Estremismo scollegato dalla realtà

L’atteggiamento di fondo nella Cisgiordania del boom economico resta simile a quello di Gaza

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2701Mentre gli israeliani continuano a d azzuffarsi su una moratoria delle costruzioni negli insediamenti che l’occidente scredita come insufficiente e i palestinesi respingono come di nessun valore, la popolazione araba palestinese di Cisgiordania ha buoni motivi per sentirsi soddisfatta.
Il primo ministro dell’Autorità Palestinese Salam Fayyad ha detto ai mass-media occidentali che l’economia in Cisgiordania sta conoscendo un boom e che l’anno prossimo si potrebbe registrare una crescita a due cifre. Circa 47.000 palestinesi hanno l’autorizzazione per lavorare in imprese israeliane all’interno della Cisgiordania, circa 1.500 uomini d’affari palestinesi selezionati come VIP dalla stessa Autorità Palestinese hanno il diritto di passare dalla Cisgiordania in Israele e viceversa in qualunque momento. Cittadini arabi israeliani vengono incoraggiati a riprendere i commerci con i loro fratelli di Cisgiordania. I punti di passaggio sono stati potenziati, gli orari di transito fra Cisgiordania e Giordania sono stati ampliati. All’interno della Cisgiordania rimangono i funzione sono solo quattordici importanti posti di blocco delle Forze di Difesa israeliane, con grande facilitazione degli spostamenti della popolazione palestinese fra un centro e l’altro. La disoccupazione in Cisgiordania è scesa al 18% (contro il 40% della striscia di Gaza). La borsa locale è in salita, e lo stesso gli investimenti esteri. A Nablus è stato inaugurato un nuovo centro commerciale; a Jenin è il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha posato la prima pietra di un nuovo quartiere residenziale; progrediscono i progetti per un nuovo sobborgo sui colli presso Ramallah destinato alla classe media palestinese; a Betlemme è aperto il cantiere per una nuova area industriale. Quattro stazioni elettriche sussidiarie, finanziate dall’Unione Europea, sono in fase di progetto, una seconda compagnia di telefoni cellulari palestinese è già on-line. La gente compra auto nuove. Betlemme da sola ha ospitato nell’anno trascorso un milione di turisti. L’import-export della Cisgiordania ha superato quest’anno i 4,3 miliardi di dollari.
Questa relativa prosperità degli abitanti della Cisgiordania li ha forse resi più disponibili al compromesso con Israele? Non proprio. Secondo il più recente sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research, guidato da Khalil Shikaki, la maggior parte dei palestinesi non si dà pensiero se Abu Mazen si ritiri o meno: ritengono che le sue affermazioni in questo senso siano solo una posa. Il 61% dei palestinesi dice che Fatah e Hamas sono congiuntamente responsabili della perdurante frattura all’interno della politica palestinese. Riunificare Cisgiordania e striscia di Gaza è la più alta priorità dei palestinesi e in maggioranza dicono che questo obiettivo è più importante che mantenere il cessate il fuoco con Israele.
Al contempo, se dovessero tenersi elezioni in questo momento, Abu Mazen otterrebbe il voto del 54% dell’elettorato palestinese contro il 38% di Ismail Haniyeh (Hamas). La popolarità complessiva di Haniyeh fra gli abitanti di Gaza si colloca al 43%, non molto meno di quella del presidente Barack Obama fra gli americani (49%). Ma grossomodo il 40% degli aventi diritto di voto, di fronte alla scelta fra Haniyeh e Abu Mazen dice che se ne starebbe a casa anziché votare.
E se entrassero in lizza forze più giovani? Se l’uomo cui Yasser Arafat aveva affidato il compito di gestire la campagna di terrore sotto l’etichetta Tanzim fosse il portatore del vessillo dei moderati? Risposta: Marwan Barghouti prenderebbe il 67% dei voti contro il 28% di Ismail Haniyeh, mentre la partecipazione al voto schizzerebbe al 73%.
Se si votasse oggi per il parlamento palestinese, Fatah otterrebbe il 43% contro il 27% di Hamas. Scorporando il dato su base regionale, Fatah prenderebbe il 41% in Cisgiordania e il 46% a Gaza, mentre Hamas prenderebbe il 23% in Cisgiordania e il 34% a Gaza.
Più illuminante è il tasso dichiarato di sicurezza e tutela personale/famigliare. In Cisgiordania il livello di comfort è salito al 63% (dal 58% di quattro mesi fa); nella striscia di Gaza il 65% degli intervistati dice di sentirsi sicuro e tutelato (rispetto al 63% di quattro mesi fa). Il livello di comfort non si riferisce tanto all’economia quanto alla fine della illegalità da legge della jungla che imperava come effetto della seconda intifada. Gli abitanti di Gaza sono grati a Hamas per il ritorno a una vita normale come quelli della Cisgiordania lo sono a Fatah, sebbene quelli di Gaza ammettano d’aver pagato un prezzo più alto, per questa calma, in termini di diritti umani.
Dal punto di vista di Israele, ciò che affligge è vedere che, nonostante i massicci investimenti di risorse da parte di Unione Europea e Stati Uniti accompagnati dall’essenziale cooperazione da parte israeliana, la Cisgiordania relativa benestante va pazza per l’ergastolano Barghouti in parte proprio perché si rifiuta di escludere una terza ondata di violenze parossistiche.
L’attitudine di fondo dei palestinesi di Cisgiordania e degli abitanti comparativamente indigenti della striscia di Gaza non sono agli antipodi, tanto sia nell’una che nell’altra in tanti continuano a credere che la violenza paghi. Il benessere economico, dunque, non risolve la insoddisfazione politica. Tragicamente, i “moderati” palestinesi fanno ben poco per attenuare il malcontento della loro gente, perché continuano a evitare di parlare con onestà dei compromessi che i palestinesi dovranno necessariamente fare se vogliono realizzare aspirazioni concretamente attuabili.

(Da: Jerusalem Post, 20.12.09)

Nella foto in alto: un militante palestinese dell’Fplp durante una manifestazione sabato scorso a Nablus (sulla bandiera, il consueto simbolo della rivendicazione di tutta la terra, con la cancellazione di Israele)