E’ ufficiale: fu Israele a distruggere l’impianto nucleare siriano nel 2007

Come in Iraq nel 1981, l’operazione del 2007 in Siria dimostra che Israele non può tollerare il dispiegamento di armamenti capaci di minacciare la sua esistenza

Una parte dell’impianto nucleare militare siriano di al-Kibar, a Deir ez-Zor, prima e dopo il raid israeliano del 2007

Oltre dieci anni dopo la distruzione di una struttura nucleare nella Siria nord-orientale, le Forze di Difesa israeliane hanno ufficialmente dichiarato che il raid aereo fu realizzato da Israele, come venne riportato all’epoca dalla stampa estera. Fino a mercoledì in Israele era in vigore il segreto militare su tutti i dettagli sull’operazione.

“Nella la notte tra il 5 e il 6 settembre 2007 – si legge nel comunicato delle forze armate – l’aviazione israeliana ha colpito e distrutto una struttura nucleare in avanzata fase di costruzione nella regione di Deir ez-Zor, in Siria, 450 km a nord-est di Damasco. Otto jet F-15 ed F-16 eliminarono una minaccia nucleare non solo per Israele, ma per l’intera regione”.

A partire dai primi sospetti del 2006, l’operazione ora declassificata durò due anni, durante i quali l’intelligence militare e il Mossad monitorarono nella massima segretezza i piani nucleari della Siria, ormai in via di completamento quando venne lanciato il raid aereo. La conferma che il presidente siriano Bashar Assad stava costruendo un reattore nucleare a scopi inequivocabilmente militari fu uno shock per la difesa israeliana. “A quel tempo – dice l’allora direttore dell’intelligence militare Amos Yadlin – Israele era principalmente preoccupato della minaccia iraniana e c’erano molti nell’intelligence che sostenevano che cercare attività nucleari in Siria era uno spreco di tempo e risorse”. “Pensavamo di sapere tutto sulla Siria – rivela l’allora vicedirettore del Mossad, Ram Ben-Barak – Era inconcepibile che un progetto del genere ci fosse totalmente ignoto”.

Il sito dell’impianto nucleare siriano, prima e dopo l’operazione israeliana

“Una volta individuato il luogo esatto, fu una corsa contro il tempo – ricorda Yadlin – Era chiaro a tutti che la finestra di opportunità si sarebbe chiusa non appena l’impianto fosse diventato operativo”. Colpire un reattore nucleare attivo era fuori questione a causa delle enormi conseguenze su vite umane e ambiente, quindi la tempistica dell’azione fu dettata dall’avanzamento dei lavori siriani. “All’aviazione militare israeliana – dice il portavoce delle forze armate – restò pochissimo tempo per preparare l’attacco e valutare ogni altra eventualità, comprese le possibili rappresaglie delle forze siriane. Tuttavia, una volta approntato, il piano d’attacco era eseguibile entro 12 ore dal momento in cui fosse arrivato l’ordine”.

L’operazione aerea vera e propria durò quattro ore. Poco dopo la mezzanotte del 6 settembre 2007, due ore dopo il decollo dei velivoli, l’allora primo ministro israeliano Ehud Olmert si riunì nella sala operativa sotterranea con il ministro della difesa, il ministro degli esteri, il capo di stato maggiore, il vice capo di stato maggiore, il comandante dell’intelligence militare e il comandante della direzione operazioni, che seguirono passo passo l’attacco mentre le forze armate si preparavano a fronteggiare qualsiasi tipo di rappresaglia. Dopo che i jet colpirono la struttura, la direzione dell’intelligence militare valutò che era stata danneggiata in modo irreparabile. L’operazione era un completo successo. “L’impianto nucleare era stato distrutto ed era stata sventata un’escalation nella regione”, conclude il portavoce militare israeliano.

Il nucleo del reattore siriano e il suo sistema di raffreddamento, in una foto sottratta da agenti del Mossad a un computer portatile del direttore della Commissione per l’energia atomica siriana durante un convegno in Europa

Poco dopo l’eliminazione dell’impianto, i mass-media stranieri iniziarono a pubblicare vari particolari, attribuendolo a Israele. I reportage affermavano che, prima di dare luce verde al raid, le leadership israeliana e statunitense aveva condiviso informazioni d’intelligence relative alla struttura. Sin dall’aprile precedente Olmert aveva messo al corrente delle sue preoccupazioni l’allora presidente degli Stati Uniti, George. W Bush, il quale nel suo libro di memorie Decision Points ha scritto che Israele richiese l’assistenza degli Stati Uniti per portare a termine l’attacco, ma la Casa Bianca declinò. Bush disse a Olmert che preferiva perseguire una linea d’azione diplomatica portando la questione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Il leader israeliano restò sbalordito. “Sono profondamente deluso dalla vostra decisione” disse Olmert a Bush, e aggiunse che Israele avrebbe saputo come agire da solo.

I militari israeliani operarono in base all’assunto che Assad avrebbe potuto reagire lanciando missili sulle grandi città israeliane, rendendo inevitabile una guerra totale. Furono disposte importanti acquisizioni di armi e attrezzature, e le forze armate intensificarono l’addestramento di tutte le unità di combattimento lasciando intendere che stessero cercando di correggere le carenze operative riscontrate nella guerra contro Hezbollah in Libano dell’estate precedente. “Non si doveva capire qual era il nostro vero scopo”, dice l’allora capo di stato maggiore Gabi Ashkenazi.

Cilindri di combustibile uranio, in una foto sottratta da agenti del Mossad a un computer portatile del direttore della Commissione per l’energia atomica siriana durante un convegno in Europa

Successivamente un’indagine del 2009 dell’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, avrebbe trovato nel sito prove certe della presenza di un impianto che aveva tutte le caratteristiche di un reattore nucleare non dichiarato. Nell’aprile 2011, l’AIEA confermò ufficialmente che l’impianto era stato un reattore nucleare. In seguito la CIA confermò che anche l’intelligence americana aveva indicato il sito come una struttura nucleare sviluppata per scopi militari. Secondo diversi reportage, il sito era stato creato in collaborazione con la Corea del Nord, che aveva fornito a Damasco il suo modello di impianto nucleare. Questa notizia non sono mai stata confermata e Israele non l’ha mai ufficialmente commentata.

Il coinvolgimento ufficiale di Israele e i dettagli dell’operazione contro il nucleare siriano sono rimasti coperti da segreto per più di dieci anni. Oggi le cose sono molto cambiate, ma all’epoca fra i decisori politici e militari israeliani era molto concreto il timore che l’operazione innescasse una rappresaglia siriana che sarebbe sfociata in un conflitto regionale. Per contenere questo rischio, Israele si basò sul presupposto che minore sarebbe stata l’eco del raid, minori le probabilità che Assad reagisse. Il presidente siriano si sarebbe trovato in un dilemma. Non aver segnalato la costruzione del reattore costituiva una violazione del suo impegno nei confronti dell’AIEA. Per evitare guai internazionali e l’umiliazione di ammettere la distruzione da parte di Israele delle sue ambizioni nucleari, Assad – questa era l’ipotesi – avrebbe preferito insabbiare la questione. Evitando di cantare vittoria, Israele avrebbe consentito ad Assad di salvare la faccia con una generica smentita senza sentirsi obbligato a lanciare una rappresaglia.

L’allora primo ministro israeliano Ehud Olmert con il ministro della difesa Ehud Barak, il capo di stato maggiore Gabi Ashkenazi e il comandante dell’aviazione Eliezer Shkedi, insieme agli ufficiali e piloti che presero parte all’operazione contro il reattore nucleare siriano in una foto di gruppo scattata due mesi dopo

In effetti, dopo il raid la reazione di Assad fu assai confusa. In un primo momento cercò di negare tutto (“Aerei dell’aeronautica israeliana si sono infiltrati nello spazio aereo della Siria ma ne sono stati cacciati”). Successivamente ammise il bombardamento, ma sostenne che l’obiettivo era solo un accampamento militare abbandonato. Alla fine, emise una poco convinta minaccia con cui si riservava il diritto di vendicarsi, cosa che non ha mai fatto. Secondo un reportage di Der Spiegel del 2009, Olmert fece pervenire un messaggio ad Assad attraverso la Turchia in cui gli diceva che Israele non avrebbe tollerato un altro tentativo siriano di costruire un reattore, ma che Gerusalemme era disposta a tacere sul raid a patto che Damasco facesse lo stesso. Tacito o esplicito che fosse, il gioco del silenzio è durato più di dieci anni. Israele non lo infranse nemmeno nel 2014 quando l’area di Deir ez-Zor venne catturata dall’ISIS e Gerusalemme avrebbe potuto rivelare al mondo il rischio che aveva corso se non fosse stato per il raid di sette anni prima, vale a dire l’agghiacciante prospettiva che il gruppo jihadista cultore della morte potesse mettere le mani su armi atomiche.

“Oggi possiamo rivelare ciò che decidemmo nel settembre 2007 nel gabinetto di sicurezza – ha detto mercoledì il ministro della difesa Avigdor Liberman, che era ministro per gli affari strategici all’epoca del raid – Alcuni erano favorevoli, altri esitavano. La storica e coraggiosa decisione che prendemmo in quell’occasione dimostra, allora come oggi, che in materia di sicurezza nazionale non ci si può arrendere. Bisogna prendere decisioni e agire secondo necessità. Si può solo immaginare cosa accadrebbe oggi se allora non avessimo agito. Oggi avremmo una Siria con la bomba atomica. L’impulso dei nostri nemici è andato crescendo negli ultimi anni, ma è cresciuta anche la determinazione delle Forze di Difesa israeliane. La nostra aviazione e le nostre capacità di intelligence sono aumentate rispetto a quelle che avevamo nel 2007, ed è bene che tutti in Medio Oriente prendano atto di questa equazione”.

I massimi decisori politici e militari israeliani che ebbero l’onere di dare il via al bombardamento del reattore atomico siriano nel 2007

“La comunità internazionale deve sapere che Israele proteggerà sempre la sicurezza dei suoi cittadini e adotterà tutte le misure necessarie per far fronte alle minacce nella nostra regione”. Lo ha affermato mercoledì l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Danny Danon, che ha aggiunto: “I nostri nemici farebbero bene a non mettere alla prova la risoluzione di Israele e a non dubitare della nostra risolutezza a difendere il nostro paese”.

“L’operazione del 2007 e il suo successo mettono in chiaro che Israele non permetterà mai che armi nucleari finiscano nelle mani di coloro che minacciano la nostra esistenza, la Siria ieri e l’Iran oggi”, ha scritto mercoledì su Twitter il ministro dell’intelligence Yisrael Katz. Ed ha aggiunto: “E’ la dottrina introdotta da Menachem Begin riguardo all’Iraq: non permetteremo a nessuno che minaccia di distruggere Israele di dotarsi di armi nucleari”. In effetti il raid sul reattore siriano ricorda l’attacco israeliano contro un altro reattore che era in costruzione a Osirak, in Iraq, nel 1981. In seguito, anche i paesi che all’epoca condannarono Israele dovettero riconoscere che quell’azione aveva impedito a Saddam Hussein di acquisire armi di distruzione di massa che avrebbe potuto utilizzare un decennio dopo nella Guerra del Golfo. “Il messaggio dell’attacco al reattore nel 2007 è che lo stato d’Israele non intende tollerare il dispiegamento di armamenti che rappresentano una minaccia alla nostra stessa esistenza – ha detto mercoledì il capo di stato maggiore Gadi Eisenkot (che all’epoca del raid era a capo del Comando settentrionale) – Questo era il messaggio nel 1981. Questo era il messaggio del 2007. E questo è il messaggio ai nostri nemici per il futuro”.

(Da: Jerusalem Online, YnetNews, Israel HaYom, Times of Israel, Ha’aretz, 21.3.18)
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