Elezioni per la 23esima Knesset: la posta in palio non è vincere, ma rimanere in gioco

Likud e Blu-Bianco si sono dimostrati incredibilmente resistenti in una gara che verosimilmente non si risolverà con un K.O. ma in un’estenuante guerra di logoramento (forse con un quarto round)

Di Haviv Rettig Gur

Haviv Rettig Gur, autore di questo articolo

Trecentoventinove giorni separano il giorno delle elezioni del 9 aprile 2019 – un’epoca innocente, quando gli israeliani non sapevano ancora che le loro leggi avrebbero permesso uno stallo politico lungo un anno – dal giorno delle elezioni di questo lunedì 2 marzo 2020. Trecentoventinove giorni di estenuante impasse politica.

Nelle scorse settimane, e specialmente negli ultimi giorni prima del voto di lunedì, è apparso chiaro che la situazione di stallo, da intoppo aritmetico, si è trasformata nella realtà fondamentale dell’attuale congiuntura politica israeliana: ha plasmato la campagna e la psicologia dei due candidati principali e ha alimentato nuovi livelli di animosità nelle loro strategie elettorali.

Lo scorso aprile, un Likud a 35 seggi aveva dovuto prendere atto che anche il suo novello avversario poteva ottenere 35 seggi. E aveva anche scoperto, nell’ultimo giorno di trattative per la coalizione e troppo tardi per poter rimediare, che l’antico alleato Avigdor Liberman del partito Israel Beytenu non era più un socio su cui la destra tradizionale potesse contare.

A settembre, Blu-Bianco perse due seggi, ma il Likud ne perse tre. Il calo di Blu-Bianco non era stato causato da un calo di elettori (in realtà aveva ottenuto 25.000 voti in più rispetto ad aprile), quanto piuttosto dalla complicata matematica del quorum, la soglia minima per entrare alla Kneset. Diverse formazioni della destra nazional-religiosa si erano unite al partito Yamina evitando così di ripetere la dispersione di voti, per un totale di circa tre seggi, che si era avuta quando la Nuova Destra non era riuscita a superare la soglia elettorale del 3,25%. Nel frattempo il partito Kulanu, che ad aprile aveva ottenuto quattro seggi, era confluito nel Likud ma non era riuscito a portare con sé i suoi elettori, che si sono dimostrati più propensi a votare Blu-Bianco. Ma l’apporto degli elettori delusi di Kulanu al partito centrista di Gantz è stato controbilanciato dalla perdita di decine di migliaia di sostenitori di lingua russa passati a Israel Beytenu, molti dei quali attratti dalla nuova veemenza laicista di Liberman: quella stessa veemenza laicista che aveva reso inevitabili le elezioni di settembre e che hanno fatto passare la formazione di Liberman dai cinque seggi si aprile agli otto di settembre.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (a sinistra) ne il leader di Blu-Bianco, Benny Gantz

Quindi, se è vero che alcuni seggi si sono spostati e che alcuni elettori hanno riconsiderato le proprie scelte, ciò che sorprende di più nelle due tornate elettorali del 2019 è stata la sostanziale fedeltà dimostrata dalla stragrande maggioranza degli elettori. E l’inattesa capacità di resistenza di Blu-Bianco. Al contrario, il Likud, nonostante la fusione con Kulanu, ha perso di fatto circa 35.000 voti, pari più o meno al 3% di quanto aveva preso in aprile.

Queste cifre possono sembrare delle minuzie a chi cerchi di cogliere le grandi tendenze e il significato complessivo del voto di questo lunedì. Ma è proprio qui il punto: i processi elettorali sono ormai assorbiti dalla conquista delle minuzie: un’aspra guerra di trincea che definisce i propri obiettivi in termini di guadagni minimi e che si aggrappa disperatamente a ogni lieve progresso: non per la vittoria, ma per confermare una narrazione che mantenga aperta la possibilità della vittoria nella successiva, ennesima tornata elettorale.

Quella che era iniziata il 21 febbraio 2019, giorno della nascita di Blu-Bianco, come la sfida più robusta degli ultimi dieci anni al governo di Benjamin Netanyahu, nell’arco di tre cicli elettorali si è trasformata in una guerra elettorale d’attrito tra due colossi inaspettatamente resistenti, che non ha precedenti nella storia di questo paese. Si consideri il risultato politico che la competizione di lunedì rappresenta sia per Netanyahu che per Gantz. Netanyahu non ha praticamente perso terreno nei sondaggi dopo l’annuncio delle incriminazioni a suo carico per presunti casi di corruzione (la prima volta che accade per un primo ministro in carica). Gantz, dal canto suo, ha dimostrato di saper domare e tenere uniti tre partner estremamente ambiziosi – Yair Lapid, Moshe Ya’alon e Gabi Ashkenazi – per un intero anno di elezioni non decisive, mentre ai tre pervenivano offerte molto generose di posti e influenza politica da parte del Likud e fra i ranghi dei loro attivisti si registravano non pochi battibecchi. È a dir poco sorprendente e (sebbene il termine sia ormai inflazionato) senza precedenti il fatto che entrambe le parti sono state capaci di tenere insieme fino a questo punto le loro macchine politiche e il rispettivo seguito.

Poster elettorali in Israele

Dunque, alla luce di tutto questo, in che posizione si trovano le due parti alla vigilia del giorno delle elezioni? In estrema sintesi: sia Netanyahu che Gantz sono bloccati. Salvo significative sorprese nel tasso di affluenza alle urne (il corona-virus potrebbe metterci uno zampino) o un afflusso eccezionale non previsto dai sondaggi in certi specifici seggi elettorali (arabi, ultra-ortodossi), allo stato attuale Netanyahu si avvicinerebbe, ma non arriverebbe ancora a disporre di una coalizione di maggioranza (61 seggi) contando solo sui partiti della destra e sui religiosi ultra-ortodossi. E Liberman è meno probabile oggi, rispetto a prima, che entri nella coalizione di Netanyahu. I due uomini hanno condiviso una storia lunga e per lo più sgradevole, e Liberman sa che la sua attuale crescita proviene da elettori (laicisti) che preferiscono un governo Blu-Bianco a un governo Likud.

Anche Gantz è bloccato. Blu-Bianco può aver nutrito la vaga speranza di formare un governo di minoranza sostenuto dall’esterno, secondo necessità, dai voti degli ultra-ortodossi e/o dell’Israel Beytenu d Liberman e/o dai voti della Lista (araba) Congiunta. Ma quella speranza tende a svanire. Governi di minoranza di questo tipo sono esistiti in altre democrazie, ma non sono mai stati il veicolo per una governance stabile nel sistema politico israeliano. In parole povere, un governo del genere dipenderebbe da ciascuno di quegli interessi divergenti per ogni scelta politica e ogni disegno di legge, e quindi sarebbe molto difficile da guidare e facile da rovesciare.

Siamo dunque di fronte a due formazioni molto resilienti, ciascuna delle quali ha dimostrato forte temperamento nei confronti dell’altra in due elezioni e in infiniti sondaggi, mentre nessuna delle due è in grado di ottenere una vittoria risolutiva (di nuovo, presumendo che i sondaggi siano corretti). Questa è la realtà che ha plasmato la competizione di lunedì. Non si tratta più di una gara per la vittoria piena. Supponendo che nessuna delle due formazioni imploda improvvisamente – cosa che entrambe hanno sperato per undici mesi che accadesse all’altra, con il Likud che definiva Blu-Bianco una “moda passeggera” e Blu-Bianco che aspettava col fiato sospeso i sondaggi post-incriminazione di Netanyahu – la battaglia si gioca attorno a quella che sarà la narrativa post-voto. Visto che la vittoria non arriva più in una singola tornata elettorale, deve essere perseguita in un lento, graduale logoramento dell’avversario. E così i piccoli spostamenti improvvisamente contano molto.

I partiti della 22esima Knesset: voti in cifra assoluta e percentuale, numero di seggi, variazione rispetto alla Knesset precedente (clicca per ingrandire)

Il Likud ha perso seggi ed elettori da aprile a settembre, anche in alcuni luoghi considerati suoi bastioni di lunga data come le “città di sviluppo” nelle “periferie” nord e sud del paese. Un calo di questo genere, se confermato lunedì (ma gli ultimissimi sondaggi dicono una cosa diversa), trasformerebbe Netanyahu da invincibile mago politico della destra in un asso in calo lento, ma costante. Gantz ha meno da dimostrare, ma un ambiente politico più fragile in cui dimostrarlo. A settembre ha perso seggi, ma ha guadagnato elettori. Eppure, diversamente da Netanyahu, solo tre o quattro persone detengono la chiave della sua sopravvivenza politica. La formazione Blu-Bianco si è dimostrata sorprendentemente salda, ma nessuno sa davvero quanti cicli elettorali può sopportare senza che abbandonino la nave i partiti che la costituiscono, in particolare Yesh Atid di Lapid e la sua solida rete di attivisti di base. Il che sarebbe particolarmente vero se i risultati di lunedì dovessero privare Gantz dell’argomento secondo cui continua a guadagnare terreno, per quanto lentamente e affannosamente.

Spesso le narrazioni politiche tendono ad auto-avverarsi. Una volta che la palla inizia a rotolare in una direzione o nell’altra, può risultare molto difficile contrastare la narrazione che si va imponendo. La paura del fallimento può accelerare il fallimento. Tutto ciò porta a una conclusione evidente: ognuna delle due parti è ossessionata dalla prospettiva di perdere. Non di perdere le elezioni, ma di perdere un solo seggio. E questa brama per un minimo guadagno, questo imperativo di evitare a tutti i costi l’immagine di un possibile declino, hanno dato vita a una rozza campagna elettorale caratterizzata da manipolazioni senza scrupoli e astio crescente. Sabato sera Gantz ha detto che Netanyahu e il Likud “non hanno freni [etici]” in ciò che sarebbero disposti a fare per vincere, e quindi gli elettori devono stare in guardia rispetto a tentativi di turbare le elezioni. Netanyahu, dal canto suo, ha finito col praticare una campagna tesa a insinuare che Gantz sia mentalmente incapace, che sia ricattabile dall’intelligence iraniana e che sia un leader incompetente (benché in passato sia stato più volte elogiato dallo stesso Netanyahu quando era capo di stato maggiore delle Forze di Difesa israeliane).

La giornata elettorale potrebbe rivelarsi ancora più sgradevole. Ogni singolo elettore che rimarrà a casa, ogni singolo elettore che sarà spinto al seggio dalla paura e dalla rabbia (note per essere motori dell’azione umana ben più potenti delle emozioni più benevole) potrebbe essere l’elettore che farà saltare questo equilibrio esasperante. Quindi nessuno dovrebbe sorprendersi se entrambe le formazioni hanno già iniziato ad attrezzarsi per un quarto round.

(Da: Times of Israel, 1.3.20)