Europa e Israele

Nonostante segnali di miglioramento, gli europei non hanno mutato le loro concezioni di fondo.

Da un editoriale di Ha'aretz

image_989Alcuni vedono nel risultato della Conferenza di Barcellona, terminata la scorsa settimana, il segno di un fondamentale cambiamento nell’atteggiamento dell’Europa verso Israele.
Gli stati arabi chiedevano di aggiungere nel comunicato finale, relativo al codice di condotta euro-mediterraneo contro il terrorismo, il diritto all’autodeterminazione e alla lotta contro l’occupazione. Israele si è opposto. Quando è stato avanzato il tentativo di includere una frase per dire che il diritto all’autodeterminazione non giustifica violenze e terrorismo, si è preferito rinunciare del tutto a una dichiarazione congiunta per accontentarsi di una dichiarazione della presidenza di condanna del terrorismo “in tutte le sue forme e manifestazioni”. Né la condanna del terrorismo senza mezzi termini da parte europea, né l’impossibilità di arrivare a una dichiarazione congiunta di tutta la conferenza sono state attribuite all’influenza di Israele. Sono state piuttosto il frutto di un miglioramento delle relazioni fra Europa e Israele, e di alcune misure per creare fiducia. L’atmosfera segnalava sia la fine delle ambiguità di linguaggio, sia il totale rifiuto da parte europea del terrorismo, come si è visto nella sua posizione dopo l’attentato a Hadera. Emerge anche un atteggiamento di vera cooperazione, come nell’insolito invio di osservatori UE al valico di Rafah (fra Egitto e striscia di Gaza) e l’impegno ad addestrare i poliziotti palestinesi.
Si potrebbe anche trarre motivi di incoraggiamento dalla cooperazione con l’Europa alle Nazioni Unite, dall’appoggio europeo alla lotta contro l’antisemitismo e la decisione di istituire la giornata della memoria della Shoà, dall’intesa riguardo a Siria e Libano, dalla trasparenza della politica europea verso l’Iran e dalla sua inequivocabile condanna delle dichiarazioni del presidente iraniano Ahmadinejad sulla “cancellazione di Israele dalla mappa geografica”.
Il miglioramento nei rapporti può anche essere considerato come parte del processo di ravvicinamento tra le due sponde dell’Altantico dopo l’inizio della seconda amministrazione Bush, il disimpegno da Gaza e il riconoscimento da parte dell’Europa che le sue pressioni su Israele sortivano solo l’effetto di ridurre al minimo le sue chance di influenzare realmente il corso degli eventi nella regione.
Dall’altra parte, secondo un alto funzionario europeo il primo ministro israeliano Ariel Sharon avrebbe ammesso di rammaricarsi per la sua prolungata cecità verso l’Europa.
Tuttavia non si può dimenticare che, nonostante questo disgelo, gli europei non hanno mutato le loro concezioni di fondo: la dichiarazione della presidenza europea a Barcellona chiede anche alle parti di condurre un dialogo diretto, esprime l’impegno per la Road Map e l’idea “territori in cambio di pace”, fino a menzionare la Dichiarazione di Beirut del 2002della Lega Araba (che i palestinesi interpretano fra l’altro come un riconoscimento del cosiddetto “diritto al ritorno”).
Anche il rapporto dei consoli europei con sede a Gerusalemme est e a Ramallah condanna la politica di espansione edilizia israeliana – definendo insediamenti anche quartieri come Gilo, Ramot e French Hill –, la costruzione della barriera di separazione e le restrizioni che tali lavori comportano per i palestinesi. Secondo il rapporto, la politica israeliana sarebbe quella che riduce le possibilità di arrivare a un accordo finale su Gerusalemme.
Il fatto che il consiglio dei ministri della UE abbia deciso di mettere in un cassetto il rapporto indica che esso non è interessato a innescare in questo momento uno scontro superfluo.
Israele farebbe bene a trarre vantaggio dal potenziale europeo anche quando non è accompagnato da pressioni americane, come fu per il decisivo intervento di Condoleezza Rice nell’arrivare all’accordo sui valichi della striscia di Gaza.

(Da: Ha’aretz, 1.12.05)

Nella foto in alto: L’ex leader laburista Shimon Peres mostra una maglia del Barcellona con il suo nome, prima di una “partita della pace” nello stadio della città il 29 novembre scorso.