È tempo che i palestinesi riconoscano l’esistenza di Israele: innanzitutto nel loro interesse

Finché i cosiddetti leader palestinesi continueranno ad alimentare (in arabo) lo slogan senza futuro "dal fiume al mare", i palestinesi non potranno realizzare il sogno di uno stato indipendente

Di Alon Ben-Meir

Alon Ben-Meir, autore di questo articolo

Sebbene i palestinesi abbiano tutto il diritto di istituire un proprio stato indipendente, nulla ha minato così tragicamente la loro causa agli occhi degli israeliani quanto la pretesa di avere uno stato che si estenda dal fiume Giordano al mar Mediterraneo, che significherebbe l’estinzione definitiva di Israele.

Verrebbe da pensare che dopo 73 anni di un conflitto contrassegnato da guerre, terrorismo, spargimenti di sangue e distruzioni, i palestinesi abbiano compreso che Israele è una realtà che non potranno in nessun caso eliminare. Non solo Israele ha assoluto diritto di esistere, ma Israele è anche una formidabile potenza militare che in Medio Oriente nessun nemico o combinazione di nemici può pensare di sconfiggere, oggi o in qualsiasi futuro prevedibile. La ragione è semplice: costretti a combattere per la loro stessa esistenza, gli israeliani farebbero ricorso contro qualsiasi nemico, palestinesi compresi, a ogni mezzo militare a loro disposizione pur di infliggere al nemico mortale una distruzione totale e completa dalla quale non possa mai più riprendersi. Lo dico nel modo più crudo e fermo possibile perché i palestinesi, sebbene abbiano tutto il diritto a un loro stato indipendente, è ora che aprano gli occhi sulla incrollabile realtà che Israele esiste e continuerà ad esistere, indipendentemente da ciò che altri dicano o facciano. Ma finché un segmento significativo di palestinesi, in particolare i loro tanti estremisti, continueranno a proclamare che vogliono tutto “dal fiume al mare”, sono destinati a non realizzare mai il loro sogno di uno stato.

Dalla pagina Facebook di Fatah (la fazione palestinese che fa capo ad Abu Mazen): “Palestina dal fiume al mare”

Personalmente credo e sostengo fermamente il diritto dei palestinesi a istituire uno stato indipendente e a vivere in pace a fianco di Israele. Ma affinché ciò accada, i palestinesi devono convincere gli israeliani che non coltivano alcun piano funesto dietro all’obiettivo di stabilire uno stato in Cisgiordania e Gaza, cioè che non mirano a cancellare Israele dalla carta geografica in una fase successiva. (Per il testo del “Piano a fasi” dell’Olp del 1974, e un suo inquadramento, si veda: “Il piano a fasi per la distruzione di Israele” in: Tutto Israele è “Palestina” per il movimento guidato da Abu Mazen ndr).

Il paradosso è che, sebbene sappiano di non avere nessuna possibilità di annientare Israele, il semplice fatto che continuino ad alimentare questa posizione gioca a favore di chi, in Israele, si oppone con veemenza alla creazione di uno stato palestinese affermando che dei palestinesi non ci si può fidare. Il discorso ambiguo e ingannevole di dirigenti e rappresentanti palestinesi non fa che rafforzare sempre più le preoccupazioni e lo scetticismo degli israeliani. Quando parlano in inglese al pubblico occidentale del loro diritto a uno stato, si limitano a Cisgiordania e Gaza. Ma quando parlano in arabo con la propria gente, usano regolarmente il concetto di uno stato “dal fiume al mare”. Ciò che rende le cose ancora peggiori è che a scuola agli alunni palestinesi viene insegnato che gli ebrei israeliani sono il nemico eterno, senza fare nessuna menzione del diritto di Israele ad esistere. Dal punto di vista israeliano i palestinesi, invece di riconciliarsi con la realtà, non fanno che preparare la prossima generazione a combattere ad oltranza fino alla fine.

Ci sono ancora milioni di israeliani che simpatizzino con la causa palestinese e vorrebbero porre fine al conflitto sulla base di una soluzione a due stati, ma vengono sempre più spesso trattati con sufficienza dagli altri israeliani perché sembrano voler ignorare le reali intenzioni dei palestinesi. Intanto gli stessi palestinesi continuano a sbandierare una posizione che infligge il maggior danno a loro stessi e scredita la loro legittima richiesta di porre fine all’occupazione e stabilire uno stato palestinese in Cisgiordania e Gaza.

Luglio 2021, campo estivo di Fatah per scolari palestinesi. Israele è cancellato dalle mappe. “I palestinesi, invece di riconciliarsi con la realtà, non fanno che preparare la prossima generazione a combattere ad oltranza fino alla fine”

Nel frattempo, cosa è successo negli ultimi 73 anni? Israele è diventato una delle nazioni più avanzate in quasi tutti i campi di attività, e con formidabili capacità militari, mentre milioni di palestinesi continuano a languire nei campi profughi. Come mai? Ogni palestinese con un po’ di coscienza e di consapevolezza dovrebbe porsi questa domanda. Come mai i loro cosiddetti leader li hanno ingannati lasciandoli aggrappati una generazione dopo l’altra a una pura illusione, e tradendo ogni palestinese che desideri davvero vivere con dignità e crescere e prosperare in pace e sicurezza? (…)

Un’altra amara conseguenza dell’intransigenza dei palestinesi rispetto al diritto di esistere di Israele è che gli stati arabi, che per decenni hanno preso le difese della causa palestinese, stanno perdendo la pazienza e non subordinano più la normalizzazione delle relazioni con Israele alla creazione di uno stato palestinese. Oltre a Egitto e Giordania, hanno di recente normalizzato i rapporti con Israele Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Sudan e Marocco perché i loro interessi strategici contano di più di una causa palestinese senza fine. Il che dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per tutti i palestinesi, dal più moderato al più devoto estremista. Devono convincere gli israeliani che non è vero che dei palestinesi non ci si può fidare, e smetterla sul serio con lo slogan senza futuro di uno stato palestinese “dal fiume al mare”. In effetti, più insistono ad alimentare questa illusione, più diventa un’illusione anche l’istituzione di uno stato palestinese indipendente in Cisgiordania e Gaza.

(Da: Jerusalem Post, 15.8.21)