Economia israeliana: le ragioni di un (cauto) ottimismo

Rispetto ai paesi OCSE, Israele presenta diversi punti di forza (e alcune problematicità)

Di Ilan Evyatar

Adam Reuter, intervistato in questo articolo

Adam Reuter, intervistato in questo articolo

Avendo ricevuto nella casella di posta elettronica una presentazione insolitamente fiduciosa intitolata “Israele: un’isola di successo economico”, ho pensato di interpellare Adam Reuter, amministratore delegato della società di gestione dei rischi finanziari Financial Immunities nonché co-autore della presentazione insieme a Noga Kainan, presidente del forum CFO israeliano, per sapere cosa lo rendesse tanto ottimista rispetto alle previsioni catastrofiche che circolano normalmente di questi tempi anche in Israele. Dopo tutto, i tassi di crescita in Israele degli ultimi due anni non sono stati esattamente alle stelle, e il costo della vita rimane esorbitante a fronte di stipendi medi piuttosto bassi. Quello che è emerso dalla conversazione è che tutto è relativo.

Reuter sottolinea che la sua presentazione si riferisce alle tendenze a lungo termine e mette a confronto le prospettive di Israele con quelle, a suo dire desolanti, dei paesi OCSE. Dopo aver delineato i risultati dell’economia israeliana degli ultimi vent’anni – la crescita del Pil, le riserve in valuta estera, la riduzione del debito in rapporto al Pil, il calo del tasso di disoccupazione, l’aumento della partecipazione alla forza lavoro – Reuter prosegue enumerando i punti di forza su cui può contare Israele nella prospettiva futura.

Il primo è “l’enorme vantaggio demografico”. I paesi OCSE hanno un’età media di 42 anni, mentre l’età media in Israele è 31 anni: la più bassa in assoluto dei 34 stati membri dell’organizzazione. Nel cruciale gruppo di età dei 20-34 anni, l’OCSE va verso un “drammatico” calo del 14%, nota Reuter, mentre Israele va verso un aumento del 28%. Reuter respinge l’obiezione secondo cui, in futuro, la popolazione israeliana sarà dominata dai suoi due settori più poveri, gli arabi e gli ebrei ultra-ortodossi, e sottolinea piuttosto la diminuzione dei tassi di natalità in queste due comunità unita a un aumento della natalità nel resto della popolazione e al flusso costante di immigrati, e il sempre maggior coinvolgimento delle due comunità più povere nell’istruzione e nel mercato del lavoro. “Non sto dicendo che qui le cose andranno necessariamente alla grande – puntualizza Reuter – ma certamente le cose andranno peggio nel resto dei paesi OCSE. Tutto è relativo: la crescita è relativa, la disoccupazione è relativa”.

Un altro punto di forza d’Israele, continua Reuter, è il suo vantaggio tecnologico: Israele è uno degli otto paesi al mondo in grado di lanciare satelliti nello spazio; è leader mondiale nel settore R&S in proporzione alla popolazione ed è il primo per investimenti delle imprese in R&S: è il primo nella sicurezza informatica e il secondo nella ricerca scientifica, tanto per citarne un paio.

Poi c’è la risorsa globale d’Israele: il suo forte orientamento verso l’esportazione; generazioni di immigrati arrivati da tutto il mondo con la loro conoscenza delle lingue e delle culture e le loro reti di relazioni globali.

In quarto luogo Reuter ricorda il vantaggio imprenditoriale d’Israele, che risulta il numero uno al mondo per imprenditorialità secondo l’IMD Competitiveness Yearbook del 2014.

Non basta. Israele sta anche vivendo una rivoluzione in almeno tre grandi settori: l’acqua, dove è riuscito a “battere il deserto” e ora gode persino di un surplus; l’energia, dove Israele si avvia a conseguire l’indipendenza e a diventare esportatore (“Si dica quello che si vuole dell’accordo-quadro per lo sfruttamento del gas – afferma Reuter – ma in fin dei conti la scoperta di enormi quantità di gas naturale è un miracolo economico, ed è incredibile che siamo sul punto di arrivare all’indipendenza energetica”); infine i trasporti, dove massicci investimenti stanno concretamente avvicinando la periferia al centro del paese.

Un altro aspetto positivo, dice Reuter, è che mentre il mondo sta subendo una perdita netta di posti di lavoro a causa dell’automazione, in Israele l’industria high-tech sta creando nuove professioni e nuovi posti di lavoro.

Quando cerco di smorzare il suo entusiasmo ricordandogli che la crescita israeliana sta rallentando, Reuter torna al concetto che tutto è relativo. “La crescita non è bassa – obietta – Quelli che dicono che la crescita è bassa sono fermi all’era pre-2008. Oggi viviamo in un mondo diverso da quello che precedeva la crisi finanziaria. Se si guarda alla crescita aggregata dei paesi europei nell’arco degli ultimi sette anni si vede che sono a malapena cresciuti, e lo stesso vale per il Giappone. Nella Stati Uniti la crescita è stata moderata. Nel mondo di oggi, se Israele cresce attorno al 2,5% l’anno vuol dire che sta andando bene”.

“Attenzione – si affretta ad aggiungere – non è che sono tutte rose e fiori. Non sono un illuso ottimista. Ci sono diversi problemi basilari di cui ci si deve occupare”. In primo luogo l’elevato costo delle abitazioni che, dice Reuter, ha raggiunto le proporzioni di una bolla. “Se qualcuno pensava che il mercato immobiliare fosse come il mercato delle telecomunicazioni, dove si può tagliare il prezzo delle chiamate, ha sbagliato di grosso. C’è bisogno di una terapia drastica per risolvere problemi strutturali, ma penso che la direzione generale sia quella buona. Credo che alla fine i prezzi scenderanno, ma ci vorrà molto tempo”.

In secondo luogo, Reuter ricorda che le spese per la difesa sono ancora troppo alte, ma aggiunge che potrebbero essere ridotte man mano che si riducono le minacce strategiche cui Israele deve fare fronte. Lui stesso ex ufficiale dei servizi di intelligence, Reuter spiega: “Come effetto della ‘primavera araba’, la maggior parte dei nostri nemici strategici, come la Siria, la Libia e l’Iraq, in pratica non esistono più, per cui le minacce da affrontare diventano tattiche. Con tutto il rispetto, l’ISIS è una minaccia tattica, non strategica. E vi è una grande differenza nella spesa che le Forze di Difesa israeliane devono sostenere per prepararsi a minacce tattiche rispetto a minacce strategiche. Quindi credo che potremo ridurre le spese per la difesa”.

In terzo luogo Reuter indica il salario medio che, dice, è troppo basso. Ma dà credito al ministro delle finanze Moshe Kahlon, che a suo parare su questo fronte si sta muovendo nella giusta direzione. Anche in qui trova motivo di ottimismo, spiegando che l’aumento della riscossione delle imposte, grazie alla lotta contro evasione ed elusione fiscale e le attività all’estero non dichiarate, renderà possibile una riduzione dell’imposizione diretta. “Le tasse in Israele sono più o meno nella media OCSE – dice Reuter – ma perché non dovremmo avere tasse inferiori rispetto alla media e, quindi, aumentare lo stipendio netto delle persone?”

Dunque, qual è la conclusione? “Quello che cerchiamo di dire – conclude Reuter – è che, rispetto a come si muove il mondo, la nostra situazione è okay. Le cose qui non saranno meravigliose, ma saranno migliori che altrove”.

(Da: Jerusalem Post, 27.4.16)

Sfoglia la presentazione Israel: Island of success di Adam Reuter e Noga Kainan (in inglese)