E razzista condannare il fanatismo?

Demonizzata per aver detto che lislam, non Israele, pratica apartheid sessuale e religioso

Da unarticolo di Phyllis Chesler

image_1616Un tempo sono stata tenuta prigioniera a Kabul. Ero la sposa di un musulmano afgano simpatico, seducente e occidentalizzato, conosciuto in un college americano. Il purdah (la pratica tradizionale di segregazione fisica fra i sessi) di cui ho esperienza era relativamente elegante, ma la vita reclusa solo femminile non era fatta per me, né lo era l’ostilità maschile verso le donne velate, parzialmente velate o non velate che comparivano in pubblico.
Quando atterrammo a Kabul, un funzionario dell’aeroporto confiscò immediatamente il mio passaporto americano, anche se con molto garbo. Mio marito mi assicurò: “Non preoccuparti, è solo una formalità”. Non ho mai rivisto quel passaporto. In seguito ho appreso che questo avveniva regolarmente alle mogli straniere, forse per render loro impossibile la partenza. Da un momento all’altro mio marito divenne un estraneo. L’uomo con cui avevo discusso di Camus, Dostoievsky, Tennessee Williams e di cinema italiano non era più lo stesso. Mi trattava esattamente come suo padre e suo fratello maggiore trattavano le loro mogli: a distanza, con un accenno di disprezzo e di imbarazzo.
Nei nostri due anni insieme, il mio futuro marito non aveva mai menzionato il fatto che suo padre aveva tre mogli e 21 figli. Né mi aveva mai detto che avrei dovuto vivere come se fossi stata allevata come una donna afgana. Dovevo vivere soprattutto in casa, tra donne, uscire solo con una scorta maschile e trascorrere le giornate aspettando il ritorno di mio marito o facendo visita a parenti femmine o facendomi fare vestiti nuovi (e molto alla moda).
In America, mio marito era orgoglioso del fatto che fossi una ribelle e una libera pensatrice. In Afghanistan, la mia critica del trattamento riservato alle donne e ai poveri lo rendevano sospetto e vulnerabile. Mi prendeva in giro per le mie reazioni inorridite. Ma io sapevo bene quello che occhi e orecchie mi dicevano. Vedevo come le povere donne in chador erano costrette a sedere in fondo all’autobus e dovevano sempre cedere il posto agli uomini facendo la fila al mercato.
Ho visto matrimoni combinati e poligamia e spose bambine costrette a croniche sofferenze femminili e alla rivalità con le altre mogli e i fratellastri. Ho visto come la subordinazione e il sequestro delle donne portava a un profondo estraniamento tra i sessi: alle percosse alle donne, allo stupro coniugale e a un’omosessualità e pederastia dilaganti, anche se violentemente negate, del tipo che si trova in carcere. Ho visto come donne frustrate, trascurate e ignoranti tormentavano la nuore e il personale femminile; come le donne non potevano andare a pregare nelle moschee o farsi visitare da medici maschi (i mariti descrivevano i sintomi in loro assenza).
Gli afgani individualmente erano estremamente cortesi, ma l’ Afghanistan che ho conosciuto era un baluardo di ignoranza, povertà, tradimento e malattie prevenibili. Era anche uno stato di polizia, una monarchia feudale e una teocrazia, pieno di paura e paranoia. L’Afghanistan non è mai stato colonizzato. I miei parenti dicevano: “Nemmeno gli inglesi sono riusciti ad occupare il nostro paese.” Sono quindi stata costretta a concludere che la barbarie afgana era proprio di fattura locale e non poteva essere attribuita all’imperialismo occidentale.
Molto tempo prima dell’ascesa dei talebani, imparai a non romanticizzare i paesi del Terzo Mondo né confondere i loro odiosi tiranni con dei liberatori. Imparai anche che l’apartheid sessuale e religiosa nei paesi musulmani è indigena e non il risultato di crimini occidentali, e che certi “pittoreschi costumi locali” sono infami in senso assoluto e non relativo. Molto prima che al-Qaeda decapitasse Daniel Pearl in Pakistan e Nicholas Berg in Iraq, capii che era pericoloso per un occidentale, soprattutto una donna, vivere in un paese musulmano. In retrospettiva, ritengo che il mio cosiddetto femminismo occidentale sia stato forgiato in quel paese orientale bellissimo e traditore.
Ma gli ideologi intellettuali occidentali, comprese le femministe, mi hanno demonizzata come una razzista e reazionaria “islamofoba” per aver sostenuto che l’islam, non Israele, è il maggior praticante di apartheid sessuale e religiosa nel mondo e che se gli occidentali non si ribellano a questa apartheid, moralmente, economicamente e militarmente, non avremo sulla coscienza solo il sangue di innocenti: saremo sopraffatti dalla sharia anche in occidente. Io sono stata vessata, minacciata, non invitata o disinvitata a causa di queste mie idee eretiche, e per aver denunciato la violenza epidemica di musulmani su musulmani per la quale il piccolo Israele fa regolarmente, incredibilmente, da capro espiatorio.
Tuttavia, le mie idee hanno incontrato il favore dei più coraggiosi e dei più illuminati. Alcuni eminenti musulmani laici e dissidenti ex-musulmani — in Egitto, Bangladesh, Iran, Iraq, Giordania, Pakistan, Siria ed esuli in Europa e Nord America — si sono riuniti il 4 e 5 marzo a St Petersburg, Florida, per una Conferenza Summit dell’Islam Laico (http://secularislam.org/blog/SI_Blog.php ) e mi hanno invitata ad aprire i lavori.
Secondo il presidente del convegno, Ibn Warraq, “quello di cui abbiamo bisogno ora è un’età di illuminismo nel mondo islamico. Senza un esame critico l’islam rimarrà dogmatico, fanatico e intollerante e continuerà a soffocare il pensiero, i diritti umani, l’individualismo, l’originalità e la verità”. Il convegno ha emesso una dichiarazione che invoca questo nuovo “illuminismo”. La dichiarazione vede l’“islamofobia” come una falsa accusa, vede un “nobile futuro per l’islam come fede personale, non una dottrina politica”, ed esige la liberazione dell’islam dalla prigionia delle ambizioni degli uomini assetati di potere”.
E’ ora, per gli intellettuali occidentali che asseriscono di essere antirazzisti e impegnati nei diritti umani, di prendere posizione a fianco di questi dissidenti. Per far ciò è necessario adottare uno standard universale di diritti umani e abbandonare la fedeltà a un relativismo multiculturale che giustifica, e perfino romanticizza, la barbarie islamica, il terrorismo totalitario e la persecuzione di donne, minoranze religiose, omosessuali e intellettuali. Il nostro abietto rifiuto di giudicare tra civiltà e barbarie, e tra razionalismo illuminato e fondamentalismo teocratico, mette in pericolo e condanna le vittime della tirannia islamica.
Ibn Warraq ha da poco scritto un’opera sconvolgente che uscirà quest’estate, intitolata “Difendere l’occidente: una critica a ‘Orientalismo’ di Edward Said”. Avranno il coraggio di difendere l’occidente anche gli intellettuali occidentali?

(Da: YnetNews, 7.03.07)

Nella foto in alto: Bambina palestinese ad una manifestazione di Hamas (dove si insegna a cancellare Israele, come si vede dalla mappa verde)