E’ tempo di affrancarsi da un “diritto internazionale” stabilito dalle potenze di cento anni fa

Il continuo appellarsi a concetti obsoleti del diritto internazionale ostacola la risoluzione di conflitti, causa sofferenze umane e lascia nel limbo lo status di molti territori

Di Seth J. Frantzman

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

Capita spesso di sentire ripetere il ritornello che qualcosa non si può fare perché non è conforme al “diritto internazionale”. Durante la recente fiammata di scontri tra azeri e forze armene nel Nagorno-Karabakh, la parlamentare tedesca Karin Strenz ha osservato che “la situazione attuale non è conforme al diritto internazionale e deve essere condannata”. Da Cipro del nord al Sahara occidentale, dalle alture del Golan al Puntland somalo a numerosi altri territori, il continuo appellarsi a concetti obsoleti del diritto internazionale di origine europea spesso ostacola la risoluzione dei conflitti, causa sofferenze umane e lascia lo status di molti territori in una sorta di limbo eterno.

Quando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ai primi di aprile è andato sulle alture del Golan a dire che il Golan è parte integrante di Israele, è stato subissato da una serie di condanne sia in Occidente che nei paesi musulmani. John Kirby, del Dipartimento di stato Usa, ha replicato che la “annosa e immutata” opinione degli Stati Uniti è che le alture del Golan non sono parte di Israele, ma della Siria. Poco importa che abbiano fatto parte del moderno stato siriano soltanto per 21 anni, dalla sua nascita nel 1946 al 1967, e che siano state governate da Israele nei 49 anni successivi, dal 1967 al 2016: esse faranno sempre parte della Siria per via del “diritto internazionale”.

Ma come divennero parte della Siria? Le potenze coloniali inglese e francese tracciarono una linea nel 1920 e successivamente la spostarono, nel 1923 e nel 1924, dopo che la Società delle Nazioni aveva consolidato il controllo della Gran Bretagna sulla “Palestina Mandataria”. E quella decisione è “legalmente vincolante” ai sensi del diritto internazionale per via della Conferenza di Sanremo e del relativo Trattato di Sèvres (1920). Chi prese parte alla conferenza di Sanremo? La Gran Bretagna, l’Italia, la Francia e il Giappone, con gli Stati Uniti come stato osservatore. In sostanza, le potenze coloniali europee che avevano vinto la prima guerra mondiale.

I delegati alla Conferenza di Sanremo, 1920

I delegati alla Conferenza di Sanremo, 1920

In alcuni casi, il diritto internazionale in questo modo stabilito può aver apparentemente avvantaggiato un paese come la Siria, in altri casi no. Quello che è importante chiedersi è come mai così tanti paesi hanno accettato come eternamente vincolanti concetti, confini e trattati le cui origini sono antiquate e coloniali.

Gran parte del diritto internazionale ha le sue origini in conferenze tenute dalle potenze coloniali europee e dagli europei vincitori in varie guerre. In alcuni casi i trattò della reazione alle malvagità che gli europei avevano perpetrato nelle loro guerre, come la Seconda Convenzione di Ginevra del 1949. Analogamente il Congresso di Vienna del 1815, dopo le guerre napoleoniche, aprì la strada alle conferenze successive, come il Congresso di Berlino del 1878. Alla Convenzione dell’Aia del 1899 sulle leggi di guerra parteciparono 26 nazioni, di cui solo sei extra-europee (Stati Uniti, Thailandia, Turchia, Iran, Giappone e Messico).

Gli stati europei che cercarono di mettere fuori legge l’uso di armi chimiche che essi stessi avevano sviluppato e utilizzato gli uni contro gli altri, o di mettere fuorilegge il genocidio dopo che avevano messo milioni di persone nelle camere a gas, o di mettere fuorilegge determinate armi che essi avevano ideato e prodotto, meritano senz’altro un elogio per la maturità dimostrata nel rendersi conto dei propri stessi mali. Dopo la prima guerra mondiale, il patto Kellogg-Briand arrivò addirittura a mettere fuorilegge la guerra stessa.

Ma perché il mondo deve sempre aspettare che siano gli europei a decidere dove deve passare un confine o quali armi possano essere usate in guerra, senza che gli altri stati del mondo possono decidere di propria iniziativa? Perché la schiavitù è diventata “sbagliata” solo quando le potenze occidentali decisero che avevano fatto abbastanza danni con la deportazione forzata di 14 milioni di persone dall’Africa? Era sbagliata anche prima che gli europei la facessero. Gli esseri umani avevano titolo ai diritti umani prima che gli europei stabilissero che le leggi di guerra sono vincolanti.

Nonostante il riconoscimento del fatto che il colonialismo era sbagliato e nonostante le critiche diffuse nella maggior parte degli ambienti contro imperialismo, razzismo, supremazia bianca ed eurocentrismo, per qualche motivo ogni pilastro coloniale è stato demolito tranne i confini disegnati dagli europei, e il diritto internazionale che li governa.

Come 5 stati del Medio Oriente potrebbero diventare 14, secondo un’analisi di Robin Wright sul New York Times del 28.9.13 (clicca per l’originale)

Nel Kashmir i confini britannici sono ancora quelli riconosciuti dalla comunità internazionale anche se India e Pakistan hanno spartito il Kashmir sin dal 1949. In un articolo su The Stanford Journal of International Relations, Vikas Kapur e Vipin Narang ripercorrono il conflitto osservando che “anche se a prima vista la rivendicazione dell’India sul Kashmir appare coerente con il diritto internazionale, un’analisi più approfondita suggerisce il contrario”. Il punto infatti è se un leader del Kashmir nel 1947 aveva o meno il diritto di accettare di far parte dell’India. Come nel contenzioso israelo-palestinese, una ferita aperta quasi 70 anni fa non ha più smesso di sanguinare a causa della gabbia del “diritto internazionale”.

In Somalia, i cui confini vennero stabiliti dalle potenze coloniali europee, una zona chiamata Somaliland ha dichiarato l’indipendenza nel 1991. Prima del 1960, infatti, vi esisteva una Somalia Britannica che ora cerca di tornare allo status indipendente. Nessun paese riconosce il Somaliland per non intaccare il diritto internazionale con lo smembramento della Somalia, che per inciso è uno dei più clamorosi casi al mondo di stato fallito. Quindi, pur di mantenere formalmente in piedi uno stato fallito, le aspirazioni di una parte relativamente stabile di quel paese devono essere conculcate.

Allo stesso modo, la Repubblica del Biafra in Nigeria subì massacri di massa per fame e uccisioni tra il 1967 e il 1970, quando cercò di separarsi dalla Nigeria. Il Biafra era stato riconosciuto da cinque paesi africani, ma la brutale repressione del suo popolo igbo si dovette principalmente ai confini coloniali tracciati dagli europei, che non rispettano i confini tribali africani. Una crisi simile legata al tentativo di ridisegnare i confini in Congo ha portato al fallimento del movimento secessionista del Katanga nel 1960. In tutta l’Africa, i confini coloniali rimangono “legalmente vincolanti” – sacri e intoccabili – in osservanza del “diritto internazionale”.

Ciò che noi chiamiamo “diritto internazionale” è in pratica il presunto diritto degli europei di disegnare quasi tutti i confini del mondo e poi decidere – dopo la decolonizzazione – che nessun paese può tentare di staccarsi o di ridisegnare quei confini. In molti casi quei confini sono diventati una trappola mortale di sofferenze, dittature e stragi. Spesso tribù e gruppi etnici o religiosi di minoranza, costretti a vivere in uno stato di cui non vogliono far parte, vengono sottoposti a vessazioni e carneficine, come è avvenuto nel Sud Sudan (fino a quando finalmente fu consentito un referendum) e come è accaduto ai curdi in Medio Oriente.

Gli accordi Sykes-Picot (1916)

Gli accordi Sykes-Picot (1916)

Perché Cipro del Nord, i cui abitanti musulmani di lingua turca vogliono uno stato indipendente, viene considerato dalla comunità internazionale come parte integrante del resto di Cipro? Perché il concetto di “autodeterminazione” è venuto alla ribalta solo quando gli europei hanno voluto ridisegnare i loro confini in Europa orientale? L’esercizio del diritto all’autodeterminazione non è mai stato applicato ai curdi, ai tibetani e tanti altri (e molti di coloro che lo caldeggiano per gli arabi palestinesi, che peraltro non riescono nemmeno a organizzare le elezioni dei loro dirigenti, lo toglierebbero volentieri agli ebrei), mentre in Europa si sono tenuti referendum sull’indipendenza, talvolta controversi, in territori come la Scozia, e paesi come il Kosovo hanno avuto l’appoggio necessario per staccarsi.

E’ vero che la ricerca dell’indipendenza e la necessità di smembrare stati falliti possono produrre miserie umane. Ma la gabbia di quello che si dovrebbe chiamare l’“euro-diritto” anziché il diritto internazionale affligge molte popolazioni indigene, genera molti conflitti e alimenta la persistente speranza che aree come il Golan, il Nagorno-Karabakh, Cipro del nord e il Sahara occidentale vengano riportate allo status degli anni ‘50 o ‘60. Ma siamo nel XXI secolo: perché continuiamo a vivere nel XIX o alla metà del XX secolo? Il mondo è cambiato enormemente nel secolo trascorso fra il 1815 e il 1915, eppure ci viene detto che i confini del 1915 devono rimanere intatti a un secolo di distanza, che si tratti delle linee di Sykes-Picot del 1916 o della linea Curzon del 1919.

Bisogna liberarsi dalla gabbia mentale dell’euro-diritto internazionale. I confini creati dalle potenze coloniali europee erano e rimangono un disastro per molte, troppe persone. E’ tempo che i paesi valutino l’opportunità di lasciarsi alle spalle questi concetti antiquati. Quando qualcuno vi dice che un paese non può accampare diritti a causa della Convenzione di Montevideo sui Diritti e Doveri degli Stati (1933) o per via della Conferenza di Sanremo, è giunto il tempo di far notare che forse Sanremo e Montevideo e ogni altra convenzione che era adatta alla sua epoca, oggi può aver perso rilevanza.

L’euro-diritto internazionale ha colonizzato la nostra mentalità già abbastanza a lungo. E’ necessario un nuovo paradigma, pensato per risolvere le controversie di confine e le richieste d’indipendenza di oggi con lo sguardo rivolto al futuro.

(Da: Jerusalem Post, 30.4.16)