Esito elettorale e nuovo governo in Israele: opinioni a confronto

Da un lato l'appello a capire e rispettare il voto popolare senza condannare pregiudizialmente un governo non ancora formato. Dall’altro, il timore che venga stravolto il volto dello Stato con l’avvento di un’era oscurantista

Di Hillel Newman, Sharon Roffe Ofir

Hillel Newman

Scrive Hillel Newman: Negli ultimi mesi Israele ha subìto un grave aumento degli attacchi terroristici che hanno provocato vittime sia civili che militari. Gli attentati sono stati perpetrati principalmente da terroristi palestinesi che hanno approfittato dei permessi di lavoro in Israele per uccidere a sangue freddo persone innocenti. La scorsa settimana, uno studente 16enne di yeshivà (scuola talmudica) è stato assassinato mentre aspettava l’autobus a Gerusalemme. La settimana prima, tre civili israeliani erano stati uccisi a coltellate e investiti con l’auto nella città di Ariel. Questi fatti evidenziano la necessità di avere in Israele un governo stabile che affronti le sfide della sicurezza a testa alta e ripristini la deterrenza.

Lo scorso 13 novembre il presidente israeliano Isaac Herzog ha incaricato il leader del partito Likud Benjamin Netanyahu di formare un governo. Molti editorialisti hanno analizzato il risultato delle elezioni israeliane, trascurando per lo più le questioni interne che ne stanno al centro. Il processo elettorale è stato innanzitutto una dimostrazione della vibrante democrazia d’Israele. L’elettorato che nelle precedenti elezioni aveva espresso la volontà che Netanyahu non avesse la maggioranza, in queste ultime elezioni ha deciso di restituirgli quella maggioranza. E la volontà dell’elettorato è decisiva. Pochissimi stati in Medio Oriente hanno un sistema politico per cui un premier può essere rovesciato e poi reintegrato sulla base del voto popolare. Lo slogan nelle convention dei partiti politici era meshilut, che potremmo tradurre “governabilità”: un chiaro riferimento alle questioni della sicurezza interna e della riforma giudiziaria, che molto probabilmente saranno i punti di massima priorità nell’agenda del governo entrante. Oltre agli attacchi terroristici, i contadini del Negev si trovano costantemente sotto attacco da parte di vicini arabi. Spesso trascorrono la notte sui loro trattori per proteggere attrezzature e raccolti dai quali dipende il loro sostentamento. Il partito Sionista Religioso ha identificato questo problema come un motivo di grave preoccupazione e lo ha messo al centro della sua campagna.

Il leader del Likud Benjamin Netanyahu (a sinistra) riceve a Tel Aviv il leader di Otzma Yehudit, Itamar Ben Gvir (secondo da destra), per i primi colloqui di coalizione

Questa posizione politica è stata una delle ragioni principali dell’ascesa di quel partito sotto la guida di Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir. Anche la riforma giudiziaria è stata un elemento importante. Molti ritengono che il sistema di giustizia penale israeliano sia stato utilizzato come un’arma al servizio di motivazioni politiche. Vi è una crescente sfiducia nell’imparzialità della pubblica accusa, accompagnata da una richiesta di maggiore accountability (responsabilizzazione) del sistema giudiziario e di maggiore chiarezza nei capi d’imputazione. Indipendentemente dalle diverse posizioni politiche, sono tutte questioni legittime che vengono proposte al discorso e al dibattito pubblico. La maggior parte delle riforme invocate sono già previste in altri sistemi democratici.

Ma ancor prima che necesse una coalizione di governo, e prima che ne venisse stabilita la politica, sono stati scritti innumerevoli articoli tesi a denigrare e delegittimare il governo entrante, con alcuni che si sono spinti al punto di definirlo una terrificante “coalizione di razzisti”. In Israele, ciò che viene visto davvero come terrificante è questa corsa a condannare in anticipo un governo legittimo democraticamente eletto. Per la maggior parte quegli articoli accusatori ignorano del tutto il terrorismo palestinese e trascurano i risultati dei precedenti governi Netanyahu. Ma uno sguardo più approfondito alla situazione in Israele non supporta le tesi dei tanti editorialisti che lanciano allarmi circa lo spostamento della politica israeliana verso l’estrema destra. Già nel governo precedente c’era un solido blocco di più di 70 deputati conservatori. Naftali Bennet, l’ex premier, si era candidato su una piattaforma conservatrice affermando di essere “più a destra di Bibi”.

Molte delle accuse si concentrano su un eletto in particolare, il leader del partito Otzma Yehudit Itamar Ben-Gvir. Ha un passato problematico. Una volta apparteneva al partito di Kahane messo fuorilegge. In passato è  stato incriminato per attività di estrema destra e ha rilasciato dichiarazioni estremiste. Tuttavia, negli anni successivi ha espresso rammarico per le sue azioni passate e ha dichiarato pubblicamente di non aderire più a quelle vecchie piattaforme. E’ per questo che la sua candidatura è stata approvata dalla Corte Suprema d’Israele. Coloro che criticano Ben-Gvir sembrano dimenticare che sotto il precedente governo, guidato da Yair Lapid e Bennett, faceva parte della coalizione il partito islamista Ra’am: un partito accusato da molti in Israele di avere una storia di affiliazione con l’estremista Fratellanza Musulmana (e di avere posizioni misogine e omofobe ndr). Ma le voci oggi tanto preoccupate, allora non sollevarono le stesse obiezioni: facevano affidamento sul fatto che la Corte Suprema, nonostante la storia problematica del partito, aveva approvato la sua partecipazione alle elezioni. Lo stesso dovrebbe valere per Ben-Gvir. Se ci si fida del sistema quando ha agito contro l’estremismo e in passato ha persino arrestato Ben-Gvir, ci si deve fidare del sistema quando invece lo approva. Non è un delitto essere di destra. È un delitto diffamare Israele e il primo ministro eletto d’Israele con accuse sconsiderate.

Quello che bisogna fare è rafforzare la vera tolleranza democratica nel discorso politico. Rispettare il voto popolare anche se porta al potere il partito che non si sostiene fa parte di quella tolleranza. Ci auguriamo che la relativa stabilità del governo entrante possa garantire la sicurezza che la popolazione d’Israele si merita, rafforzare il ruolo di Israele come leader globale nell’innovazione e promuovere il rafforzamento della normalizzazione dei rapporti in Medio Oriente.
(Da: jns.org, 30.11.22)

Sharon Roffe Ofir

Scrive Sharon Roffe Ofir: È passato un mese dall’ultima tornata elettorale israeliana e, a giudicare dalle richieste messe sul tavolo delle trattative dai futuri partner della coalizione di Benjamin Netanyahu, sembra che il nuovo governo israeliano cambierà il volto del paese. Gli accordi di coalizione che stanno emergendo danneggeranno lo status del sistema giuridico, eroderanno i diritti delle donne e della comunità LGBT, metteranno in difficoltà chi lotta contro la delegittimazione di Israele, nuoceranno alle relazioni del paese con la Diaspora, tra l’altro modificando la Legge del Ritorno. Gli accordi in cantiere includono una pletora di richieste pericolose e misogine che ci riporteranno indietro di anni luce rispetto al percorso immaginato dalla visione del profeta dello Stato d’Israele, Theodor Herzl. I chierici religiosi che Herzl voleva relegare nel loro templi sono quelli che stanno conducendo le trattative per la coalizione, e quando la coalizione verrà formata saranno loro a tracciare il nuovo percorso di Israele. La realtà che si vuole imporre è quella in cui uno stato democratico sionista sarà sostituito da uno stato halakhico (governato dalle leggi religiose ndr).

Per cogliere appieno la profondità degli eventi, dobbiamo guardare a ciò che è accaduto in quest’ultimo mese. Non si erano ancora calmate del tutto le acque della quinta tornata elettorale in quattro anni che già venivano sparati i primi colpi tesi a tracciare la realtà che ci attende. Il primo a scendere in campo è stato il presidente del partito Sionista Religioso Bezalel Smotrich, che in una lettera al presidente della Federcalcio israeliana ha protestato contro il fatto che le partite si svolgano di sabato. “Il calcio di Shabbat non è sportivo e non è ebraico” ha scritto Smotrich, dando vita a una tempesta di polemiche e, con esse, alla nuova era politica. Naturalmente la vicenda non riguarda il calcio quanto piuttosto il carattere dello Stato d’Israele e il futuro di tutti noi che siamo suoi abitanti.

Il leader del Likud Benjain Netanyahu (a sinistra) e il leader del partito Sionismo Religioso Bezalel Smotrich alla firma dell’accordo di coalizione giovedì a Gerusalemme

Per comprendere le questioni in modo completo bisogna tornare alle basi della visione che aveva Herzl dello Stato degli ebrei. Nel suo libro Der Judenstaat [1896], Herzl spiegava come vedeva la struttura del potere, la società, l’economia, la difesa e il rapporto religione/stato nella futura entità ebraica. Scriveva: “Lasceremo che i sacerdoti della nostra religione ci governino? No! La fede è qualcosa che ci unisce, ma dobbiamo perseguire con forza la sapienza e le scienze. E dunque oltrepasseremo tutti i trucchi dei nostri sacerdoti che diranno che dovrebbero governarci, perché sapremo relegarli nel Tempio divino. Ma per quanto riguarda gli affari di stato, di cui cercheranno l’onore, non devono avere alcun ruolo, in modo da garantirci che non portino disgrazia dall’interno e dall’esterno”. Il contributo della visione di Herzl allo Stato che alla fine è stato istituito è innegabile, ma la realtà attuale di Israele è quella in cui le istituzioni religiose ultra-ortodosse ricevono budget statali ma lasciano fuori dai programmi delle loro scuole Herzl e i leader del movimento sionista.

In un’epoca in cui è lecito riscrivere la storia e dimenticare da dove veniamo e dove siamo diretti è anche possibile cambiare rotta e cambiare la struttura politica esistente. Gli esempi di come ciò possa avvenire si stanno accumulando rapidamente. Il rabbino capo Yitzhak Yossef ha chiesto che i negoziati di coalizione includano una clausola che permetta di scavalcare le sentenze della Corte Suprema e un aumento dei budget per gli studenti di yeshivà. Si sono tenuti incontri in casa del rabbino Haim Drukman per rafforzare il potere politico del suo discepolo Smotrich, e quei rabbini hanno sostenuto la sua richiesta di essere nominato ministro della difesa e sono intervenuti nelle politiche di difesa di Israele. Quando la richiesta di nominare Smotrich ministro della difesa è fallita, l’hanno trasformata nella richiesta di nominarlo ministro delle finanze. A questo si aggiungono le pericolose posizioni del rabbino Zvi Thau, uno dei capi spirituali della fazione Noam che ha passato il quorum elettorale nella lista dei Sionisti Religiosi e che ha già raggiunto un accordo con Netanyahu che renderà il suo leader Avi Maoz viceministro nell’ufficio del primo ministro da dove potrà promuovere la visione del suo maestro. E poi c’è l’Admor del movimento chassidico Gur che incarica il capo del partito Ebraismo Unito della Torà Yitzhak Goldknopf di nominare uno dei discepoli del rabbino come direttore generale del ministero dell’edilizia, che Goldknopf sarebbe destinato a guidare. I chierici religiosi sono coloro che gestiranno la nostra vita, e questo è solo un elenco parziale di esempi recenti.

Il panorama di Gerusalemme visto dall’interno della sede della Corte Suprema d’Israele

Il presidente di Ebraismo Unito della Torà Moshe Gafni ha dichiarato a un evento elettorale che “senza una clausola di prevalenza sulla Corte Suprema, il governo non nascerà”: fragorosamente applaudito dai presenti e da coloro che capiscono bene il senso di quel raduno. Il giorno dopo l’evento, i mass-media riportavano la notizia di una serie di richieste fatte dal partito Shas, tra cui un disegno di legge per l’esenzione (degli ultra-ortodossi dal servizio militare ndr), la richiesta che la conversione ebraica venga lasciata interamente nelle mani del Capo Rabbinato e di stanziamenti nel bilancio statale per gli studenti di yeshivà, oltre a quella di allineare i budget per l’istruzione ultra-ortodossa a quelli dei programmi di istruzione laica, raddoppiare gli stipendi per gli studenti di yeshivà sposati e concedere agli studenti yeshivà tariffe scontate sui trasporti pubblici simili a quelle degli studenti universitari. Ma se davvero vogliamo la parità, allora bisognerebbe dare anche agli studenti universitari stipendi come quelli degli studenti di yeshivà: dopotutto quelli, a differenza di questi, prestano servizio militare e, dopo laureati, restituiscono i soldi allo stato attraverso le tasse che pagano quando entrano nel mercato del lavoro contribuendo a sostenere l’economia.

Nel frattempo, il partito Sionista Religioso e i partiti ultra-ortodossi chiedono l’annullamento della “clausola del nipote” nella Legge del Ritorno (che riconosce come ebreo chi ha anche solo un nonno ebreo, e storicamente è stato considerato ebreo dagli antisemiti anche se non lo è ufficialmente per la halakhà ndr): una riforma sbandierata da certi rabbini come un’occasione unica per “rettificare una legge spregevole”, per usare le parole di una lettera inviata dal rabbino chabad Yitzhok Yehuda Yaroslavsky. Al quale evidentemente sfugge che quella legge è l’essenza stessa del sionismo. A questo si aggiunga la richiesta di Yitzhak di separare uomini e donne in eventi pubblici pagati dal contribuente (non si dimentichi chi paga la maggior parte di quelle tasse) e le dichiarazioni misogine fatte da Maoz e dai suoi, nonché le loro posizioni sulla comunità LGBT, sul servizio femminile delle Forze di Difesa, su cambiamenti da introdurre nei contenuti insegnati nelle scuole nonché l’appello ad abolire la carica di consulente di genere presso lo stato maggiore delle forze armate, con la giustificazione che quel ruolo inocula valori estranei alle Forze di Difesa.

Un governo di “destra piena” (come dice Netanyahu ndr)? Nient’affatto. Questo è oscurantismo che cala sul paese. Il governo entrante rischia di stravolgere il volto dello Stato d’Israele. Non ci sarà più equilibrio dei poteri con pesi e contrappesi, e la visione di uno Stato sionista andrà dissolvendosi in lontananza.

(Da: miryaminstitute.org, 30.11.22)