Elezioni in Israele 2022: ulteriori spunti di riflessione

Preoccupazioni della minoranza e rassicurazioni della maggioranza, votate in realtà da un numero quasi uguale di elettori

Il leader del Likud Benjamin Netanyahu (a sinistra) riceve lunedì a Tel Aviv il leader di Otzma Yehudit, Itamar Ben Gvir (secondo da destra), per i primi colloqui informali di coalizione

I risultati finali delle elezioni del primo novembre hanno messo in risalto un dato sorprendente circa l’entità della sconfitta dei partiti del blocco anti-Netanyahu: il conteggio dei voti in cifra assoluta mostra che solo 30.293 elettori separano i due campi politici contrapposti. Tuttavia, sebbene questo divario, in base al totale dei voti validi espressi, rappresenti meno di un seggio alla Knesset, la coalizione entrante potrà contare su una netta maggioranza di otto seggi (64 contro 56).

In cifra assoluta, l’alleanza destra+religiosi formata da Likud, Sionismo Religioso, Shas ed Ebraismo Unito della Torà ha ottenuto 2.303.964 voti. Se si aggiungono i voti dispersi del partito HaBayit HaYehudi (la Casa Ebraica) di Ayelet Shaked (che però non ha raggiunto il quorum del 3,25%), il numero totale di elettori che hanno votato per il blocco pro-Netanyahu ammonta a 2.360.757. Dal canto loro, gli otto partiti di quello che si può definire il blocco anti-Netanyahu (comprendente i partiti della coalizione uscente più le liste arabe Hadash-Ta’al e Balad) hanno ottenuto in totale quasi lo stesso numero di voti: 2.330.464 voti. Questa cifra include i 288.789 voti per il partito dell’estrema sinistra sionista Meretz e per il partito arabo anti-sionista Balad che tuttavia non hanno superato il quorum. Il Meretz ha ricevuto 150.696 voti, pari al 3,16% dei voti espressi: solo 4.124 voti meno di quelli che occorrevano per varcare la soglia elettorale ed entrare alla Knesset. Balad ha ricevuto 138.093 voti, pari a circa il 2,9% dei voti totali. Questi 288.789 voti dispersi corrisponderebbero grosso modo a più di sette seggi alla Knesset (si tratta di una stima approssimativa perché il calcolo con cui vengono assegnati i seggi è complicato da altri fattori come gli accordi pre-elettorali sulla distribuzione dei resti).

In sintesi, se Meretz si fosse candidato in una lista congiunta con i Laburisti, come ha cercato di fare e come aveva auspicato invano il primo ministro uscente Yair Lapid, e se Balad non si fosse staccato da Hadash-Ta’al, è probabile che la distribuzione dei seggi nella nuova Knesset non avrebbe assegnato al blocco pro-Netanyahu la netta maggioranza che ha oggi (probabile ma non sicuro, poiché nulla garantisce che di fronte a liste diversamente accorpate tutti gli elettori avrebbero fatto le stesse scelte). Ciò non significa che vi sarebbe stata una maggioranza alternativa a quella pro-Netanyahu, dal momento che i partiti del blocco avversario non sono politicamente sommabili: in particolare, quasi certamente le formazioni arabe Hadash-Ta’al e Balad, benché schierate nel campo anti-Netanyahu, a differenza della lista araba Ra’am non avrebbero sostenuto nessuna coalizione di governo, né aderendvi né appoggiandola dall’esterno.

(Da: Times of Israel, 3.11.22)

La caricatura di un governo non ancora formato serve per attaccare e indebolire Israele

Stephen M. Flatow

Scrive Stephen M. Flatow: Il conteggio dei voti era ancora in corso e già iniziavano attacchi e condanne, ancor prima che il nuovo governo venisse formato. La realtà è che nessuno dei partiti che dovrebbero formare il prossimo governo corrisponde perfettamente agli stereotipi che i critici sovreccitati deprecano in anticipo.

“Estremista e anti-palestinese”? Benjamin Netanyahu ha ufficialmente detto che accetterebbe un’entità palestinese smilitarizzata che fosse quasi uno stato. E i precedenti governi del Likud guidati da Netanyahu hanno aderito agli accordi di Oslo, hanno congelato tutte le attività edilizie ebraiche in Giudea e Samaria per 10 mesi (nella vana speranza che questo riportasse i palestinesi al tavolo negoziale ndr), hanno scarcerato terroristi arabi come “gesti di buona volontà” verso l’Autorità Palestinese, hanno ceduto gran parte della città di Hebron. Non sto discutendo se che queste azioni fossero sagge o meno. Sto semplicemente ricordando i fatti. E i fatti non supportano l’isteria dei critici.

Che dire del partito Sionista Religioso, che dovrebbe essere il principale partner del Likud nella coalizione? E’ a favore dell’espulsione di terroristi arabi condannati. Ma è lo stesso che fece Yitzhak Rabin: basta ricordare i 415 terroristi di Hamas che Rabin espulse in Libano nel 1992. E la Corte Suprema israeliana ha ripetutamente avallato l’espulsione come una legittima punizione per i terroristi. Un partito politico dovrebbe essere considerato illegittimo perché è a favore dell’espulsione dei terroristi? Shimon Peres non la pensava così. Fu ministro degli esteri e vice primo ministro nel governo di unità nazionale del 2001-2002 insieme al ministro del turismo Rehavam Ze’evi e al successore di Ze’evi, Benny Elon, il cui partito Moledet era a favore del “trasferimento volontario” degli arabi fuori da Giudea e Samaria: attenzione, non solo dei terroristi ma degli arabi in generale. E Peres non era l’unica figura di spicco della sinistra che si sentiva a proprio agio in un governo con quel partito. Tommy Lapid, padre del primo ministro israeliano uscente Yair Lapid, fu ministro della giustizia e vice primo ministro insieme a Elon in una coalizione di governo nel 2004. Di nuovo, non sto dicendo se Peres o Lapid senior fecero bene o male. Sto solo ricordando i fatti.

E i due partiti ortodossi, Shas ed Ebraismo Unito della Torà? Corrispondono allo stereotipo di estremisti di destra? Mica tanto. La presenza di Shas nel governo Rabin del 1992-1995 è ciò che rese possibile l’approvazione degli accordi di Oslo. Ed Ebraismo Unito della Torà ha fatto parte di governi sia di centro-destra che di centro-sinistra. Ovviamente sulle questioni religiose i partiti ortodossi hanno posizioni con cui altri ebrei non ortodossi non concordano. Ma non è corretto appiattire quei partiti su uno stereotipo solo perché le loro opinioni non si allineano con ciò che preferiscono i loro oppositori. Shas ed Ebraismo Unito della Torà sono parte pienamente legittima del sistema democratico e rappresentano segmenti sostanziali dell’elettorato israeliano.

Il vero problema è che i fieri avversari di Israele non sono sinceramente preoccupati per la democrazia israeliana né si curano di ciò che vogliono gli elettori israeliani. In realtà hanno un solo obiettivo implacabile e ossessivo: realizzare uno “stato di Palestina” esattamente sulle ex linee armistiziali del periodo 1949-67 che vedevano Israele stretto in soli 14 km fra i suoi nemici e il mare. Finché il governo israeliano – qualsiasi governo israeliano – si opporrà a questo obiettivo, quei critici lo attaccheranno con forza. Faranno tutto il possibile per intimidire il governo israeliano e spaventare i suoi sostenitori. Useranno ogni mezzo per isolare e demoralizzare Israele e i suoi amici: etichette insultanti, editoriali furibondi, minacce di ogni tipo. Non è piacevole, ma è il prezzo da pagare per la sopravvivenza di Israele.
(Da: Jerusalem Post, 7.11.22)

Svuotare di poteri la Corte Suprema significa svuotare la democrazia israeliana, mettendo a repentaglio i diritti delle minoranze

La testata di Haaretz, letteralmente “La Terra (d’Israele)”

Scrive l’editoriale di Ha’aretz: La coalizione che ha vinto le elezioni mira a legare le mani al sistema giudiziario in modo da poter legiferare senza supervisione e senza restrizioni. Il primo strumento per realizzare questa visione è l’approvazione di una legge che consenta a 61 dei 120 parlamentari della Knesset di annullare le decisioni della Corte Suprema. Ciò consentirebbe alla Knesset di ri-approvare leggi “bocciate” dalla Corte Suprema, e in pratica di varare leggi che si sa sin dall’inizio essere in contraddizione con le Leggi Fondamentali.

In Israele, che non ha una costituzione, le Leggi Fondamentali stabiliscono i meccanismi di governo, la divisione dei poteri e la tutela dei diritti umani. Negli ultimi 30 anni, l’attività legislativa della Knesset è stata oggetto di controllo giurisdizionale da parte della Corte Suprema. Quando una legge vìola i diritti umani per uno scopo incoerente con i valori di Israele come stato ebraico e democratico, o in misura eccessiva rispetto a quanto richiesto dal suo scopo, la Corte Suprema può respingere la legge e dichiararla “incostituzionale”. Per anni, la Corte ha utilizzato questo potere con parsimonia (in una ventina di casi).

La clausola di “prevalenza” (della Knesset sulla Corte Suprema ndr) consentirebbe in pratica a una legge ordinaria di scavalcare una Legge Fondamentale. E se la maggioranza richiesta fosse di soli 61 parlamentari su 120, questo significherebbe dare mano libera alla maggioranza per fare ciò che vuole.

Il sistema di governo israeliano non ha i controlli e contrappesi che esistono in altri paesi, come ad esempio un sistema bicamerale, un presidente con potere di veto ecc. E non ha una costituzione forte, difficile da emendare. Con la clausola di “prevalenza” non resterebbe quasi nessun controllo e contrappeso rispetto al potere della maggioranza e Israele si trasformerebbe in una democrazia vuota in cui la maggioranza potrebbe violare i diritti delle minoranze.

Se fin qui si è parlato di una clausola di “prevalenza costituzionale”, di recente alcuni membri della futura coalizione di governo hanno parlato anche della possibilità di emanare una clausola di “prevalenza” che conferisca alla Knesset il potere di annullare persino le sentenze amministrative, vale a dire le sentenze che impediscono a qualsiasi governo di ignorare le leggi ordinarie. Una tale clausola sostanzialmente abolirebbe la Corte Suprema. Se il primo ministro in pectore Benjamin Netanyahu fa sul serio quando dice che non intende affatto demolire il sistema giudiziario e le garanzie democratiche, allora deve rimuovere dall’agenda della sua coalizione l’idea folle di emanare qualsiasi clausola di “prevalenza”.
(Da: Ha’aretz, 7.11.22)

Itamar Ben Gvir: “Fratelli miei di sinistra, datemi una chance”

Itamar Ben Gvir

In un articolo pubblicato lunedì su Israel HaYom, il controverso parlamentare di Sionismo Religioso Itamar Ben Gvir ha promesso “ai miei fratelli di sinistra” che “questa non è la fine del vostro paese”. “Nonostante i disaccordi e nonostante la demonizzazione e l’odio – scrive il divisivo esponente di estrema destra considerato anti-arabi e anti-LGBT – nonostante tutto siamo fratelli!”. Ben Gvir respinge i timori di una possibile coercizione religiosa o di una “polizia del pensiero” e rifiuta l’insinuazione che, se nominato ministro della pubblica sicurezza, non garantirebbe la protezione della polizia alla parata Gay Pride. “Forse che voglio vedere l’atroce omicidio di una ragazza che partecipa alla parata? – chiede Ben Gvir, riferendosi al mortale accoltellamento della 16enne Shira Banki ad opera dell’estremista ultra-ortodosso Yishai Schlissel durante il Gay Pride di Gerusalemme del 2015 – Certo che no, e anche se non sono entusiasta della parata farò in modo che la vita dei manifestanti sia protetta a tutti i costi”. Ben Gvir fa anche riferimento ai suoi noti trascorsi da attivista estremista, incluse le minacce all’allora primo ministro Yitzchak Rabin, e scrive: “Sono maturato, mi sono moderato e ho capito che la vita è più complicata”.
(Da: Israel HaYom, 7.11.22)