestazioni di democrazia vedono degli arabi israeliani in posizioni di leadership. Ecco perché sono fiducioso che, se verranno risolti gli scogli di cui sopra, potrà sorgere la pace.

Il punto è: come superare quegli scogli? Ogni utile suggerimento sarà gradito.

(Da: Times of Israel, 28.12.14)