E se agissimo da cittadini arabi, anziché da stranieri?

Smettiamola di dare ascolto ai “cattivi maestri” arabi e palestinesi

Da un articolo di Ray Hanania

image_2788Gli israeliani mi dicono sempre che “tutti i cittadini d’Israele” sono trattati allo stesso modo. Insistono che, sebbene Israele sia uno “stato ebraico”, i non ebrei vengono trattati in totale rispetto e eguaglianza. Naturalmente non è vero. […] Il Centro Mossawa, un gruppo arabo israeliano dedito a monitorare lo stato dei diritti dei cittadini arabi (e il cui nome in arabo significa “eguaglianza”) ha recentemente diffuso un altro severo rapporto che enumera varie forme di discriminazione verso i non ebrei. Fra l’altro, cita l’incremento di proposte di legge presentate alla Knesset e definite “razziste” che colpirebbero la “libertà d’espressione” soprattutto dei “cittadini arabi”: pena detentiva fino a un anno per il cittadino che nega l’esistenza di Israele, revoca della cittadinanza per chi viola la “lealtà verso Israele”, negazione di fondi pubblici a gruppi di cittadini che agissero in modo da esprimere adesione al concetto di “Nakba”, la parola araba riferita al 1948 che significa “catastrofe”. Con l’aggiunta di alcuni altri esempi legati solamente all’esistenza del conflitto, la situazione che emerge dal rapporto appare davvero brutta.
Ma gran parte del problema è che arabi ed ebrei non sono veramente differenti. Spesso non andiamo d’accordo, ma siamo nel mezzo di un conflitto e le tensioni sono un dato di fatto. E quanta parte di responsabilità hanno i cittadini arabi d’Israele nel permettere che prenda piede questa disparità sul piano della libertà di espressione e della democrazia?
Gran parte del problema sono gli stessi cittadini arabi d’Israele, che non facilitano molto le cose: sostengono di voler essere cittadini, ma si comportano come stranieri. Più spesso che no, agitatori estremisti arabi in occidente e nel mondo arabo esortano i cittadini arabi d’Israele a boicottare le elezioni israeliane e a non votare. Dunque, di chi è la responsabilità se poi il controllo lo assumono estremisti ebrei? Degli estremisti ebrei o dei mal consigliati cittadini arabi, che danno ascolto ad agitatori del mondo arabo votati alla sconfitta?
“Negazione” della realtà è la cifra della vita palestinese: se fingiamo che qualcosa non esista, magari scompare davvero. Quello che non vogliamo vedere è il fatto che, da un secolo a questa parte, la politica araba verso la Palestina è caratterizzata da una sola parola: sconfitta. La cultura araba ha abbracciato il fenomeno del suo stesso fallimento incolpandone qualcun altro. Per i palestinesi, in queste circostanze, essere chiassose vittime è scelta migliore che non quella di darsi da fare sul serio, partecipando alla società israeliana per apportare un cambiamento.
Gli arabi non stanno facendo del loro meglio. Abbracciano stupide politiche come quella contro la “normalizzazione”, un’odiosa parola in codice usata dai palestinesi per etichettare qualunque arabo che osi avere a che fare con un israeliano come una persona “normale”. Che è anche razzista, perché suggerisce l’idea che gli ebrei siano tutti cattivi.
Molti arabi criticano le mie posizioni moderate, non discutendo i fatti e le questioni che io pongo bensì bollando il fatto che mia moglie e mio figlio sono ebrei. Molti agitatori arabi mi ostracizzano perché io sostengo l’ipotesi “due stati” anziché quella di un unico stato. Ah, e poi – dimenticavo – scrivo per un “giornale sionista” come il Jerusalem Post.
Ho imparato a ignorare questi stupidi accusatori del mondo arabo e palestinese perché, anche se dominano la “scena vociferante”, sono demograficamente una minoranza. Il problema è che la maggior parte degli arabi ha paura di sfidare la minoranza estremista: è più facile stare zitti che prendere pozione per ciò che è giusto.
Cosa dovrebbero fare, invece, gli arabi in Israele? Smetterla di agire come il resto del mondo arabo. Smetterla di dare ascolto ai falliti agitatori palestinesi che vivono in Europa e negli Stati Uniti: quegli agitatori che vivono nel lusso, ma sono i primi a dire ai profughi palestinesi che è meglio vivere nello squallore respingendo i compromessi basati sull’ipotesi “due stati”, piuttosto che vivere in un loro proprio stato dove possano dedicarsi a migliorare la propria vita. Se il conflitto verrà mai risolto, tutti questi palestinesi “professionisti del rifiuto” si troveranno disoccupati. Così, il loro primo interesse è perpetuare il conflitto.
Se i cittadini arabi d’Israele vogliono i loro diritti, devono innanzitutto prendere atto della realtà. Smettere di boicottare le elezioni. Smettere di spargere odio verso gli ebrei come se fosse la risposta giusta alle discriminazioni verso gli arabi. Smettere di attribuire tutte le colpe a un pugno di ebrei razzisti che siede alla Knesset. E smettere di esagerare il razzismo, comprendendovi casi ed esempi che sono semplicemente politici, come il fatto che gli israeliani dichiarano Gerusalemme loro eterna capitale. Si possono sempre trovare degli esempi di odio, se si preferisce ignorare gli esempi ben più frequenti di buon senso.
I cittadini arabi d’Israele si trovano in una posizione unica per aiutare il loro popolo, non abbracciando le politiche fallimentari del mondo arabo e dei palestinesi del rifiuto, bensì facendosi fautori del cambiamento: cambiamento in Israele e cambiamento nel mondo arabo. Prendiamo posizione e diciamo agli agitatori che siamo favorevoli al compromesso, ai due stati e alla condivisione di Gerusalemme.
I palestinesi sotto occupazione sono sotto assedio, ma non solo da parte dell’esercito israeliano. Cresce la forza degli estremisti islamisti come Hamas. Il loro obiettivo non è distruggere solo Israele, ma distruggere anche la vita laica araba e palestinese. Iniziamo a protestare nelle piazze, non solo contro il fanatismo e il razzismo che circondano la nostra vita in Israele: opponiamoci all’estremismo che domina il mondo arabo e alle politiche fanatiche dei palestinesi del rifiuto, che stanno facendo di tutto per bloccare la pace.
Se gli arabi d’Israele prendessero posizione uniti, se si impegnassero pienamente nel sistema e iniziassero a pensare e a parlare per se stessi, non solo otterrebbero più diritti in Israele, ma potremmo anche arrivare alla pace.

(Da: Jerusalem Post, 23.3.10)

Nella foto in alto: Ray Hanania, autore di questo articolo: editorialista palestinese americano, scrittore satirico, fondatore di Yalla Peace

Si veda anche:

Arabi alla Knesset: la grande occasione mancata

https://www.israele.net/articolo,2760.htm

Ma chi fa gli interessi degli arabi israeliani?

https://www.israele.net/articolo,2731.htm

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