Elezioni in Israele 2022: alcuni spunti di riflessione

Il ritorno di Netanyahu, considerato da molti un pragmatico che offre garanzie di stabilità, si accompagna al successo di un’estrema destra da molti considerata più che allarmante

Benjamin Netanyahu, leader del partito di maggioranza relativa Likud, arriva domenica alla prima riunione informale a Gerusalemme per gli accordi di coalizione

Nei 500 giorni precedenti le elezioni, Israele aveva goduto di un trattamento leggermente meno ostile del solito da parte dei mass-media internazionali. La varietà del governo formato dai primi ministri Naftali Bennett e Yair Lapid, la presenza nella coalizione della lista araba Ra’am e l’assenza dal governo di Benjamin Netanyahu, passato all’opposizione, sono i fattori che avevano aperto questa relativa apertura di credito che ora, dopo i risultati delle elezioni del primo novembre, si è di nuovo chiusa. Il governo di destra, più omogeneo e più stabile, che potrebbe nascere sotto la guida di Netanyahu non godrà di nessuna “luna di miele”.

La sensazione, tuttavia, è che non vi sia una autentica volontà di vedere e analizzare alcune ragioni che stanno alla base di questo risultato elettorale. Solo pochi commentatori, ad esempio, sembrano disposti a riconoscere che lo spostamento a destra dell’elettorato israeliano è in parte legato all’ondata di attacchi terroristici che ha investito per l’ennesima volta lo stato ebraico negli ultimi mesi, e che ha sostanzialmente contribuito a far cadere il governo israeliano uscente. Tra aprile e settembre (ultimo mese di dati ufficiali), ci sono stati 1.263 attacchi terroristici contro israeliani, in cui 10 persone sono state uccise e 51 persone sono rimaste ferite. Nel mese precedente le elezioni si sono verificati più di una dozzina di altri attentati significativi, in cui tre persone sono rimaste uccise e 11 ferite (l’ultima vittima solo tre giorni prima del voto). Le ondate di attacchi terroristici hanno continuato a spingere gli israeliani su posizioni più rigide e di destra sin dagli attentati suicidi degli anni 1995-96, subito dopo la firma degli accordi di pace di Oslo che proprio da quel terrorismo furono  insabbiati. Già allora Netanyahu riuscì a convincere molti israeliani di essere quello che poteva farli più al sicuro di qualsiasi altro potenziale primo ministro.

L’Autorità Palestinese, che in base agli Accordi si è ufficialmente assunta la responsabilità di mantenere la sicurezza nelle città della Cisgiordania, non è mai riuscita a contrastare seriamente i terroristi (che anzi vengono regolarmente celebrati e premiati da Ramallah) e non ha saputo arginare gli assassini del nuovo gruppo “Fossa dei leoni”. Questa inerzia ha spinto altri israeliani ad abbracciare una retorica sempre più dura.

Un elettore e suo figlio al voto, martedì scorso, a Tel Aviv

Anche le violenze arabe della primavera 2021 scoppiate nelle città miste proprio mentre i civili israeliani erano sotto i razzi di Hamas hanno contribuito a rafforzare il capo del partito Otzma Yehudit (Potere ebraico) Itamar Ben-Gvir, abilissimo nel farsi trovare davanti alle telecamere sul luogo di ogni attacco. Ben-Gvir, che è anche una creatura dei mass-media essendo diventato il terzo politico israeliano più intervistato, ha saputo guadagnare consensi politici cavalcano paura e rabbia più che comprensibili, quando ogni nuovo attentato a colpi di mitra o di coltello dei mesi scorsi faceva sentire gli israeliani vulnerabili. Otzma Yehudit è cresciuto nelle urne solo dopo che Ben-Gvir ha cercato in qualche modo di ammorbidire le sue posizioni precedenti. Resta da vedere se si tratta di una vera evoluzione politica o solo di un mezzo adottato per evitare che i tribunali israeliani gli vietassero di candidarsi alle elezioni e per migliorare la propria immagine.

Inoltre, molti elettori israeliani di destra hanno reagito alle scelte di governo di loro leader come Bennett e Ayelet Shakeda percepite come un “tradimento” politico, e hanno voluto assicurarsi che questa volta i loro eletti non aderissero a una coalizione comprendente  un partito arabo islamista e un partito dell’estrema sinistra sionista come il Meretz. Dal loro punto di vista, votare “più a destra” è stata una scelta conseguente. Nota Yaakov Katz, sul Jerusalem Post: “Si consideri ad esempio la città di Givat Shmuel. Nel 2021 quasi un quarto (24%) degli elettori di quel bastione dei religiosi-sionisti aveva votato per Yamina di Bennett. Nel 2022 la stessa percentuale ha votato per Ben-Gvir. A Efrat, un altro centro del sionismo religioso, Bennett aveva preso il 43% dei voti nel 2021. Nelle elezioni della scorsa settimana, quasi la metà degli elettori di Efrat (48%) ha votato per Ben-Gvir. Elkana è un altro esempio. Nel 2021, quasi il 40% aveva votato per Bennett. Questa volta, il 52% ha votato per Ben-Gvir. Questi elettori non sono necessariamente razzisti o fascisti come Ben-Gvir e la sua banda. Sono, però, persone furibonde con Bennett per quello che ha fatto. Molti di loro hanno percepito la sua scelta dell’anno scorso come il Disimpegno del 2005 dalla striscia di Gaza, quando elettori di destra che pensavano di aver votato in Ariel Sharon il costruttore di insediamenti si ritrovarono invece con Sharon il demolitore di insediamenti”.

Il controverso leader di estrema destra Itamar Ben Gvir, al voto martedì scorso a Kiryat Arba, in Cisgiordania

Nel suo discorso di vittoria a Gerusalemme, Netanyahu ha affermato che il suo governo servirà tutti i cittadini e amplierà la cerchia della pace sia esterna che interna. Netanyahu, che nel 2020 avviò relazioni diplomatiche ufficiali con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain, ha affermato che un governo sotto la sua guida agirà in modo responsabile, eviterà “avventure inutili” e “amplierà la cerchia della pace”. In effetti, nella sua lunga carriera politica Netanyahu in genere si è dimostrato più pragmatico quando è al potere rispetto a quando è in campagna elettorale.

La vittoria di Netanyahu è stata anche il risultato di un’affluenza alle urne del 71,3%, la più alta dal 1999: un dato notevole per la democrazia israeliana, considerando che si trattava della quinta elezione in 3 anni e mezzo. Anche l’affluenza della comunità araba di circa il 54% è stata significativamente più alta di quanto previsto dai sondaggisti pre-elezioni. Ma l’alta affluenza ha anche innalzato il numero di voti necessario per raggiungere il quorum del 3,25% dei voti validi. Di conseguenza, non sono riusciti a entrare alla Knesset lo storico partito della sinistra sionista Meretz (che aveva chiesto invano ai Laburisti di presentarsi in una lista unita) e il partito arabo anti-sionista Balad. In tutto, sono andati dispersi quasi 300mila voti. Se queste due formazioni avessero invece eletto 3 o 4 parlamentari ciascuna, in termini di seggi la Knesset sarebbe oggi divisa a metà fra campo pro-Netanayhu e anti-Netanyahu.

Infine, uno dei motivi per cui gli israeliani hanno votato per Netanyahu è stato il desiderio di porre fine alla sequela di elezioni anticipate. I cosiddetti “elettori per la stabilità” hanno individuato come priorità la fine dello stallo politico e molti di loro hanno visto in Netanyahu, che gli piacesse o meno, colui che aveva le migliori possibilità di formare un governo stabile.

(Da: honestreporting.com, Jerusalem Post, israele.net, 2-5-6.11.22)

Scrive Moshe-Mordechai van Zuiden: Gli anti-sionisti equipareranno ancora una volta il governo israeliano all’apartheid e ai nazisti, ma avevano mostrato i loro veri sentimenti quando definivano nazista e da apartheid anche il governo precedente benché fosse una coalizione di centro-sinistra con all’interno un partito arabo. I terroristi e relativi fiancheggiatori giustificheranno ancora una volta i propri crimini di guerra definendo Israele razzista e colonialista, ma la cosa non ha alcuna credibilità dal momento che hanno aumentato attentati e omicidi mentre era al governo una coalizione di centro-sinistra con all’interno un partito arabo. (Da: Times of Israel, 3.11.22)

Ma Israele deve rimanere ebraico e democratico

Fred Maroun

Scrive Fred Maroun: La direzione che gli elettori israeliani sembrano prendere in queste elezioni è esattamente la direzione che i nemici di Israele vogliono che prendano. Se il partito di Itamar Ben-Gvir diventasse il terzo partito alla Knesset, come sembra inevitabile [questo articolo è stato scritto appena prima delle elezioni ndr], e se Ben-Gvir diventasse un ministro di primo piano del prossimo governo, come sembra probabile, Israele si allontanerebbe in modo significativo dall’essere ciò che i suoi fondatori pensavano dovesse deve: uno stato democratico ed ebraico. Israele potrebbe diventare sempre più uno stato in cui gli insediamenti nel cuore della Cisgiordania vengono normalizzati, uno stato in cui l’ostilità tra cittadini ebrei e arabi continua a crescere, uno stato in cui la Cisgiordania diventa essenzialmente parte di Israele mentre i suoi residenti arabi palestinesi non lo sono. In altre parole, Israele rischierebbe di muoversi ulteriormente verso l’annessione della Cisgiordania e il dover scegliere se rimanere democratico concedendo la cittadinanza ai palestinesi della Cisgiordania o rimanere ebraico non facendolo.

È una realtà che molti israeliani sembrano voler ignorare, ma il dato di fatto è che non si possono avere entrambe le cose. E un altro dato di fatto è che uno stato ebraico che non fosse più pienamente democratico o non più ebraico sarebbe uno stato ebraico non più sostenibile. Un Israele non democratico perderebbe legittimità ai propri stessi occhi nonché il sostegno dell’Occidente e in particolare quello cruciale degli Stati Uniti. Bisogna essere sciocchi a presumere che ciò non influirebbe sulla capacità di Israele di difendersi. Un Israele non ebraico, d’altra parte, diventerebbe rapidamente una sorta di secondo Libano in cui gli ebrei si troverebbero in una posizione simile o peggiore a quella dei cristiani libanesi, costretti a chinare la testa e condiscendere ai peggiori estremisti semplicemente per poter sopravvivere.

Mi rendo conto che molti israeliani sono giunti al punto di sostenere Ben-Gvir e il suo partito, o di accettare la sua affermazione, non perché non siano consapevoli di questa situazione, ma piuttosto per l’estrema frustrazione dovuta alla mancanza di progressi con i palestinesi. Ho personalmente sentito molti israeliani dire che erano convintamente a favore di una soluzione a due stati ai tempi dei negoziati per gli accordi di Oslo, ma che hanno perso ogni fiducia quando i palestinesi rifiutarono l’offerta di pace di Israele nel 2000 e scatenarono la seconda intifada (l’intifada della stragi suicide). E molti israeliani mi hanno anche detto di aver perso fiducia nella formula “terra in cambio di pace” quando Israele si è ritirato da Gaza nel 2005 e i palestinesi hanno risposto con i lanci di razzi.

Capisco la frustrazione, ma che gli israeliani reagiscano in modo impulsivo a quella frustrazione è esattamente ciò che vogliono i nemici di Israele. Quello che vogliono è proprio che Israele abbandoni la formula che l’ha finora caratterizzato come un unicum in Medio Oriente: essere sia ebraico che democratico. Vogliono che Israele diventi debole. Vogliono ottenere con la demografia ciò che gli eserciti arabi e i terroristi arabi non sono riusciti a ottenere in oltre sette lunghi decenni: distruggere l’unico stato ebraico. Se gli israeliani abbandonassero ciò che i fondatori di Israele ritenevano fosse necessario per la sua sopravvivenza, offrirebbero ai loro nemici esattamente ciò che vogliono, e su un piatto d’argento.
(Da: Times of Israel, 1.11.22)

Netanyahu al governo è una garanzia di libertà, non una minaccia

Fiamma Nirenstein

Scrive Fiamma Nirenstein: Le prime pagine dei giornaloni nel mondo, dopo le elezioni israeliane, sono entrate in una specie di lutto corale, dichiarando la morte della democrazia dello stato d’Israele e prevedendone una svolta autoritaria, illiberale, xenofoba, islamomofoba. Fascista! “Una catastrofe” è quello che secondo il Financial Times può diventare la robusta vittoria di Benjamin Netanyahu del primo di novembre per cui in questi giorni si organizza un governo di 64 seggi su 120 grazie a una coalizione di centro destra, col Likud conservatore e liberale di Bibi (31 seggi), i partiti religiosi che totalizzano 19 seggi, fino al famigerato partito Sionista Religioso del terribile Itamar Ben Gvir, 14 seggi. Da Le Monde al Washington Post al Financial Times al New York Times, alla CNN e alla BBC, a Israele stanno crescendo le zanne che lo trasformeranno in un’entità spregevole: Le Monde già invita le istituzioni internazionali e i singoli paesi a rivedere tutti i rapporti. Il Financial Times attribuisce a una “cinica manovra” il successo di Ben Gvir e del suo collega di partito Smotrich. Ma questa è la vittoria di Netanyahu. Ben Gvir dovrà rispondere alle norme per cui Netanyahu ha fatto in undici anni di Israele un paese liberale, sovrano, coi simboli ebraici (la lingua, lo Shabbat mentre per altro a migliaia aprono i negozi e si muovono i veicoli), le feste nazionali e religiose, ma amica degli LGTBQ e con la pace fra i suoi valori centrali. Il “pride” di Tel Aviv è il maggiore del mondo, l’eguaglianza dei diritti e obbligatoria. Netanyahu non derogherà dal retaggio che gli ha oltretutto consentito di concludere i Patti di Abramo e di creare la start-up nation. Cresce la religiosità, vero, ma in parallelo anche il liberalismo. Ben Gvir ha portato a casa tanti voti perché il governo in carica non ha saputo affrontare la sofferenza del cittadino comune, la serqua incessante di attentati: solo nell’ultima settimana tre. La sommossa recente della componente araba, la violenza con gli slogan di “morte agli ebrei” a Ramla, a Lod, a Haifa, le sassaiole, le bombe molotov, il fuoco hanno suscitato un senso di insicurezza, a fronte delle regole restrittive della polizia e dell’esercito. Ben Gvir ha pubblicamente sconfessato il suo passato (quanti, nel mondo, possono dichiararsi degli eterni compassati liberali?) e benché agitato e retorico, non ha chiamato né alla sovversione delle regole della democrazia né alla punizione collettiva degli arabi. Ha chiesto un paese più severo, degli organi dello stato più duri e persino una riforma della magistratura. Certo, è di destra sulla pena di morte per i terroristi, ma anche gli Usa ce l’hanno: non è una buona cosa, ma non c’entra il fascismo. Netanyahu mai accetterà, da liberale, che la libertà venga intaccata, che la religione diventi legge oltre il limite, lui che è laico. La questione degli LGTBQ: Ben Gvir si è rimangiato le stupidaggini maschiliste, ha dichiarato che se suo figlio fosse gay lo abbraccerebbe. Amir Ohana, un eccellente ministro dei governi Netanyahu, è un gay dichiarato, col suo partner padre di due gemelli. Nessuno ha trovato da ridire quando nel governo Bennett-Lapid dichiarava tutto il suo disprezzo per la categoria Mansour Abbas, il capo del partito Ra’am al governo. Né si è letta una riga sull’esaltazione del terrorismo dei parlamentari arabi. I diritti umani che si teme vengano violati si dimenticano quando si dice di tremare per i palestinesi, da decenni sotto un regime dispotico che li sacrifica e perseguita il dissenso finanziando il terrore che ha causato la reazione popolare israeliana. Adesso è tempo per Israele di cercare la calma, nonostante gli isterismi mondiali.
(Da: fiammanirenstein.com, 6.11.22)

Ci scrive Sergio Della Pergola: All’attenzione di Fiamma Nirenstein: il deputato e futuro ministro Bezalel Smutrich ha chiesto la soppressione dei reati di truffa e abuso di potere, di cui è accusato Netanyahu. Numerosi deputati della nuova maggioranza hanno chiesto la soppressione dell’indipendenza della magistratura rispetto al governo. Alcuni deputati tra i quali Ben Gvir furono coinvolti indirettamente nel delitto Rabin nel 1995. Le tue risposte?
(Da: israele.net, 6.11.22)

Per chi (non) avrebbe votato Herzl

Yuval Noah Harari

Scrive Yuval Noah Harari: Nel 1902 Theodor Herzl, fondatore del moderno sionismo politico, pubblicò il suo libro Altneuland (“Antica Nuova Terra”) in cui delinea la sua visione di uno stato ebraico in Terra d’Israele. Quando il libro uscì per la prima volta, venne liquidato come fantascienza. Con il senno di poi, si è rivelato essere uno dei libri più audaci e preveggenti dei tempi moderni. Tutti abbiamo sentito parlare di questo libro, ma di cosa parla? La trama tratta, tra l’altro, di una immaginaria campagna elettorale nello stato ebraico, nella quale un partito populista guidato da tale Rabbi Geyer chiede di negare la cittadinanza ai non ebrei. Herzl aveva un certo talento per le profezie.

Herzl denuncia questo Rabbi Geyer come un razzista che divide la popolazione per brama personale di potere, infrangendo i principi su cui è stato fondato il paese e i veri valori dell’ebraismo. E spiega che dopo i secoli di persecuzioni che il popolo ebraico ha vissuto in prima persona e dopo la discriminazione che ha subito per duemila anni a causa della sua diversa razza o religione, gli ebrei non possono discriminare a loro volta sulle stesse basi. In uno dei passi salienti del libro, Herzl descrive una fatidica manifestazione elettorale in cui rappresentanti dei diversi partiti presentano le loro piattaforme agli elettori e ne chiedono il sostegno. Il rappresentante di Rabbi Geyer propone una politica discriminatoria nei confronti dei non ebrei. Herzl dà voce ai propri pensieri attraverso uno dei protagonisti del libro che rimprovera Geyer e spiega che la strada indicata da lui e dai suoi seguaci porterà al disastro il paese, che alle persone non devono essere negati i diritti solo per non essere ebree e che la libertà di pensiero, la tolleranza e l’amore per il prossimo sono ciò che rende Sion ciò che è. Nell’immaginaria campagna elettorale vagheggiata da Herzl, Rabbi Geyer subisce una sconfitta decisiva. Herzl descrive lo stato ebraico come un luogo tollerante in cui ebrei, musulmani, cristiani ed anche “credenti in Buddha e bramini” vivono fianco a fianco e godono di eguali diritti. E “se lo vorrete, non sarà un sogno” (cit. da Altneuland, ndr)
(Da: YnetNews, 31.10.22)