Far conoscere la “nakba” degli ebrei dei paesi arabi contribuirebbe alla pace e alla lotta contro l’antisemitismo odierno

Aver taciuto e ignorato la sorte e le sofferenze degli ebrei cacciati dai paesi arabi ha favorito manicheismo e intransigenza

Di Ada Aharoni

Ada Aharoni, autrice di questo articolo

Una delle principali cause note dell’attuale ondata di antisemitismo in Europa e in altri posti è la propaganda palestinese. Questa enorme opera di indottrinamento è riuscita a produrre un’atmosfera anti-ebraica in molte parti del mondo. Uno dei modi per combattere questa basilare fonte di menzogne è diffondere la verità storica sull’esilio degli ebrei cacciati dai paesi arabi. Il mondo ha sempre sentito parlare dell’ingiustizia subita dai profughi palestinesi, ma non ha quasi mai sentito nulla della condizione degli ebrei originari dai paesi arabi, principalmente da Iraq, Egitto, Siria, Libano e Yemen. Proviamo a confrontare lo sradicamento dei palestinesi con lo sradicamento degli ebrei.

Se nel 1948 i profughi palestinesi furono 650.000, mentre i profughi ebrei provenienti dai paesi arabi ammontarono a 850.000 (dati Unrwa). Le proprietà ebraiche, sia private che comunitarie, sequestrate dai governi arabi quando gli ebrei furono costretti a partire erano molto più vaste di quelle abbandonate dai palestinesi in Israele (documentate dalla Corte Internazionale dell’Aja). In pratica si verificò una vera e propria pulizia etnica degli ebrei nei paesi arabi. Oggi in questi paesi ne sono rimasti pochissimi. In Egitto si contavano 100.000 ebrei nel 1948, mentre oggi in tutto il paese ce ne sono solo 28. In tutto l’Iraq restano solo 22 ebrei contro una popolazione ebraica nel 1948 di 160.000 persone. In Siria e Libano non sono rimasti ebrei. Per contro, non si può parlare di una “pulizia etnica” dei palestinesi in Israele, dove oggi vivono più di un milione di cittadini arabi palestinesi, che costituiscono il 20% della popolazione israeliana.

Erano chiamati ma’abarot i campi di transito dove furono inizialmente alloggiati i profughi ebrei in arrivo in Israele negli anni ‘50

È importante far conoscere queste cruciali realtà storiche nel modo più ampio possibile, poiché smentiscono l’immagine malvagia e distorta diffusa dalla propaganda anti-israeliana. Raccontare la storia della messa al bando e dello sradicamento degli ebrei dai paesi arabi comporta una serie di importanti conseguenze, oltre alla possibilità di un cambiamento in senso più equilibrato dell’opinione pubblica in Europa e in altri posti.

Fra i palestinesi, la consapevolezza che loro non sono gli unici ad aver patito e che gli ebrei dei paesi arabi hanno patito almeno tanto quanto loro quando vennero buttati fuori dalle terre dove erano nati, praticamente coi soli vestiti che avevano addosso, e vennero resi così miserabilmente indigenti per mano degli arabi, potrebbe indurli ad un atteggiamento più conciliante e meno intransigente rispetto al compromesso e alla pace con Israele.

Fra gli ebrei provenienti dai paesi arabi e i loro discendenti (che oggi costituiscono quasi la metà della popolazione ebraica d’Israele), veder prese in seria considerazione come parte cruciale e integrale del conflitto arabo-israeliano la loro storia, le loro sofferenze, il loro patrimonio culturale potrebbe indurli a un atteggiamento più incline a fare concessioni in nome della pace. In effetti, il fatto che la loro storia e le loro memorie sono state così a lungo taciute e ignorate, in Israele ma soprattutto nel resto del mondo, ha reso molti ebrei originari dei paesi arabi comprensibilmente diffidenti e intransigenti rispetto a qualsiasi riconciliazione che non tenga conto della loro vicenda. Ma proprio questi ebrei sradicati dai paesi arabi potrebbero diventare i maggiori protagonisti della riconciliazione giacché meglio di chiunque altro sono in grado di capire la cultura e la mentalità del Medio Oriente, la lingua araba, le modalità e i rituali della riconciliazione.

La “nakba” (catastrofe) degli ebrei originari dei paesi arabi, lo spietato sradicamento di 850.000 ebrei dalle antiche comunità in terre arabe dove erano nati e cresciuti, le sofferenze e la miseria che accompagnarono le loro migrazioni forzate e l’immigrazione in Israele o in altri paesi occidentali, la perdita di tutti i loro beni e proprietà: tutto questo costituisce un aspetto del conflitto arabo-israeliano che dovrebbe essere accuratamente studiato da accademici seri e conosciuto dall’opinione pubblica generale, fino a diventare parte imprescindibile della narrazione del conflitto così come è oggi la vicenda dei profughi palestinesi. Poiché quasi metà dei cittadini ebrei d’Israele è originaria dei paesi arabi, qualsiasi sforzo di pace deve riconoscere questo aspetto cruciale della storia del conflitto. Per poter arrivare a una soluzione pacifica, la migrazione forzata degli ebrei dai paesi arabi deve essere riconosciuta come una delle tragedie di questo lungo e doloroso conflitto. E costituirebbe anche una importante diga contro il pericoloso tsunami antisemita che sta montando in questi tempi.

(Da: Jerusalem Post, 25.4.18).