Ecco perché, nonostante tutto, gli israeliani vivono a lungo e in buona salute

Dieta mediterranea e coesione familiare, ma soprattutto un sistema sanitario nazionale efficace, efficiente ed egualitario

Di Rafael A. Beyar

Rafael A. Beyar, direttore generale e CEO del Rambam Health Care Campus di Haifa, autore di questo articolo

Uno studio pubblicato di recente colloca Israele tra i primi 10 paesi per longevità proiettata al 2040. Già adesso Israele si posiziona molto in alto, in altre classifiche per aspettativa di vita, con una vita media al 2016 di 82,5 anni. Altri paesi ben collocati secondo l’indice di longevità – Canada, Svezia, Italia, Giappone – sono paesi relativamente tranquilli, abbienti e in pace. Ma per quanto riguarda Israele, alla luce dei suoi 70 anni di storia caratterizzati da guerre e conflitto perpetuo, da un aumento di sette volte della popolazione con una quota ampia e diversificata di immigrati, i dati sull’aspettativa di vita possono suonare sorprendenti. Come si spiegano?

Una risposta è la dieta generalmente ricca di frutta, verdura e pesce: la cosiddetta “dieta mediterranea”. Un’altra è il consumo relativamente basso di alcolici. Un’altra ancora, sicuramente importante, è la coesa struttura familiare così caratteristica nella società israeliana. Ma probabilmente il fattore in assoluto più importante è il sistema sanitario israeliano, snello ed efficiente.

In base a molti parametri, nazionali e internazionali, Israele garantisce una delle reti di assistenza sanitaria più efficienti, efficaci e complete al mondo. Tutti i suoi cittadini senza distinzioni godono di servizi di assistenza sanitaria – un ampio paniere che va dall’assistenza neonatale a quella geriatrica – indipendentemente dal reddito e dalle condizioni di salute preesistenti.

Nel 2016 l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha classificato Israele al nono posto per i servizi di assistenza sanitaria nella lista dei paesi che raggiungono gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. L’indice Bloomberg Global Health attribuisce a Israele un “indice di salute” complessivo di 88,14, molto più alto rispetto a quello degli Stati Uniti e di gran parte dei paesi europei.

Israele spende solo il 7,4% del suo Pil in assistenza sanitaria, ma offre uno dei sistemi più inclusivi ed efficienti di tutto il mondo. Lo si confronti con l’Europa, che in media ogni anno spende circa il 10% del Pil in assistenza sanitaria, o con gli Stati Uniti che spendono circa il 18% del Pil eppure tagliano fuori dall’assistenza un gran numero di persone.

Israeliani anziani giocano a backgammon in una caffetteria del mercato Mahane Yehuda, a Gerusalemme

Come riesce Israele a raggiungere questo obiettivo? Il governo finanzia in gran parte l’assistenza sanitaria con imposte destinate a scopi sanitari e proporzionali al reddito. Ci sono piani sanitari privati, ma tutti i residenti in Israele sono coperti da almeno uno dei quattro principali fondi sanitari. Un’eccellente assistenza ospedaliera pubblica è garantita in modo eguale a tutti i settori della società. I piani sanitari israeliani sono integrati fra medicina terapeutica e medicina preventiva. I costi vengono mantenuti bassi grazie a una combinazione di controlli governativi, potere d’acquisto dei fondi sanitari, incentivi e concorrenza. L’innovazione dell’assistenza sanitaria è stata un fattore trainante per l’ascesa di Israele come “nazione delle start-up mediche”.

Al Rambam Medical Center di Haifa, ad esempio, abbiamo 1.000 posti letto e uno staff totale di circa 5.000 persone. Questo rapporto letti/personale di 1 a 5 è decisamente efficiente, specialmente in confronto ai grandi ospedali urbani degli Stati Uniti e di altri paesi. L’efficienza viene raggiunta anche in sala operatoria. I nostri chirurghi portano a termine da 3 a 5 interventi per sessione – un dato molto alto – utilizzando le strutture al 95% della capacità e garantendo al contempo risultati paragonabili a quelli dei principali ospedali statunitensi. Dopo le 15.00, quando normalmente la maggior parte delle sale operatorie chiude, i nostri chirurghi operano al 70% della capacità, utilizzando le strutture e incentivando lo staff.

Medici e paramedici israeliani sono ben preparati e tenuti in alta considerazione nei rispettivi campi, in patria e all’estero. Per la maggior parte vengono formati nei migliori centri medici e universitari degli Stati Uniti. Quasi tutti ritornano in Israele. Nonostante i vincoli con cui devono lavorare, compresi stipendi più bassi rispetto agli standard stranieri, la motivazione per praticare la medicina e condurre ricerche cliniche in Israele resta elevata.

Non che tutto sia perfetto, in Israele. Il sistema è quantitativamente insufficiente, c’è carenza di posti letto e di personale ospedaliero. Abbiamo bisogno di più medici, in particolare per sostituire quelli che ora vanno in pensione e che erano arrivati circa trent’anni fa all’apice dell’ondata migratoria dall’ex Unione Sovietica: un’ondata di un milione di immigrati che portò con sé molti medici esperti. Sarebbero necessari anche più infermieri. Israele dovrebbe aumentare la spesa per la salute fino a circa il 9% del Pil per ottimizzare le strategie di trattamento e prevenzione, e per tenere il passo con la sua popolazione in costante crescita. A causa degli stretti controlli sul budget operati dal Ministero della salute e dai piani sanitari, è sempre necessario raccogliere fondi dai singoli donatori per fare fronte ai costi delle più evolute e indispensabili attrezzature mediche, per rinnovare le infrastrutture sanitarie e per finanziare i progetti di ricerca.

Con circa 8,5 milioni di abitanti, Israele è un paese relativamente piccolo. I raffronti con vaste popolazioni, come quella degli Stati Uniti, possono essere inesatti. Tuttavia, vi sono senz’altro utili insegnamenti che si possono trarre dall’esperienza israeliana nella gestione di un’assistenza sanitaria efficiente. Gli stessi israeliani, che sono noti per la loro predisposizione a recriminare e a criticare le proprie istituzioni, danno solitamente un giudizio largamente positivo della loro assistenza sanitaria. E con buona ragione, ora che molti di loro vivono ben oltre gli 80 anni in condizioni di salute più che dignitose.

(Da: Times of Israel, 7.11.18)

Dima Chamra, terapeuta arabo-israeliana presso l’ospedale Rambam, saluta la 17enne Sana Charoob (a sinistra), una paziente originaria di Jenin (Cisgiordania) mentre Amtaz Manfor (a destra), insegnante drusa israeliana del Rambam, si trova alle spalle della paziente di 8 anni Simdosh Chansan Jamal, anch’essa di Jenin